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Appunti tattici: Jazz-Clippers e Celtics-Bulls

Abbiamo analizzato le due gare-3 delle serie tra Jazz e Clippers e tra Celtics e Bulls per provare a capire i motivi delle vittorie esterne.

Nella nostra canonica rubrica Appunti Tattici analizziamo le partite per capire i motivi della vittoria o della sconfitta di una determinata squadra. Questa volta tocca a Chicago Bulls, Boston Celtics, Los Angeles Clippers e Utah Jazz. Che gare-4 dobbiamo aspettarci?

A tre giorni di distanza dall’ultimo scontro in California, Gli Utah Jazz e i Los Angeles Clipper si ritrovano a battagliare a Salt Lake City per il passaggio del Primo Turno di questi Playoff 2017. Lo 0,691% di vittorie nei Playoff fatte registrare in terra mormone, dato che colloca i Jazz immediatamente alle spalle di squadre con ben altra tradizione cestistica come Lakers, Miami, Boston e Chicago, lasciava ben sperare la truppa di coach Snyder, ma l’assenza forzata di Rudy Gobert, uno dei principali candidati al premio di Difensore dell’Anno, unita all’eccezionale prova di forza fornita dai Clippers nel corso dell’ultima frazione di gioco, hanno fatto sì che Chris Paul e soci completassero la rimonta iniziata in Gara-2.

Come da pronostico di una delle serie più combattute di questo Primo Turno, l’equilibrio caratterizza i primissimi minuti di questa Gara-3, con le squadre che decidono di studiarsi a vicenda prima di dare il via alle ostilità. Già dalle battute iniziali si intuisce che saranno i backcourt delle due compagini a fare la differenza: Griffin e Jordan faticano ad entrare in partita, mentre Diaw e Favors non vengono particolarmente coinvolti nella manovra offensiva dei Jazz. Il motivo è molto semplice e risponde al nome di Gordon Daniel Hayward. Se Luc Mbah a Moute, riesce inizialmente ad arginare la potenza di fuoco di Gordon Hayward, bastano pochi minuti a quest’ultimo per prendere le misure al suo avversario e dare vita ad una prestazione da record: 21 punti per lui al termine della prima frazione, nessun Jazz prima di lui aveva segnato così tanto in un singolo quarto. L’arsenale offensivo di cui il prodotto di Butler dispone non sembra conoscere limiti e Hayward non perde l’occasione giusta per dimostrarlo ancora una volta alla platea della Vivint Smart Home Arena, che dimostra di gradire.

In questa situazione di gioco, Hayward sfrutta il taglio di Hill verso il canestro e il successivo blocco portato da Favors per mandare a bersaglio una tripla.

Se il ferro non avesse deciso di respingere un tiro libero sul più bello, sarebbero stati ben 17 i punti consecutivi realizzati dal #20 dei Jazz, il principale responsabile dei tredici punti di vantaggio della squadra di casa sui Clippers. La squadra di coach Rivers non riesce ad esprimersi come vorrebbe: Chris Paul inizia il match a marce ridotte e, privo l’apporto decisivo del principale ispiratore della manovra, l’attacco dei Clippers risulta statico e prevedibile. Ad ogni modo, il merito è ovviamente dovuto all’ottima difesa messa in mostra fin qui dagli Utah Jazz, che a differenza delle precedenti occasioni riesce a contenere l’atletismo di Blake Griffin e DeAndre Jordan, ai quali arrivano ben pochi palloni giocabili. Un paio di minuti sono più che sufficienti per capire le intenzioni di coach Snyder, che decide di applicare l’Hack-a-DeAndre (sono sei i tiri liberi tentati nel solo primo quarto, di cui soltanto due finiscono sul fondo della retina) nel tentativo di sfruttare la poca confidenza del texano con la linea della carità. Ciononostante, i Jazz si rivelano in grado di distribuire uniformemente le infrazioni commessi ai danni di Jordan e soci, riuscendo a concludere il match senza accusare particolari problemi di falli.

Ben diversa la situazione nell’altra metà campo: la fluidità dei movimenti offensivi della truppa di coach Snyder crea non pochi grattacapi alla difesa dei Clippers, apparsa troppo soft in più di una circostanza. Nella propria metà campo Paul e soci non possono permettersi di sottovalutare nessuno degli attaccanti avversari, mentre la presenza di un marcatore sotto la media quale Luc Mbah a Moute (almeno generalmente, dato che i 15 punti fatti registrare stanotte rappresentano il suo career-high) consente ai Jazz di concentrarsi sugli avversari più pericolosi, battezzando senza troppi rimorsi il camerunese. Come abbiamo visto, in assenza di uno dei migliori bloccanti della lega, tocca a Favors propiziare diversi canestri della propria squadra creando la separazione necessaria tra il portatore di palla (Hill o Hayward, a seconda della situazione) e il relativo difensore.

