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2 anni di noi: Auguri Nbareligion!

Se alle 15 di un martedì 19 agosto 2014 ti ritrovi davanti a Sky a (ri)vedere Los Angeles Lakers @ Toronto Raptors dell’ultima season NBA vuol dire che un minimo di “love of the game” ce l’hai nel sangue. Osservi Kelly (non Grace) segnare due canestri che reputavi impossibili potessero essere realizzati da un bipede col suo (apparente) DNA da venditore di Frozen Yougurt, immaginandolo sul pontile di una Santa Monica ricolma di giovani come lui, tutti studio e divertimento. Eppure è lì, e Flavio Tranquillo lo sta esaltando per quel canestro. Subito dopo osservi un giocatore che sembra (anzi no) solcare il campo con un andamento oscillante, tipico di chi ha basato la propria vita su di una bottiglia di vino a qualsiasi ora del giorno: Nick Young è così, non puoi prevederlo, nemmeno lui esegue la giocata che ha in testa, cambia tutto per far si che ogni canestro sia condito da quell’ignoranza che lo contraddistingue da tutti gli altri. Kelly e Young, due lati estremi che svolgono la stessa professione, due stili opposti che suscitano un forte interesse e stimolo di approfondimento. Cosa mi succede? Perchè sono così interessato alla NBA tanto da voler conoscere ogni dettaglio dei protagonisti in campo?

A queste domande ho trovato risposta solo poco tempo fa, galeotto fu il (secondo) viaggio a New York, 3 mesi concreti dove sognare non era più lecito. Pensate, il tipico italiano cresciuto a pane, calcio e basket proiettato nella grande mela per studio e “lavoro”. Arrivi al MadisonSG con il tuo Media Pass recitante “NBARELIGION.COM“. In mano hai il sudore, il sacrificio e la passione di tutto coloro che hanno reso questo sogno possibile, persone eccezionali che lavorano e studiano e nel proprio cuore coltivano quella piccola fiamma di speranza di poter esseri lì un giorno. Sto per entrare alla Mecca, ma prima…

Voliamo al 16 Gennaio 2014, a Londra arriva la NBA per la sua solita partita al di fuori dei confini americani, da una parte ci sono i Nets e dall’altra c’è Atlanta. E’ la prima volta che nbareligion.com ottiene il Media Accreditation per assistere ad una partita ufficiale NBA. Mi presento all’02 arena (no ragazzi, non c’è storia con nessun altro palazzetto europeo) con qualche ora di anticipo. La mia entrata è quella, ovviamente, dedicata alla stampa. Sono tremolante ed emozionato, pass al collo mi presento davanti ad un portone dove due colonne nere alte piu’ di 2 metri si adoperano per farmi entrare senza muovere un dito. Supero il portone, ed ora? Non ci sono indicazioni, solo gente che sta preparando il tutto all’interno del campo. Sono un neofita e qualsiasi persona avrebbe potuto accorgersene osservando il mio sguardo. Davanti a me vedo l’entrata che porta al parquet di gioco e mi dico “impossibile che io debba andare lì, ci vanno solo i giocatori”. Mi guardo attorno e scorgo una porta con un foglio A4, la scritta stampata è “PRESS ROOM”. “Sicuramente dovrò entrare da lì” mi dico. Apro la porta, la sagra estiva del paesino di provincia dal quale provengo viene riesumata nella mia mente: c’è un tavolone lungo, sembra essere utile per sedersi col proprio piatto e con il boccale di birra. Ma io sono lì per altro, non è estate e non sono in Italia. Ci sono quattro persone che sono sedute al tavolo intente a battere ripetutamente sulla tastiera, sembrano essere asiatici, uno di essi alza la testa e chiede all’altro: “Tu per che giornale lavori?” – “CNN” risponde. Penso: “Ca°°o sono americani, giornalisti visti fino ad allora, al massimo, in televisione. E io sono qui nella stessa sala con un giornalista della CNN“. Rimango stupefatto, un po’ intimidito da quell’ambiente fino a quel momento sconosciuto. Esco dalla stanza, voglio andare alla mia postazione a bordo campo, ma dove devo andare? Ritorno all’entrata del parquet di gioco, chiedo ad uno dei 100 bodyguard disposti per il campo che però non sa dove indirizzarmi, lo ringrazio e decido: “Michele, fregatene, vai ovunque puoi, al massimo ti fermano”.

Cartellino al collo in bellavista mi dirigo verso il parquet e finalmente mi accorgo che la postazione è dal lato opposto dell’arena, mi incammino e trovo una lista cartacea di fronte a me che mi indica la scrivania riservata. Sono tra un giornalista francese e una polacca. Il riscaldamento è iniziato e noto che tutti i miei “colleghi” si alzano e vanno in campo a fare foto, e io mi chiedo: “ma come? posso andare in campo a vedere i giocatori da vicino?”. La risposta è scontata ed ovvia, mi alzo, vado, e faccio alcune foto, osservo KG, la sua sacralità rituale del riscaldamento è impressionante, nei suoi occhi scorre già il fuoco della partita che verrà da lì a poco. Ritorno in postazione, in piedi per l’inno americano (brividi) e si parte. Durante il match mi accorgo che la giornalista polacca conosce la pallacanestro come io ne so di fisica nucleare (e vi assicuro che mi pare di non averla studiata in passato, ne consegue che ne sappia molto molto poco), passa 48 minuti a gridare il nome di Antic, “Peroooo, Perooooo, Perooooo”. Al paziente collega spagnolo accanto il compito di farle da balia. Finisce il match (durante il quale ad ogni time-out e fine quarto mi arrivano statistiche aggiornate al momento, figata). Si va in in zona mista, passano i giocatori più famosi, la ressa è notevole e riesco a malapena a fare una domanda: Kirilenko è il più gentile e disponibile, Antic  il più simpatico, poi c’è lui, un “pierino” dei nostri rivestito da armadio. Reggie Evans esce con zaino in spalle, fa il giro della zona mista, non viene fermato da nessuno e se ne torna quatto quatto negli spogliatoi con il sorriso di chi sa che l’ha scampata dai propri, minimi, doveri. Conferenza stampa con allenatori, ritorno in albergo e via per l’Italia.

