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L’importanza di chiamarsi Marshall Henderson

Marijuana. Alcool. Cocaina. Soldi falsi. Galera. L’odio di milioni di americani. 20 punti a partita.

Marshall Henderson non è il vostro classico leader. Non è un modello di vita. Non è nemmeno il miglior giocatore del college basket. Marshall Henderson non cerca la vostra simpatia, anzi. Ma potrebbe ottenerla.

A poche partite di distanza dalla fine della sua carriera collegiale, omaggiamo il giocatore più affascinante e controverso degli ultimi anni.

Il finale della partita contro Auburn del 26 gennaio 2013 ben rappresenta Marshall Henderson: lui, fiero ed esagitato, provoca la tifoseria avversaria scuotendo la sua canotta e mostrando loro il nome della propria università, Ole Miss. Festeggia e si batte veementemente il petto, tutto ciò dopo aver messo a segno i due tiri liberi decisivi per l’ennesima vittoria dei suoi. Gli spettatori di casa, già non parchi di insulti durante la partita, mostrano il proprio disappunto con ulteriori male parole e gesti non propriamente benevoli. Solo un uomo della sicurezza rimane impassibile e, anzi, sorride: è forse l’unico spettatore di quello show non accecato dall’odio e capace di riconoscere un momento di pura e sincera follia agonistica.

Marshall Henderson nasce il 9 settembre 1990 a Forth Worth, Texas. Figlio di Shelley, un’assistente di volo, e Willie Henderson, un’allenatore di pallacanestro liceale.

Le radici cestistiche della famiglia Henderson sono però molto più antiche e si riallacciano agli inizi della storia degli Stati Uniti, ancor prima che del basket: il nonno, Lonnie, è infatti un nativo americano puro sangue, discendente della tribù dei Cochtaw. Lonnie allenerà il padre e lo zio di Marshall e lo stesso nipote nei suoi primi due anni di elementari. Il papà Willie decide di continuare la tradizione e porta il piccolo Marshall agli allenamenti della sua squadra e così il giovanissimo Henderson si ritrova ad essere uno studente del gioco praticamente subito dopo aver imparato a parlare.

L’amore per il basket però non è costretto dal padre o dal nonno, ma è totalmente sincero e incondizionato: a sei anni si sveglia di sua spontanea volontà un’ora prima di andare a scuola e va a tirare al canestro appeso dietro casa e rientra giusto in tempo per pulirsi dal fango che lo ricopre e andare alle lezioni. Sin da bambino Marshall è guidato da una passione sfrenata per il gioco e lo mette in mostra anche nelle partite con i coetanei: in prima elementare segna da tre punti con canestri regolamentari, ma non si parla di due o tre canestri, ma di partite da 30 punti. Una volta, in terza elementare, toccherà anche i 58 punti in una singola partita. E’ già qui che inizia ad essere preso di mira ed insultato durante le partite: segna come nessun altro, vince e vive la sua passione in maniera incontrollabile, urlando e battendosi il petto, l’unico modo che conosce per affrontare lo sport e la vita. Gli altri, invidiosi e sconfitti, non possono che prenderlo a male parole. Lui, esaltato da ciò, si diverte, ed usa la negatività altrui a suo vantaggio e quando impara qualche nuova parola la ripete ad amici e parenti, col disappunto della mamma.

L’infanzia prosegue così tra l’amore per la pallacanestro, una natura già ribelle e ultra competitiva e l’arrivo di due sorelle ed un fratello (un’altro arriverà poi durante i suoi anni al liceo). Marshall odia essere chiamato un tiratore naturale ed è comprensibile, date le ore che passa a tirare e ad allenarsi per poi poter scendere in campo e raggiungere l’estasi del canestro, una dipendenza che lo caratterizza sin dalla tenera età.