I minuti passano e la mano rovente di Hayward fa sì che i Jazz allestiscano una mini fuga, alla quale contribuisce attivamente il subentrante Joe Johnson, già autore del decisivo buzzer beater in Gara-1.

Joe Johnson sfrutta il mismatch con Chris Paul per guadagnare spazio in post. DeAndre interviene in aiuto del suo playmaker, lasciando però tutto solo Favors nei pressi del canestro; Mbah a Moute se ne accorge e preferisce abbandonare la marcatura su Hayward per proteggere il ferro, nella speranza che Johnson non si accorga dell’uomo libero nel lato debole. Per sua sfortuna, il pallone finisce proprio nelle mani di Hayward, che aggiunge altri tre punti al suo sensazionale bottino.

Se i Jazz si ritrovano a condurre per 34-21 al termine del primo quarto il merito è senza dubbio anche di Johnson, in grado di fare la differenza dal momento in cui lascia volentieri il pino. Attenzione però: dall’altra parte Chris Paul inizia a prendere sempre più confidenza con il mid-range jumper.

Alla ripresa del gioco, buona parte delle rispettive second unit scendono sul parquet per far rifiatare i titolari: con Hayward in panchina, è Rodney Hood a farne le veci, segnando una tripla con fallo che ricalca in tutto e per tutto il gioco da quattro punti generosamente concesso ad Hayward dalla difesa dei Clippers sul finire del primo quarto. I vari Felton, Speights e lo stesso Hood si rivelano all’altezza delle aspettative su entrambi i lati del campo, non facendo rimpiangere lo spettacolo offerto dai titolari nella prima frazione di gioco. Tuttavia, quando Hayward si alza dalla panchina la musica cambia decisamente.

Sprazzi di onnipotenza cestistica per il nativo di Brownsburg, che a suon di piroette porta a spasso Speights e riesce a mettere a referto due splendidi punti nonostante un mismatch non certo favorevole. Qualcuno ha detto “Kobe”?

Da un punto di vista difensivo, i Clippers alzano leggermente l’asticella della loro prestazione, commettendo però qualche fallo di troppo ai danni degli avversari, che invece continuano con alterne fortune a stroncare prematuramente ogni azione che veda flirtare DeAndre Jordan e il ferro dei Jazz; inoltre, la buona organizzazione difensiva dei ragazzi di coach Snyder, anche in assenza del rim-protector per antonomasia, costringe i Clippers a perdere il controllo del pallone in più di un’occasione.

L’infortunio di Griffin, uscito nel frattempo per un problema all’alluce, obbliga Doc Rivers a rivedere i suoi piani: in assenza di uno dei suoi principali bloccanti e consapevole delle difficoltà accusate fino a questo momento da Jordan, l’ex coach dei Celtics invita i suoi ad affidarsi con maggiore frequenza a conclusioni dalla lunga distanza. La scelta di coach Rivers sembra pagare, dato che, approfittando di alcune scelte discutibili di Hayward e soci, i Clippers riescono a recuperare terreno sugli avversari.  Il ritrovato equilibrio è alla basa del nervosismo di entrambe le compagini, con coach Snyder che si becca un tecnico per essere entrato in campo per manifestare il suo disappunto per una decisione arbitrale e Doc Rivers che, non è certo una novità, quando c’è da recriminare non si tira certo indietro.

Negli ultimi due minuti i Jazz tentano nuovamente di allungare: dall’alto della sua esperienza, Joe Johnson spadroneggia offensivamente e Joe Ingles riesce a fare l’unica cosa che il coach gli chiede nella metà campo offensiva: approfittare dagli spazi creati dai suoi compagni per punire la difesa avversaria dalla lunga distanza.

In questa situazione di gioco, relativa a qualche minuto prima, vediamo Hayward puntare al ferro, senza che la presenza di Griffin riesca a farlo desistere. Il lungo dei Clippers non può vantare la rapidità e la velocità di piedi dell’ala dei Jazz, che si fa beffe della marcatura avversaria. Partendo da così lontano, la difesa dei losangelini ha tutto il tempo per prepararsi alla sua avanzata: Speights, Mbah a Moute e Redick collassano verso il centro, lasciando Ingles tutto solo nell’angolo sinistro. Il ritardo accumulato da Redick fa sì che quest’ultimo arrivi con troppa foga sull’avversario, concedendo addirittura il gioco da quattro punti ai Jazz.

Squadra che vince non si cambia, e con i Jazz avanti 58-49 coach Snyder decide di prevenire l’atletismo di Jordan commettendo sistematicamente fallo. Complice l’evanescenza dei rispettivi reparti lunghi, Chris Paul e George Hill, autori di una gara fin qui al di sotto delle loro potenzialità, decidono di uscire finalmente allo scoperto.

