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Editoriali NBA

Steph Curry e l’arte del tiro da 3 punti!

272. Basterebbe questo numero per girare una telenovela, di quelle a puntate, da guardare sgranocchiando i popcorn. Questa l’impresa riuscita a Steph Curry la passata Regular Season, quella di segnare una media di 3,5 triple a partita. Un’immensità. Qualcosa forse di irripetibile anche per una macchina da canestri come lui.

Guardarle così, una dietro l’altra, se possibile rende ancora più surreale la bellezza e la capacità realizzativa del piccolo playmaker di Davidson.

“Avrà tirato tutto ciò che gli sia passato per le mani!”, avranno pensato in molti. Vedere per credere.

Un mare di verde. Addirittura dal mezzo angolo destro tirando col 52,6% (CINQUANTADUEVIRGOLASEI! e non si sta parlando di percentuale “reale”, la quale in questo caso veleggerebbe oltre il 70%), nonostante i quasi 200 tentativi. Palleggio/arresto/tiro da distanze siderali, conclusioni sfruttando il pick&roll, fucilate sugli scarichi del compianto Jarrett Jack. Il campionario è vasto, un bagaglio tecnico completo come quello di pochi altri, anche in una lega di super campioni come l’NBA.

Per questo motivo prendere come “modello” il figlio di Dell per parlare di tiro dalla distanza sembra essere una scelta quanto mai corretta.

Le caratteristiche del tiro del playmaker dei Warriors infatti sono una sorta di manifesto ideologico da seguire/imitare/copiare per chiunque voglia accostarsi il più possibile alla visione da manuale della conclusione con i piedi dietro l’arco.

Ma andiamo con ordine. Prima di tutto la meccanica, con pochi e precisi accorgimenti che fanno la differenza.

– Prima caratteristica, la posizione dei piedi. Citando il diretto interessato:

I piedi devono sempre essere divaricati quanto le spalle e puntati verso il canestro.

Insegnamento semplice, ripetuto dagli allenatori di basket sin dalle giovanili. Notate però quanto abbia fatto suo questo particolare Curry.

In questa situazione è appena uscito di corsa (cioè a velocità molto elevate) dal blocco di Landry ed ha ricevuto lo scarico di Jack. In una situazione del genere, forse la più difficile per sistemare i piedi, la loro posizione è perfetta. Aperti come le spalle, diretti verso il canestro. Splash!

Fatta questo tipo di considerazione, diventa inoltre più che comprensibile il fatto che le deboli caviglie del giocatore numero 30 siano spesso infortunate. Le sollecitazioni a cui sono sottoposte difatti sono del tutto innaturali.

– Secondo aspetto, il cosiddetto “The Dip”, ossia quando riceve la palla dallo scarico non la porta mai più in basso rispetto all’altezza a cui gli è stata consegnata, accelerando e rendendo essenziale la meccanica di tiro.

Curry in questo caso riceve all’altezza del petto (linea verde) ed è già in punta di piedi, pronto a sparare.

Non tarda difatti a portare subito il pallone sopra la testa e ad aprire il fuoco. Le immagini non rendono benissimo l’idea, ma basta guardare il cronometro del possesso. In entrambi i frame il tempo dell’azione è fisso sui 9 secondi, sintomo del fatto che in qualche decimo la palla è passata dalla petto a sopra la testa, non scendendo mai al di sotto della posizione da cui è stata ricevuta.

– Terzo caratteristica, piegare leggermente le ginocchia per per caricare il tiro. 

Perfetto anche sotto questo aspetto, il movimento non è né troppo profondo (il ché rallenterebbe l’esecuzione), né allo stesso tempo privo di efficacia, in quanto il playmaker di Golden State riesce a dare la giusta forza e un’ampia parabola al tiro.

– Quarto aspetto,”one motion shooter”, ossia il movimento di tiro è unico, mai intervallato né spezzettato. Per questo, al posto di affidarci ai frame, basta guardare le 272 esecuzione all’interno del video all’inizio dell’articolo. Un unico, poetico ed essenziale movimento che parte dai piedi e finisce (molto spesso) dentro il canestro.