La famiglia Henderson continua a trasferirsi in base al lavoro di Willie che porta la compagine a Wichita Falls, Waco e infine nell’area di Dallas-Fort Worth. La scelta del liceo non può che ricadere sul liceo della zona, la L.D. Bell High School, ad Hurst, dove la squadra di pallacanestro è allenata proprio dal padre Willie. Sul campo i numeri sono eccellenti, con 26 punti di media accompagnati da 5 assist, altrettanti rimbalzi e 4 palle rubate a partita. Ma questo è anche quello che Marshall considera tutt’oggi il periodo peggiore di tutta la sua giovane vita: freakin’ miserable sono le parole che usa per descrivere l’esperienza. La sua natura ribelle si scontra tremendamente con la realtà di avere un padre-allenatore che continua a svolgere il proprio lavoro anche tra le mura di casa. Questa situazione non può che far esplodere il giovane Marshall che, esasperato, deciderà di andarsene di casa durante l’anno da senior e di trasferirsi dai nonni materni.

In questa situazione si ritrova però in difficoltà economiche ed entra in una spirale che lo porta a cercare di comprare per due volte 59 grammi di marijuana con 800 dollari falsi, in modo da poter poi rivender il prodotto ed ottenere soldi reali. Cerca anche di cambiare 100 di questi dollari con valuta vera, ma in men che non si dica trova alla sua porta due agenti dei servizi segreti: terrorizzato non riesce a far altro che buttare i soldi nella spazzatura, ma questo non lo salva dalla condanna e dalla libertà vigilata che, per un reato minore come questo, il primo per Marshall, gli permetterebbe di mantenere una fedina penale pulita in cambio di servizi sociali e mancanza di altre violazioni della legge.

Adesso però gli interessa solo giocare a basket e c’è da scegliere il college in cui andare a costruirsi una carriera. Le offerte non mancano e, tra gli altri, ricordiamo gli interessamenti di Notre Dame, Stanford e Gonzaga, non proprio gli ultimi dei programmi. Marshall però vuole giocare tanto e segnare anche di più, quella è la sua dipendenza, e decide quindi di optare per Utah dove crede di poter avere più spazio.

In effetti parte titolare in 30 partite su 31 e prende una grande mole di tiri (6.5 solo quelli da tre), finendo la stagione da freshman come secondo miglior realizzatore della squadra. Per quanto terribile sia stata l’esperienza da figlio dell’allenatore, Marshall però incomincia a riallacciare i rapporti col padre in questo periodo ed è proprio Willie ad aver insegnato al figlio, sin da ragazzino, una lezione che Marshall non dimenticherà e continua a portare avanti tutt’oggi: “tu non puoi dominare col fisico”, gli dice, “quindi dovrai essere differente, dovrai dare di più sotto altri aspetti”. Per il giovane Henderson quegli aspetti sono l’allenamento e la costante energia portata sul campo da gioco, l’ossessione per la vittoria. Proprio questa eccessiva energia, questa passione, lo portano talvolta a sorpassare la linea della liceità e, il 30 gennaio 2010, arriva la prima di spiacevoli situazioni sul campo, quando scatena una rissa dopo aver colpito con un pugno Jackson Emery di BYU. Risultato: espulsione e sospensione per una gara.

Il resto della stagione però prosegue piuttosto serenamente, ma Marshall vuole riavvicinarsi a casa e oltretutto ha una visione della pallacanestro divergente da quella di coach Boylen, che vorrebbe veder diminuire la mole di tiri del ragazzo. Dopo una stagione da 14 vittorie e 17 sconfitte decide quindi di trasferirsi a Texas Tech. Pat Knight, allora allenatore dei Red Raiders, ha una routine di allenamento per i suoi, che consiste nel far prendere 75 tiri ai giocatori da diverse posizioni del campo: Henderson fa 71 su 75, il rilascio è rapidissimo e l’arco formato dal pallone raggiunge vette siderali, rendendo il tiro sostanzialmente immarcabile. Il tacito accordo è che una volta sul campo Marshall avrà in mano le chiavi della fase offensiva e il rapporto trai due inizia nel migliore dei modi. Essendo un transfer però Marshall deve stare fermo per un anno e durante la stagione Pat Knight viene licenziato. Henderson decide allora di andarsene e, per non dover stare nuovamente fermo, si accasa in un Junior College a sole 25 miglia a ovest dal campus di Texas Tech, a South Plains.

