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ESCLUSIVA: Intervista a Francesco Bonfardeci, “il contorno” è servito.

La tipica afa di un pomeriggio estivo, quella che mozza il fiato e porta inesorabilmente ad una crisi di nervi. Siamo delusi, Derrick non rilascia interviste, nemmeno a distanza cautelare.  E’ domenica 7 luglio, secondo e ultimo giorno dell’ NBA 3x a Milano, ci troviamo nella zona mista, con tre pass ottenuti sudando più di sette camice e uno scenario che è la sintesi perfetta dell’evento: Piazza Duomo gremita di tori rossi, fan più o meno scatenati accorsi per strappare almeno un autografo alla stella dei Bulls.

 Circondati dalle transenne e leggermente storditi dai cori dei tifosi, rimaniamo quindi con un pugno di mosche. O quasi.Il “quasi” non è a caso: qualcuno di molto più quotato di noi è riuscito infatti a fare qualche domanda al fenomenale prodotto di Memphis University. Si tratta di Francesco Bonfardeci, noto al pubblico di appassionati soprattutto per le sue telecronache delle partite NBA  su Sportitalia, rete che ha lasciato ormai da qualche anno per approdare alla corazzata di Rupert Murdoch. Il “Bonfa”, come viene soprannominato nell’ambiente, aveva intervistato Rose in diretta su Sky Sport 24 anche il giorno prima, ma si sa, Sky è il non plus ultra e può facilmente concedersi il bis.

 

Intravediamo Francesco prima dell’arrivo di Rose. Gli chiediamo una foto, scambiamo quattro chiacchere, ci sembra molto  disponibile. Così, quando è chiaro che a Rose non potremo rivolgere nemmeno un saluto, l’idea sorge spontanea: perché non fare un paio di domande a chi invece ha avuto la fortuna di intervistare l’MVP del 2011?  Bonfa, quando gli chiediamo se vuole rispondere ad alcune nostre domande, sembra quasi sorpreso, è ovviamente abituato a condurre le interviste e non a fare l’intervistato. Ma si dimostra ancora una volta alla mano e accetta subito.

 Gli concediamo giusto un caffè e poi si parte, con le nostre domande improvvisate all’ultimo minuto. Poteva rispondere in fretta e senza impegno, invece parla volentieri, trasformando l’intervista in una sorta di chiacchierata tra vecchi amici, come se ci conoscessimo da sempre. E la scaletta va presto a farsi benedire.

 

NBA RELIGION: Il grande pubblico degli appassionati di basket  ha iniziato a conoscerti a Sportitalia, dopo c’è stato il passaggio a Sky. Quali sono le principali differenze? Com’è lavorare a Sportitalia rispetto  a Sky?

FRANCESCO BONFARDECI: Mi sono trovato benissimo a Sportitalia e mi trovo benissimo ora a Sky. Quella di Sportitalia fu un’avventura bellissima perché la tv nacque nel 2004 ma la redazione si conosceva già da molti anni, perché lavoravamo insieme a Eurosport e Eurosport News, e quindi eravamo molto affiatati;  tutti giovani, molto amici e molto uniti, ci vedevamo spesso anche al di fuori del lavoro. C’era una grande empatia tra di noi. Il primo anno ci fu la grande occasione di trasmettere Italia-Stati Uniti di Colonia, partita storica; la svolta a livello di basket NBA arrivò l’anno dopo, con gli highlights, l’arrivo di coach Peterson e la possibilità di trasmettere la partita della domenica sera, il nostro grande evento in un orario ottimo per il pubblico italiano. Poi la rubrica quotidiana, con Trigari e Peterson: lavorare con lui è stata un’esperienza bellissima, perché è una persona che approccia il lavoro, lo sport e la vita in un modo molto positivo e divertente.

 

N.R.: Per quanto riguarda  la tua esperienza a Sky,  cosa significa lavorare con professionisti del calibro di Buffa e Tranquillo(ma anche di Mamoli e Pessina)? Hai qualche aneddoto da raccontarci, visto che li conosci anche personalmente, al di la dell’ambito professionale?

F.B.: A livello professionale sono sempre stati, continuano a essere e saranno sempre punti di riferimento. Flavio ha 9 anni più di me: lui è del ’62, io del ’71. L’NBA in Italia è arrivata con Peterson a inizio anni ’80, quando ero ragazzino; poi ricordo la voce di Flavio(Tranquillo ndr), che con Federico(Buffa ndr) ha dato un taglio particolare, molto specifico ed esclusivo, quindi sono assolutamente punti di riferimento. A livello di aneddoti… In realtà non ce ne sono, o meglio, se per aneddoto puoi considerare il fatto che qualsiasi cosa ti venga in mente e qualsiasi dubbio tu possa avere, a proposito di un gioco, un movimento o una definizione. Se io giro l’angolo, non quello del blocco ma quello della redazione, chiedo a Flavio e lui mi sa dire sempre e comunque, mi dà una spiegazione esauriente. E’ lecito avere dei dubbi: per un giocatore si dice sempre di allargare i confini del proprio gioco, lavorare sui propri punti deboli. La stessa cosa dev’essere, dal mio punto di vista dell’etica lavorativa, lavorare su quelle cose in cui sei meno forte, e cercare di capire che non hai mai finito di imparare. E soprattutto che l’evento è l’evento, non sei tu: tu sei una chiave di lettura, un punto di vista, un’analisi. L’evento è quello che stai commentando; personalmente cerco sempre di tenerlo presente.