All’esecuzione perfetta del gesto si aggiunge poi la capacità di riuscire a tirare in ogni tipo di situazione, sia dal palleggio (in situazioni di “pull up” come quelle analizzate nel caso di Westbrook) che sugli scarichi (come descritto in un articolo di qualche mese fa).

Nel primo caso (come nell’immagine sopra riportate) Curry porta palla nell’altra metà campo, sostanzialmente transumando verso l’attacco con aria apparentemente innocua.

In realtà pochi secondi dopo, arrivati a rimorchio i due lunghi, visto che Felton non si accoppia subito con il playmaker avversario, il giocatore dei Warriors sfrutta un semplice blocco in mezza transizione portatogli da Lee.

Bogut non deve neanche piazzarlo. Gli basta fermarsi e fare semplice opposizione con il corpo. La scelta difensiva dei Knicks è (come spesso accade in questa stagione) sbagliata. Chandler aspetta all’altezza della linea del tiro libero, costretto a lasciare metri di spazio ad un tiratore mortifero. Il 43,5% delle volte da quella zona in questa Regular Season sappiamo come va a finire.

Acclarate ed evidenti sono anche le doti del numero 30 nelle situazioni “off the ball”, ossia sugli scarichi ed in uscita dai blocchi. Prendendo sempre ad esempio la partita contro New York di qualche giorno fa (la cui difesa “facilita” le esecuzioni), vediamo uno dei tanti giochi del playbook dei Warriors chiamato per Curry.

Steve Blake (acquisito da pochi giorni proprio con il compito di dare minuti “da guardia” a Curry, togliendogli la palla dalle mani) sta per entrare nel gioco offensivo. Thompson è pronto ad uscire giocando una specie di pin down sfruttando il blocco di Barnes.

In realtà il ricciolo della guardia dei Warriors si conclude non con una ricezione, ma con un blocco portato nei pressi del ferro, dove il figlio di Dell aveva precedentemente preso posizione.

Il “muro” così formato dal doppio blocco riesce a stoppare i 3 difensori dei Knicks, lasciando un comodo corridoio al giocatore di Golden State. Piedi a posto, libero (JR Smith si è ancora impegnato con Barnes dopo il cambio difensivo), scrivere 3.

Ultimo gioco che volevo analizzare è il cosiddetto “Elevetor Door”, ossia un doppio blocco che funziona come le porte di un’ascensore. Ecco un video con alcuni esempi.

Prendiamo la seconda azione del video, minuto 00:12.

Klay Thompson in punta, Curry in angolo (di nuovo situazione “off the ball”)

Il nativo di Los Angeles consegna in punta a Lee e corre sul lato a portare un blocco per permettere l’uscita al numero 30.

In realtà Curry taglia verso il centro, prendendo un minimo vantaggio sul diretto marcatore. Thompson si apre e riceve di nuovo la sfera, mentre Lee e Bogut si preparano a “formare l’ascensore”.

Il meccanismo è semplice. Il playmaker dei Warriors passa in mezzo e subito dopo i due lunghi della squadra di San Francisco “si chiudono”, come delle vere e proprie sliding doors, creando un’ottima spaziatura per il tiro.

Tutto questo per dire che la conclusione dalla lunga risponde sia alla pulizia tecnico/meccanica del gesto, sia alla capacità di crearsi con o senza il pallone tra le mani tiri con spazio di qualità. E Curry ne è l’emblema. Grazie Steph per esserti gentilmente prestato per questa spiegazione!

P.S. Se in futuro lo vedrete prendere tiri senza senso da 9 metri (spesso a bersaglio) non meravigliatevi. Lì le regole per lui cambiano rispetto ai comuni mortali. Il concetto di “buon tiro” (come spesso ripetono fonti molto più autorevoli) è molto diverso rispetto a quello di qualsiasi comune mortale. Il consiglio è lo stesso che accompagna la visione del wrestling: “Don’t try this at home”!

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