Marshall guida i suoi ad una stagione perfetta, 36 vittorie e 0 sconfitte, e segna 20 punti a partita con una media superiore ai 10 tentativi da dietro l’arco, divenendo il Junior College Player Of The Year. Nella finale del torneo NJCAA segna 32 punti contro Northwest Florida e a fine partita il primo ad andare ad abbracciarlo è nonno Lonnie. Ne ha fatta di strada il bambino che si svegliava prima di andare a scuola per tirare a canestro.

L’11 gennaio 2012 però la separazione dalla fidanzata gli fa perdere la testa e si dà quindi ad una due giorni di droga e alcool: si presenta ad uno dei meeting obbligatori per la sua situazione di libertà vigilata sotto l’effetto di stupefacenti, violando così i termini della sua probation e venendo condannato a 25 giorni di prigione, scontati quella stessa primavera alla Tarrant County Jail, Texas.

Molte squadre della NCAA sarebbero interessate ad un realizzatore come Henderson, ma i problemi fuori dal campo e l’eccessiva foga del ragazzo durante le partite spaventano la maggior parte degli allenatori di Division I, ma non Andy Kennedy: il coach di South Plains, Steve Green, è un conoscente di vecchia data di Kennedy e, sapendo che l’amico è alla ricerca di un realizzatore, non può che proporgli il prodotto da Fort Worth. Kennedy, anche lui ottimo realizzatore ai tempi del college a UAB, ne riconosce l’enorme talento e porta quindi Marshall ad Ole Miss con l’unica richiesta di rimanere pulito. I primi allenamenti, dopo il periodo in prigione, non sono particolarmente impressionanti con Henderson che prende più ferri che canestri realizzati, ma lavorando come nessun altro si toglie la ruggine di dosso e all’inizio della stagione è pronto per il Marshall Henderson Show.

Il 9 gennaio alla Thompson-Boling Arena di Tennesse segna 24 dei suoi 32 punti nel secondo tempo e porta Ole Miss alla prima vittoria esterna contro i Volunteers in 22 anni. Il 15 gennaio è il momento di Vanderbilt: Marshall, sempre in trasferta, segna allo scadere dai 10 metri per concedere ai suoi l’overtime e quindi la vittoria nel tempo supplementare. Il 26 dello stesso mese è l’ora di Auburn e del momento che abbiamo visto all’inizio del nostro racconto. Marshall gioca una brutta partita, tira solo 4-15 dal campo, ma segna i due liberi della vittoria per i suoi. Dopo due ore di insulti l’ultima risata è ancora la sua. Il resto è storia.

Ormai si ritrova nei notiziari sportivi nazionali insieme ai vari Lebron e Kobe, sia per le sue incredibili prestazioni, ma anche e soprattutto per le sue reazioni e provocazioni agli avversari. Vale la pena di avere 20 punti a partita in cambio di certi comportamenti? A Ole Miss sanno già la risposta. Per molti invece Henderson è un idiota, non sa vincere, è un esagitato: forse potremmo ribaltare il discorso e dire lo stesso dei 50enni nei palazzi di tutta la middle America perbenista che lo riempiono di insulti e non hanno nemmeno la scusante di vivere l’adrenalina del gioco, ma tant’è, sbatti il mostro in prima pagina, come si suol dire.

Nel frattempo Ole Miss è 16-2 e 6-0 nella SEC, miglior partenza nella storia dell’ateneo. Seguono ovviamente delle sconfitte che mettono in dubbio la partecipazione al torneo NCAA, ma prima c’è da disputare il torneo di conference, che conferisce una partecipazione automatica alla squadra vincente: Marshall segna 27 punti nei quarti contro Missouri, 23 contro Vanderbilt e chiude con 21 punti nella finale con Florida, una delle migliori difese della nazione. Lui festeggia a modo suo, facendo il verso ai tifosi dei Gators imitando il “Gator’s Chomp”, il morso dell’alligatore, gesto distintivo della tifoseria di Florida. Henderson non sa vincere, non dovrebbe irridere gli avversari, è uno psicopatico etc. etc. o forse è l’unica persona sul campo a vivere con completa sincerità le proprie emozioni, non nascondendosi dietro a falsa indifferenza per i risultati ottenuti. D’altra parte è l’unico modo che conosce per vivere questo sport.