Tranquilli, lui c’è sempre.

Quando Hayward si concede qualche meritata pausa, è Hill, come al solito poco appariscente ma tremendamente efficace, a caricarsi la squadra sulle spalle – saranno 13 i punti per lui in questo quarto. Tuttavia, i Jazz sembrano aver perso la fluidità della manovra ammirata nel corso del primo tempo e la squadra di coach Snyder sembra vivacchiare di lampi individuali, con Hill e Hayward ad alternarsi nel ruolo di trascinatori. Dall’altra parte, Marreese Speights non fa rimpiangere un Griffin che, al di là della pressione che la sua aura esercitava sulla difesa dei Jazz, aveva vissuto una gara tra luci e ombre.

Lo spettacolo risente dei tanti errori commessi da una parte e dall’altra, ma come già accennato Chris Paul sembra voler concedere alla platea un assaggio dello show che andrà in scena quarto periodo. Il pick and roll Paul-Jordan inizia a creare qualche grattacapo di troppo alla fin qui discreta difesa dei Jazz: l’alley-oop per Jordan diventa un’arma da sfruttare in assenza di Griffin, arma che il lavoro sporco di Favors aveva contribuito ad arginare fin qui: in più di un’occasione la difesa dei Jazz è costretta a sbilanciare Jordan più o meno lecitamente prima che il lungo dei Clippers possa schiacciare il pallone sui deliziosi inviti di Chris Paul. Se il rendimento di DeAndre cresce col passare dei minuti il merito è senza dubbio del numero 3 di Los Angeles, che dimostra (non che se ne sentisse il bisogno) che, oltre ad essere il miglior passatore della lega, all’occorrenza sa come trovare la via del canestro.

Sul risultato di 84-82 per i padroni di casa, va in scena un ultimo possesso a forti tinte vintage: Pierce cattura il rimbalzo dopo la tripla tentata da Hood e si dirige verso la metà campo avversaria, dove ad attenderlo c’è Joe Johnson. Purtroppo gli anni passano anche per The Truth, che perde l’attimo e non riesce a lasciar partire il tiro in tempo.

Con Hill a riprendere fiato in panchina, nel quarto periodo c’è spazio anche per Raul Neto, che con uno stepback su Jordan e una successiva tripla con spazio dimostra di non avere alcun timore reverenziale alla sua prima gara in assoluto nei Playoff. Il buon lavoro offensivo dei vari Neto, Hayward e Ingles consente ai Jazz di raggranellare ulteriori punti di vantaggio sugli avversari nella prima metà del quarto, mentre i Clippers si affidano quasi esclusivamente alle sortite offensive di un Crawford a tinte decisamente fosche, che nel resto della gara non aveva lasciato particolari tracce del suo passaggio sul parquet della Vivint Smart Home Arena.

Con il punteggio nuovamente in equilibrio, è il pick and roll giocato tra Chris Paul e DeAndre Jordan a fare la differenza tra le due squadre.

In questa circostanza, l’incomprensione tra Favors e Hill nel cambio difensivo sul pick and roll avversario si rivela fatale… bang!

I giochi portati avanti dalla premiata ditta Paul-Jordan sono rebus irrisolvibili per la difesa dei Jazz, a prescindere da chi difende. La rimonta è servita.

Quando mancano 11 secondi da giocare, Paul e compagni sono avanti di 2, 104-102. Sulla rimessa Clippers, la difesa dei Jazz non riesce ad impedire che il pallone giunga tra le mani di Redick, che pur non avendo disputato una delle sue migliori partite rimane comunque uno dei tiratori di liberi più affidabili del panorama NBA. Detto, fatto: 2/2 dalla linea della carità e Clippers che conducono per 106-102. Sulla rimessa successiva, Ingles trova Hill, che con la collaborazione di un blocco di Diaw insacca la tripla del -1.

Gran schema disegnato dopo il time-out (ATO in gergo) da Quynn Snyder.

I Clippers però si mantengono freddi dalla lunetta e complici anche gli errori di Favours e Diaw (con Rivers che sopra di tre commette fallo, azzeccando la mossa) impediscono ai Jazz di riacciuffare la partita. I due liberi finali di Chris Paul chiudono i conti per il 111-106 finale.

Il calo di tensione sul finale è costato una bruciante sconfitta alla truppa di coach Snyder, che per lunghi tratti era stata in pieno controllo del match. Il prossimo appuntamento è a fissato a domenica: i Jazz dovranno ripartire da quanto di buono messo in mostra finora, nella speranza di non trovarsi di nuovo di fronte ad un Chris Paul in versione deluxe.

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Utah Jazz-Los Angeles Clippers

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