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Editoriali NBA

About your next MVP

Il 25 Giugno, la NBA consegnerà i premi individuali per la regular season 2017-18. Tre membri della redazione di NBAReligion discutono del premio più ambito.

Il chiaro favorito

di Jacopo Gramegna

JG:Il primo aspetto che mi preme sottolineare riguardo alla candidatura di Harden è quanto sia impossibile scindere la sua prestazione da quanto avvenuto in questa stagione. É stato il miglior giocatore della miglior squadra della regular season, non solo e non tanto a livello statistico. É stato il migliore in assoluto nel contemperare il suo stile di gioco e quello della sua squadra. Conoscevamo sia lui che Mike D’Antoni e, prima che si incontrassero due anni fa, difficilmente avremmo detto che i due stili avrebbero potuto sposarsi così bene. Soprattutto grazie alla presenza di un giocatore come Harden abbiamo avuto la possibilità di assistere all’evoluzione di quel seven seconds or less in qualcosa di ben diverso. Come si fa a non premiare il miglior giocatore della miglior squadra, fondamentale per giocare il tipo di sistema che si gioca a Houston a livello di ritmo, a livello di incidenza del tiro da tre, a livello di incidenza degli isolamenti? É davvero possibile non premiare un giocatore con questo impatto in una squadra così vincente?

LF: La mia risposta, in effetti, è “non si fa”.

AZ: Sono d’accordo. Ma non so quanto sia realmente lui ad adattarsi al sistema o viceversa. Secondo me lo determina.

LF: Sì ma non è che Houston con Harden sia necessariamente quella vista quest’anno. Quella vista lo scorso anno era diversa. Quella di quest’anno era così perché c’erano sia Harden che Paul.

JG: Influenza il suo contesto. Riesce a non snaturare la sua pallacanestro, con quella incidenza nelle statistiche e nelle vittorie. E non scordiamoci che Houston ha avuto anche un discreto impatto nella storia del gioco: che piaccia o meno, una squadra che, per la prima volta in assoluto, tira più da tre che da due su base stagionale pur giocando un possesso su cinque (19.4% dei possessi totali) in isolamento non si era mai vista.

AZ: Ma è un contesto che gli si cuce attorno. Il gioco di Houston è quello perfetto per Harden, non c’è alcun merito di adattamento.

JG: Quello tra lui e D’Antoni è un incontro tecnico che, fino a 24 mesi fa, non ritenevamo poter essere così proficuo. Si sono mostrati l’uno perfetto per l’altro e il risultato quest’anno è stato il miglior possibile a livello di impatto sulla lega e sulle statistiche individuali del Barba. In più, oltre alle cifre grezze e alla leadership, ha anche dato forma alla miglior stagione, numeri alla mano, per quanto concerne l’attacco in isolamento (1.22 a possesso per 10 possessi a gara).

Non siamo stati gli unici a chiedersi se Harden sia davvero il miglior attaccante in isolamento di sempre.

In un contesto cucito su di lui ma anche determinato dal suo modo di giocare nelle due metà campo. Anche in difesa, secondo me, ha disputato la sua miglior stagione difensiva da quando è a Houston. Integrato in un sistema di cambi e aiuti in cui gli bastava mettere quel po’ di attenzione in più per non essere inghiottito dagli attaccanti, Harden ha comunque fatto uno step-up, mostrandosi anche più solido di quanto fosse lecito aspettarsi nella difesa del post. In più ha anche fatto una delle sue migliori stagioni nelle rubate (1.8): non sono sintomo automatico di buona difesa, ma un minimo di attenzione sulla palla devi averla per far registrare una cifra simile. Anche il semplice fatto di essersi messo nelle condizioni di essere meno criticabile difensivamente, secondo me, porta alla sua causa quel mattoncino che negli altri anni è mancato.

AZ: Preso individualmente resta comunque un difensore sotto media.

LF: Ma così rischiamo di sfociare nel discorso su chi sia meglio in assoluto come giocatore (e finisce male perché vince sempre LeBron). Cerchiamo di restare su quanto fatto nella stagione.

JG: Ecco, appunto. In questa stagione Harden è stato il centro focale di una serie di quintetti decisamente devastanti. Non solo il così detto Texas Death Lineup. Il fatto che riuscisse a stare in campo senza intaccare l’efficienza difensiva dei quintetti in cui è stato inserito non era una cosa che tutti potevano aspettarsi. Certo, è stato in campo per meno gare rispetto a LeBron a causa infortunio, quindi è venuta meno la sua proverbiale onnipresenza su base stagionale. Ma questo è un elemento che non intacca il fatto che abbia disputato la sua miglior stagione e che, dopo anni di contendership al titolo di MVP, meriti il premio.

Una serie di quintetti niente male.

LF: prima accennavamo al discorso MVP dell’anno scorso. Partendo dal discorso che LeBron e Westbrook hanno disputato stagioni individuali eccezionali, comparabili, all’interno di squadre non irresistibili, quest’anno una grande prova individuale non basta a togliere il premio a un giocatore così strepitoso all’interno di un sistema così strepitoso.