Mississippi è così al suo primo torneo NCAA in 10 anni e prima dell’inizio delle ostilità Marshall tiene una conferenza stampa: qui si dice tifoso di Duke, scatenando fantasie sull’odio aggiunto che avrebbe potuto ottenere andando ai Blue Devils (squadra più odiata d’America ndr), e soprattutto afferma di esser stufo di giocare a gratis e di voler essere pagato per le sue fatiche al torneo NCAA, dove tutti fanno i soldi maggiori, tranne naturalmente i giocatori. Ovviamente anche qui gli vengono dedicati servizi su ESPN e polemiche varie, sebbene non abbia fatto altro che avere il coraggio di dire ciò che tutti i suoi colleghi hanno sempre pensato. Non è un caso che il cantante preferito di Henderson sia un altro Marshall, Mathers, in arte Eminem, lo stesso che canta “I’m only giving you things you joke about with your friends inside your living room the only difference is I got the balls to say it in front of y’all”  e “I’m debated, disputed, hated and viewed in America as a motherfucking drug addict like you didn’t experiment?”. Rime, come molte altre dello stesso artista, che potrebbero tranquillamente essere uscite dalla bocca di Henderson.

Seppur a gratis Marshall non smette mai di dare il massimo sul campo da basket e guida la seed #12 Ole Miss ad un upset contro la #5 Wisconsin: in una partita a basso ritmo e con brutte percentuali, il ribelle odiato da tutta l’America inizia sbagliando 12 dei suoi primi 13 tiri, ma rimane per una volta particolarmente tranquillo e segna in 5 degli ultimi 8 tentativi dal campo e conduce i suoi ad una vittoria contro il basket paleolitico, ma efficace, dei Badgers. Qualcuno che sappia tenere a freno Henderson c’è ed è Marshall stesso: quando molti altri giocatori avrebbero perso la testa lui si è rivelato il più freddo di tutti. Marshall gioca in trance agonistica, in maniera quasi autistica, senza mai darsi tregua, salvo nel momento di un canestro o della vittoria, in cui il tempo del cronometro si ferma: è lì che raggiunge l’estasi che lo porta ad andare oltre a quello che concederebbe il buon costume. Al terzo turno contro #13 La Salle però il viaggio di Ole Miss si ferma in una partita equilibrata, in cui Henderson segna 21 punti, ma sbaglia il tiro che poteva dare il vantaggio ai suoi a 33” dal termine. Ci sono reclami per un fallo, ma la partita prosegue e La Salle vince allo scadere. La delusione è enorme, i tifosi di La Salle presenti a Kansas City ovviamente urlano di tutto rivolgendosi a Henderson che, enormemente deluso, perde la testa e mostra le terze dita delle mani al pubblico, che aveva dato della “whore” alla sorella e aveva continuato a riferirsi a lui come un cocainomane: ovviamente in questo caso non sono i tifosi che non sanno vincere, ma è lui a non saper perdere.

Finita la stagione scrive una lettera per ringraziare i propri tifosi e scusarsi per i propri eccessi e viene richiamato dalla NCAA per i suoi comportamenti fuori dagli schemi durante il torneo.

Se nel corso la stagione tutte le sue attenzioni sono concentrate sulla pallacanestro, il ragazzo perde però di vista l’etica lavorativa nella off-season: un assistant coach di Ole Miss contatta Chris Herren, ex giocatore NBA e ex tossicodipendente che ora aiuta persone con problemi di dipendenza, ma Henderson non risponde alle chiamate e, il 4 maggio, viene trovato con dosi, seppur minime, di marijuana e cocaina dalla polizia: niente per cui avere problemi con la legge, ma abbastanza da portare Ole Miss a sospenderlo.

