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Editoriali NBA

Utah, anno zero

Che questa fosse l’annata del rebuilding era chiaro anche al più incallito dei tanti Mormoni che abitano lo stato dello Utah. Ciononostante, sin qui la stagione degli Utah Jazz è stata tutt’altra che esaltante, con poche luci e molte ombre, figlie anche di una gestione non particolarmente avveduta da parte di coach Tyrone Corbin. Al momento in cui scriviamo, infatti, la squadra che fu di Stockton e Malone ha il peggior record della Lega, con sole 4 vittorie a fronte di ben 19 sconfitte.

La regular season non è certo iniziata col piede giusto per una delle franchigie più gloriose della NBA. La squadra ha perso le prime 8 partite giocate, vivendo l’unico momento davvero positivo a cavallo tra Novembre e Dicembre, con 3 W su 4 gare disputate. Il calendario non sembra promettere bene neanche per il resto dell’anno solare. Nei prossimi 10 incontri, infatti, ben otto trasferte attendono Favors e compagni, ospitando nel contempo formazioni di un certo livello come Spurs e Lakers.

Sono state davvero poche le cose a funzionare in casa Jazz. Sotto il banco degli imputati troviamo una difesa decisamente porosa. Utah si trova all’ultimo posto per defensive rating, concedendo oltre 102 punti a partita agli avversari con ben il 47% dal campo. Dati decisamente non accettabili. Cambiando metà campo, la metamorfosi non si verifica negli uomini di Corbin. La squadra fa fatica anche in attacco, palesando diversi limiti che, a speranza della sempre rumorosa EnergySolutions Arena, magari potrebbero essere limati in futuro. O con un nuovo staff tecnico. La posizione numero 27 per quanto concerne l’offensive rating o la 28 per punti segnati di media (circa 92 ad incontro) testimoniano come la coperta sia sempre corta da qualunque lato la si tiri. Considerata la strutturazione della squadra, non sorprende come la maggior parte dei tiri tentati sia avvenuta vicino al ferro, confidando anche nei miglioramenti del big-man Derrick Favors, una delle pietre angolari della franchigia. Altrettanto poco impressionante la pochezza dalla lunga distanza, specialità che vede Utah infondo alle relative classifiche e che impedisce, al momento, qualsiasi forma di gioco inside-out, con le difese avversarie che collassano più che volentieri sulla frontline dei Jazz, non dovendosi preoccupare dei tiratori. Almeno fino a quando Trey Burke non farà esplodere tutto il proprio talento, colpendo anche da fuori ed aggiungendo così una nuova arma all’arsenale di Utah.

Con 16,7 punti di media, il top scorer di squadra è Gordon Hayward, statistica a cui aggiunge circa 5 rimbalzi e 5 assist a gara. A preoccupare sono le percentuali di tiro del prodotto di Butler, sotto il 40% complessivo, considerando anche un modesto 28,2 da tre, cifra non compatibile al suo ruolo all’interno del sistema offensivo ed in netta controtendenza rispetto a solo un anno fa. Di sicuro c’è che Gordon è sempre in movimento: secondo le innovative statistiche introdotte dalla Lega, risulta essere al primo posto per miglia percorse sul parquet. Miglior rimbalzista e stoppatore è il già citato Derrick Favors, che sta tirando con oltre il 50% dal campo. Come possiamo notare dalla mappa di tiro, il big man di Utah è particolarmente attivo nell’area pitturata, dove però risente sia dell’inesperienza come prima/seconda opzione di una squadra, sia della mancanza di un tiratore da fuori credibile, rendendogli più ardue le operazioni nei pressi del canestro. Appena tornato da un fastidioso infortunio, Trey Burke ha fatto scoccare la scintilla nella squadra, con alcune ottime prove che fanno davvero ben sperare per il futuro. E’ già il primo per usage tra coloro che vestono la canotta dei Jazz, segno che è stato investito sin da subito del ruolo di leader della formazione. Non spaventino le cattive percentuali (ad eccezione del tiro da tre frontale): è pur sempre un rookie con alle spalle poche partite, un infortunio e tanta ruggine da scrollarsi di dosso. Se il suo sviluppo dovesse rimanere costante, si potrebbe rivelare come uno degli elementi di spicco dell’ultimo Draft.

Nonostante qualche panchinamento recente, Enes Kanter rappresenta un altro importante tassello della linea-verde di Utah. Deve sicuramente migliorare i 6 rimbalzi che cattura, cifra che stona date le caratteristiche del giocatore. Oltre alle soluzioni al ferro, col suo tiretto dalla media potrebbe aiutare non poco le evoluzioni del compagno Favors, a patto di rimanere sempre concentrato anche nella metà-campo difensiva. A completare il quintetto è il veterano Richard Jefferson, che si fa notare ormai solo per un discreto tiro da tre e poco altro.

Dalla panchina si segnalano soprattutto due giocatori. In primo luogo Alec Burks, che con la sua doppia cifra abbondante di media spera di poter presto raggiungere lo spot di guardia titolare. Il talento non gli manca, la fiducia di Corbin si. Per il bene dei Jazz, sarebbe auspicabile un’inversione di marcia in tal senso. Chi era stato additato come un probabile all-star, ma che ormai non sembra più destinato a raggiungere tali vette, è Marvin Williams, scelto alla posizione numero 2 nel Draft del 2005. Attualmente fermo per un’infiammazione al calcagno, l’ex Tar Heels sta producendo circa 10 punti e 5 rimbalzi di media, risultando il più preciso dei suoi dalla lunga distanza col 40% da tre, con tante soluzioni prese in catch and shoot. Prima del guaio che lo ha fermato, aveva rimpiazzato Kanter nello starting five. Se questo trend dovesse proseguire, con contestuale spostamento di Favors da 5, il progetto-giovani subirebbe un ulteriore brusco colpo. Il resto della panchina è farcito di elementi da D-League, eccezion fatta per Rudy Gobert che potrebbe evolversi nel classico centro difensivo. Proiettato su un impiego di 36 minuti, produrrebbe circa 15 rimbalzi e quasi 3 stoppate di media.

Coach Tyrone Corbin è giunto alla sua terza stagione piena da capo-allenatore, oltre alle ultime 28 gare della regular season 2010-11. Non ha mai particolarmente convinto e/o impressionato, nonostante i Playoff raggiunti due anni or sono. La squadra, come dimostrato ampiamente dalle statistiche, è prevedibile in attacco e non certo una Linea Maginot nella propria metà campo. Discutibili anche le scelte nella rotazione, che lo hanno visto spesso preferire veterani dal dubbio valore ai vari giovani di cui oggi la squadra è dotata. Tale atteggiamento poteva ancora avere un senso con la caccia alla postseason delle scorse annate, meno in questa in cui c’è da capire su chi i Jazz dovranno contare negli anni a venire. Con la possibilità, poi, di aggiungere un altro valido elemento tramite il prossimo Draft che si annuncia particolarmente ricco e profondo. In parole povere, se tanking deve essere, che almeno sia effettuato con i giovani a fare esperienza ed a mettere in mostra le proprie qualità. Il recente panchinamento di Kanter per Williams, o la scelta di proseguire con Jefferson in luogo di Burks, non sembrano promettere niente di buono in proposito. Staremo a vedere se manterrà una panchina che si porta dietro un’eredità pesante, dato l’illustre predecessore. Nella speranza che, quando il 31 Gennaio Jerry Sloan verrà onorato con una cerimonia alla EnergySolutions Arena, quello non sia uno dei pochi momenti memorabili di questa stagione.

Alessandro Scuto

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