 

 

N.R.:  Rimanendo su Sky( e qui il Bonfa ci anticipa, formulando per primo la domanda che avevamo in mente) Ci saranno i  fantomatici diritti per trasmettere? Perché ogni anno sembra che Sky Italia sia sempre sul punto di non riconfermare uno spettacolo così in espansione come l’ NBA?

F.B.: L’unica cosa che mi sento di dirti in questo momento è che sono politiche, dinamiche e scelte aziendali in cui la componente giornalistica può esprimere un parere fino ad un certo punto. Non può  incidere su un percorso decisionale che comporta una spesa o un coinvolgimento economico. Comunque sono ottimista, c’è la volontà, ci sono due soggetti che trattano e che probabilmente cercano un punto di contatto. Anche se ciò non vuol dire che poi le cose si realizzino.

 

N.R.:  Hai mai assistito alle finali NBA o più semplicemente a qualche partita di playoffdal vivo? Qual è l’atmosfera che si respira nel pre-gara?

F.B.: Le finali NBA purtroppo no, perché ho cominciato a lavorare molti anni fa, ma prima mi sono occupato di altro, quando ho iniziato a seguire il basket NBA su base quotidiana, c’era bisogno di persone che venissero in redazione per fare il lavoro. E anche quando mi sono trovato a lavorare a Sky, la coppia di commentatori per le finals è sempre stata Tranquillo-Buffa e sono mancate le presenze “on site” (sul luogo ndr) come si dice. Quindi mi è sempre stato impossibile, mi piacerebbe un giorno poter vivere le emozioni delle finals.

 

N.R.: Hai avuto l’onore di intervistare Derrick Rose  per ben due volte, ma oltre alla giovane stella dei Bulls, ci sono altri giocatori NBA che ti è capitato di intervistare? Chi di questi ti ha lasciato una buona impressione e, mettendo un po’ di pepe, chi invece ti è sembrato meno simpatico?

F.B. : All’ultima ovviamente non rispondo… Ci sono giocatori, grandi campioni che hanno un feeling inferiore rispetto ad altri per i rapporti con la stampa e i media. Derrick mi ha fatto un’impressione notevole, perché dal primo momento in cui ha messo piede in studio, l’abbiamo visto molto gentile e disponibile.  Prima di andare in diretta mi è parso calmo e rilassato, si trattava comunque di una diretta di 25 minuti in un posto che non conosci, con gente che non conosci e in un paese che non conosci. Si è fermato a parlare con me una decina di minuti ed è stato molto attento alle cose che gli dicevo e al modo in cui era strutturata la scaletta. Ed era molto sorpreso del fatto che in Italia qualcuno conoscesse la sua storia.

Un giocatore molto divertente, con cui è stato davvero un piacere chiacchierare, anche perché parla la nostra lingua, è Kobe. Ho avuto modo di intervistarlo più volte l’anno scorso a Barcellona prima dei giochi olimpici, quando Team USA ha giocato contro Spagna e Argentina. Siamo stati a Barcellona una settimana, abbiamo seguito il percorso. Per Kobe parlare in italiano era un piacere.  Anzi, è stato molto divertente  il fatto che alla fine delle partite, nella cosiddetta “mixed zone” (zona mista ndr) riservata alla stampa,  avessi attirato l’odio di tutti i giornalisti americani e spagnoli, perchè alla prima domanda in italiano Kobe cominciava a rispondere e non lo mollavo fino alla decima. Molto disponibile e simpatico, anche perché in una sorta di modalità ecumenica. Poi c’è il Bryant che deve dire anche la parolaccia in spogliatoio, il Bryant da playoff, il Bryant dei giochi olimpici. Era tale la rilassatezza di Team USA che sapevano che avrebbero dovuto giocare una partita e mezzo per vincere i giochi: un tempo con la Lituania e la finale contro la Spagna.

 

Il tempo per le domande è scaduto, meglio non approfittare della disponibilità senza fondo del Bonfa.  Così decidiamo, a malincuore, di concludere  l’intervista. Un vero clinic di giornalismo sportivo. Sperando di vederlo tornare l’anno prossimo a fare da contorno all’evento, in studio con Buffa, Tranquillo, Mamoli e Pessina. Perché l’NBA è spettacolare, ma senza di loro forse sarebbe più insipida.

*Scritto con la gentile collaborazione di Giacomo Sordo

 

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