AZ: Sarò drastico: tra la stagione di Harden dello scorso anno e quella di quest’anno, la discriminante è la stagione di Houston, che è arrivata prima a Ovest. É arrivato Paul e tutta la squadra era diversa: anche PJ Tucker, nel suo piccolo, non è stato uno qualsiasi. Su base individuale, la stagione di Harden è accomunabile a quella dello scorso anno.

JG: L’elemento della convivenza con Paul, però, mi sembra un altro fattore sul quale soffermarsi. Hanno trovato il modo di funzionare, snaturandosi il giusto ma restando comunque loro stessi.

LF: Ma anche volendoci soffermare sul valore delle due squadre se private dei loro migliori giocatori: il roster di Houston è migliore di quello di Cleveland, ma non lo è solo nelle individualità. Il roster dei Rockets ci sembra così più forte di quello dei Cavs perchè quei giocatori immersi in quel sistema sono perfetti. Anche lo scorso anno, in un sistema diverso, in cui si correva di più e si giocavano meno isolamenti, il roster di Houston ci sarebbe sembrato più forte al netto delle star. Allora è una questione di sistema. E le chiavi per governare il tutto per Mike D’Antoni ce le ha Harden.

AZ: Non so quanto possa essere un demerito per LBJ. I suoi tentativi per migliorare i compagni mi appaiono evidenti. Anche se i playoff non dovrebbero essere citati in un pezzo per l’MVP, pensate a tutti i tiri gratis che ha regalato in finale ai suoi compagni.

JG: Eh, ma per restare nell’off-topic sui Playoff: Harden è la ragione per cui sono nati tanti quei tiri non contestati sbagliati all’interno dello 0-27 di Gara 7 contro Golden State. Mi spiego: se c’è un giocatore che ha un controllo sulla sua squadra comparabile a quello di LeBron (e non è detto che ce ne sia uno perché LeBron è praticamente il padrone dell’Ohio), quel giocatore è proprio Harden. Lui ha in mano le chiavi del sistema e della centralità nella NBA di Houston. Dà proprio l’impressione di far divertire i compagni che stanno in campo con lui e sono sempre nelle condizioni di vincere malgrado qualche sua brutta partita al tiro. E questo succede da quando è arrivato in Texas. Stiamo parlando di due controlli simili, anche se quello di LeBron è decisamente più evidente e marcato. Se però, a fronte di una dipendenza così evidente dalle rispettive superstar, Houston raggiunge i traguardi storici che ha raggiunto in questa stagione mentre Cleveland si ferma al quarto posto a Est, magari semplicemente l’impatto della stella di Houston ha creato un maggiore aumento di valore sul suo contesto.

AZ: Allora parliamo anche di quanto quello che stava attorno ad Harden riesca ad agevolare il suo lavoro: l’upgrade nella stagione di Houston dipende, oltre che da Harden, da Chris Paul e da innesti utili come Tucker e Mbah a Moute. Malgrado i miei dubbi di inizio stagione, giocare con Paul di base ti migliora. Ti garantisce dei benefici difensivi che poi ti lasciano con più energia nella metà campo offensiva, avere costantemente in campo altri 3-4 giocatori che spaziano il campo e ti fanno giocare la tua pallacanestro. Questa cosa a Cleveland non esiste. Adattarsi a questo Chris Paul, che non era quello visto ai Clippers, non è poi così difficile.

LF: Ma non era neanche così scontato.

JG: Se Chris Paul non è stato quello dei Clippers è perché lui ha deciso di non esserlo. Ha scelto di giocare una pallacanestro teoricamente diversa dalla sua ma sicuramente più efficiente per sé e per la squadra.

AZ: Allora è stato Chris Paul ad adattarsi. Dov’è il merito di Harden?

JG: C’è uguale lavoro da parte di entrambi. Harden è il candidato MVP perché è il leader tecnico di una squadra così vincente la cui filosofia, il Moreyball, è stata imperniata sulle sue caratteristiche. E poi non scordiamoci che è lo stesso che prende in mano, in ogni caso, tutti i possessi importanti e tira fuori delle statistiche fuori dal mondo: uno che realizza il miglior dato di sempre in isolamento e al contempo può permettersi di tirare il 50% da tre in step-back sarà o no da premiare? É vero che Harden viene sospinto dalla squadra ma i Rockets sono quelli proprio perché c’è Harden. É un connubio tecnico perfetto che l’anno scorso è stato premiato con Mike D’Antoni, quest’anno verrà premiato con Harden perché il Barba è stato il centro di una stagione che, malgrado il suo epilogo ai Playoff, è stata storica.

L’irriverenza di chi ha giocato una stagione dominante, anche nelle statistiche.

Ciò che questa conversazione ci ha comunque mostrato è la grandezza storica delle tre stagioni vissute dai candidati MVP.

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