Andy Kennedy, che paragona l’allenare Henderson ad una corsa su un toro, ha ormai però un rapporto di sincero affetto con Marshall e decide di sospenderlo per sole 3 gare, la prima della stagione e le prime due di conference, e reinserirlo nel programma. Marshall per la prima volta sente di aver ricevuto una seconda possibilità, un gesto di magnanimità da parte di una persona per cui nutre un enorme rispetto. E’ più che cosciente dei propri errori e non cerca di far ricadere le proprie colpe sugli altri, sul sistema o accampando altre scuse come fanno in molti. A chi gli chiede come si veda tra 10 anni lui risponde che vorrebbe aiutare, grazie al proprio ormai celebre nome, altre persone con problemi di alcool e droga, un po’ come fa Chris Herren, con cui, dopo la sospensione, ha finalmente avuto un incontro.

Nelle prime partite della sua stagione da senior Marshall si comporta effettivamente in maniera pressochè impeccabile, senza finire nelle notizie per i suoi compartamenti eccessivi, ma anzi, finendoci per l’esatto opposto: i media, quasi delusi, sottolineano la sua mancanza di comportamenti da prima pagina e la stagione di Ole Miss e dello stesso Henderson passano quasi nell’indifferenza generale. Segna anche 39 punti (con 10 triple) nella sconfitta all’overtime contro Oregon, ma le partite perse dopo 13 gare sono già quattro.

Con l’inizo della stagione di conference Marshall decide quindi di voler tornare ad essere se stesso, di dover tornare ad essere sé stesso nel modo di vivere le partite, per il bene suo e della squadra. Sarà un caso o meno ma, dopo aver iniziato 1-1 nella SEC in sua assenza, Ole Miss inanella 4 vittorie consecutive, l’ultima delle quali contro Mississippi State il 25 gennaio 2014. La partita in sé avrebbe poco da dire, ma mentre Marshall si sta avviando verso gli spogliatoi festeggiando con i propri compagni, senza irridere nessuno degli avversari, il coach di Mississippi State Rick Ray urla un “Fuck you!”, nei confronti del giocatore di Ole Miss. La notizia ovviamente non ha l’eco delle azioni di Henderson, sebbene sia molto più grave, considerando anche il fatto che sia giunta da un coach ben oltre quella che dovrebbe essere l’età della completa maturità.

L’odio da parte dei tifosi avversari continua: al posto delle rose lanciate agli eroi gli vengono lanciate banconote false e piovono insulti, la madre è lì a guardarlo mentre insultano lui e tutta la famiglia. Le tifoserie esultano quando è a terra dolorante, sperando in un infortunio. I dati dicono che in America all’età di 23 anni più del 40% degli americani hanno subito almeno un arresto per reati minori, ma in trasferta naturalmente ci sono solo distinti signori pronti a dargli del drogato e del “son of a bitch”: Marshall ormai è abituato a tutto ciò ed anzi trova nell’odio altrui la benzina del proprio instancabile motore e la possibilità per alleggerire i compagni dalla tensione delle partite, caricando sulle proprie spalle tutte le pressioni.

Nell’ultima partita disputata, ad oggi, ha regalato ai suoi la settima vittoria stagionale nella SEC (6-2 il record con lui in campo) con una prestazione da 29 punti con 15 tiri da tre. Prendere o lasciare: i risultati sembrano propendere per la prima opzione.

Ora mancano una decina di gare prima che il tempo ponga fine alla sua carriera collegiale a cinque anni, quattro college, due sospensioni e un arresto di distanza da dove era incominciata. Personalmente credo che dovremmo tutti ammirare in questi suoi ultimi minuti di gioco la passione di un ragazzo che non si è mai nascosto ed ha sempre affrontato la vita a muso duro, pagando le conseguenze delle proprie azioni e vivendo le proprie emozioni al massimo, fino quasi alla follia agonistica. Voi pensatela come meglio credete.

Un drogato. Un mangia palloni. Un esagitato. Un idiota. Non sa vincere. Non sa perdere. Potete etichettarlo come volete.

Oppure potete amarlo per quello che è: Marshall Henderson.

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