…Al Madison l’organizzazione è 5 stelle, arrivo al mio posto con l’ascensore, nella saletta adiacente i giornalisti vengono trattati come pascià: c’è da mangiare e da bere per tutti, Gratis ovviamente. E’ un sogno, IL SOGNO, che si avvera. Ma stavolta so come muovermi. Nessuna timidezza, nessun impaccio. Parlo con i giornalisti del luogo e mi spiegano che Bargnani frequenta spesso un ristorante italiano molto in voga nell’East Side.  Non approfondisco, ed anzi provo a capire cosa pensano del “Mago”, ovviamente respinto con perdite (cit.),  “le colpe dell’annata dei Knicks non sono tutte sue ma non sembra essere un giocatore da 10 milioni di dollari! Abbiamo già Stoudemire per quel ruolo (di ladro di stipendi)”. Tutto chiaro no?  L’atmosfera del match è fantastica, meriterebbe un articolo tutto suo, un mondo extraterrestre rispetto a quello vissuto in Italia. A fine partita l’ascensore ci porta agli spogliatoi, è proprio come vediamo in televisione, i giornalisti lottano a gomitate per fare una domanda e non nego che nella mischia rifilo un colpo proibito sotto la cintura (potete immaginare in che condizione intricata mi trovassi) ad un giornalista, stizzito mi spinge, faccio finta di niente e continuo a cercare di fare una domanda. Anthony è irraggiungibile, Stoudemire invece disponibile (un animale fisicamente parlando). Faccio la mia domanda, mi sento veramente un giornalista, non sazio mi avvicino a Felton insieme ad altri. Raymond è un pasticciere con il dono del basket, le forme sono quello che sono, da segnalare è la presenza di collane oro stile Tamarro dal peso specifico indefinito all’interno del suo armadietto. Sicuramente sono decine di migliaia di dollari appesi or ora sul collo. Un temerario collega prova a fargli una domanda, risposta: “Vattene, non ho voglia (ride)”. Finita lì, mi allontano piano piano come a far finta di non esserci stato. Scrivo le ultime cose al pc, solita conferenza stampa (che organizzazione ragazzi), esco dalla Mecca e mi avvio a bere una birra al Pub vicino dove mi aspetta la mia coinquilina. Di basket conosce poco, anzi quasi niente. La sua amica invece azzarda un “Io tifo Shaun Livingston. “Ah, è perchè tifi Brooklyn?” replico io, “no, non seguo il basket ma lo tifavo dai tempi di quando frequentavo il College perchè ne parlavano tutti benissimo”. Meglio continuare a bere.

Mi sveglio. Sono le 3 di notte e penso “che bel sogno che ho fatto!”, anzi no… È il Jet-Lag, è tutto vero, mi riaddormento con un pensiero: Lunga Vita a Nbareligion!

Perchè mi piace la NBA? Può sembrare scontato, ma tutti i motivi li trovate sopra. Non una parola negativa, nessuna paura, nessun timore di trovarti nel posto sbagliato: l’atmosfera della lega america di basket è qualcosa di unico, impossibile da raccontare. Fare parte di una partita NBA è un privilegio, ti senti parte integrante dello spettacolo in atto, gli attori protagonisti non sono solamente i giocatori in campo (che portano con sé storie USA da raccontare al mondo) ma SOPRATTUTTO la gente sugli spalti che cerca relax e divertimento dopo giornate di lavoro duro, cattive notizie o semplicemente per allontanarsi dalla quotidianità che rende monotona la propria vita. Una partita NBA non è questione di vita o di morte, è sorridere, veder sorridere e fare sorridere. Kiss Cam – Dance Cam – Proposte di matrimonio – Mascotte che ti fan divertire come pochi – Lanci di magliette da pistoloni usati dalle cheerleader (lo so, suona male detto così). Dopo questo non sarai più lo stesso.

Questi sono due piccoli aneddoti delle avventure che ci avete fatto vivere, come? Sono bastate 5 milioni di visualizzazioni in 730 giorni a renderci “credibili” agli occhi degli organizzatori americani che ci han permesso di assistere a decine di eventi NBA, utili per farci/vi rimanere aggiornati, per acquisire esperienza direttamente sul campo, per conoscere sempre di piu’ questo mondo in modo tale da potervelo raccontare al meglio. Avete visualizzato 17 milioni e 300 mila pagine (o articoli), è proprio per questo motivo che ci sentiamo maggiormente responsabilizzati nel mantenere un livello qualitativo elevato: ci leggete in tantissimi, leggete tantissimo e speriamo continuerete a leggere tanto di NBA sul nostro portale. Senza ulteriori parole al miele, è il nostro e vostro giorno di festa:

BUON COMPLEANNO NBARELIGION!

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