In quella Detroit nelle ultime settimane così tanto seguita da noi italiani, causa lo “sbarco” a MotorCity di Gigi Datome, le prime pagine dei giornali e le attenzioni degli addetti ai lavori (per ora) le sta attirando tutte su di sé un altro giocatore. E non sto parlando del Brandon Jennings che non riesce mai a passarla, del Greg Monroe in scadenza di contratto (e sempre più in orbita Lakers in prospettiva futura) o dello Josh Smith scopertosi improvvisamente tiratore dalla lunga distanza (con esiti quantomeno ondivaghi direi).
31 punti, 19 rimbalzi e 6 palle rubate. 3 career high in un sol colpo, a coronare la bella (e importante) vittoria contro i Sixers. Numeri che così tutti insieme non si vedevano dal lontano 1990, da Hakeem Olajuwon (non proprio l’ultimo arrivato insomma).
Andre Drummond non è più un rookie che “si dovrà fare”, non è più un “le potenzialità le ha, però vediamo dove va a finire..”, ma è sempre più una solida (visto il fisico, l’aggettivo calza a pennello) certezza del panorama cestistico NBA. Numeri, giocate, statistiche che non passano più inosservate e che messe insieme danno la cifra del valore del giocatore.
Il talento di Mount Vernon è l’incarnazione perfetta di tutto ciò che viene circoscritto con la definizione di centro: atleta dal fisico importante (208 cm per 127 kg, un armadio a tre ante), con buona mobilità difensiva, capace di andare forte a rimbalzo e di mettere a referto punti facili vicino al ferro.
Drummond, in questo “primo quarto” di regular season, sta dimostrando di avere tutte le carte in regola. I 13,1 punti e 12,2 rimbalzi a partita ne sono la sintesi perfetta.
La shotchart rende in maniera ancor più evidente il concetto. La quasi totalità dei tiri del centro dei Pistons sono presi a meno di 8 piedi dal canestro (2 metri e mezzo all’incirca). La percentuale di conversione e l’efficacia di tali giocate è di conseguenza notevole. Il resto del parquet invece resta zona inesplorata dal giocatore di Detroit (curiosa sarebbe vedere la circostanza che l’ha portato a prendere quel tiro dai 6 metri, “Gronchi rosa” in un mare di tap in e schiacciate).
Quello che meraviglia però è la capacità di miglioramento dimostrata anche dal punto di vista tecnico. Il giocatore, infatti, sta sempre più ampliando le soluzioni nei pressi del ferro, cercando di implementare quel repertorio di movimenti spalle a canestro/piede perno/gancio (e così via), ancora lontano dall’essere completo (quest’anno a Detroit ad insegnargli qualcosa c’è Rasheed Wallace, indimenticato e indimenticabile poeta del gioco in post basso).
La partita della scorsa notte è un clinic offensivo a tutti gli effetti, che mette in mostra come e quanto si possa segnare negli ultimi 3 metri di campo. Vedere per credere.
Alley oop, punti in contropiede, fallo e canestro, tap in su rimbalzo d’attacco. Ma anche movimenti spalle a canestro (ancora non eccelsi, ma di certo migliori rispetto alla scorsa stagione) e tante tante giocate d’intensità.
E la fase offensiva è palesemente la parte peggiore del suo gioco.La capacità di andare e catturare rimbalzi, invece, è già sopraffina. I numeri sono lì a testimoniarlo. Kevin Love, DeAndre Jordan e Dwight Howard sul podio.E poi c’è lui. Capace di prendere il 29% dei rimbalzi difensivi totali nei minuti in cui calca il parquet (nonostante giochi in una squadra che non difetta certo di rimbalzisti e di giocatori di una certa stazza). Un giocatore che garantisce 4,6 rimbalzi offensivi (in questo sì agevolato dalla presenza di compagni altrettanto abili in questo fondamentale) e che sotto questo aspetto dimostra di essere già maturo.
Difensivamente inoltre, la sua fisicità ed esplosività non lo portano ad essere l’inesperto centro, pronto a saltare alla prima finta e costantemente alla ricerca della stoppata (ogni riferimento a DeAndre Jordan NON è puramente casuale). 1,2 stoppate a partite sono tanta roba, ma non per questo Drummond condiziona il suo gioco in funzione di quello.
La misurazione delle cosiddette “Rebounding Opportunites” dà conferma di quanto precedentemente affermato. Drummond ha mediamente 16,7 opportunità a partita di prendere il rimbalzo (si trova cioè a meno di 2 metri dal punto in cui esso cade) e, catturandone 12,2, la percentuale che viene fuori è del 72,9%! Se si incasellano i risultati in ordine del numero totale di rimbalzi presi (facendo quindi un paragone tra “pari ruolo”), il numero 0 dei Pistons è primo per percentuale. Nessuno fa meglio di lui, nessuno.
Difensivamente non si raggiungono questi livelli d’eccellenza, ma la percentuale concessa quando c’è lui ha presidiare il ferro è pari al 49%. Non il 38% (inumano) di Hibbert, ma neanche il quasi 60% del pluricitato centro dei Clippers.
Ovviamente non sono tutte rose e fiori. I difetti (va da sé) restano ancora molti. Uno su tutti? Il 32,1% ai liberi. Si, avete capito bene. 32,1%. Da buon centro Drummond non vuol farsi mancare nulla e in questo segue il solco nella tradizione lasciato dai vari Chamberlain, Shaq o dal più recente Howard.
Ciò (ed anche altro) non toglie quanto di buono detto finora sul giocatore. E’ “soltanto” uno dei tanti aspetti da migliorare in un diamante grezzo che sta sempre più imparando a brillare.