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Editoriali NBA

Il peso di essere Rookie

Durante l’estate si sono sprecate le lodi ed i paragoni illustri per una classe di rookie che, a detta di tutti, doveva essere la migliore dai tempi in cui i Pistons decisero di puntare il loro secondo gettone su un serbo, preferendolo ai vari Anthony, Bosh, Wade e compagnia. Riuscire a rispettare le immense aspettative e la spasmodica attesa non era compito semplice e certamente sarà rimasto deluso chi si attendeva infinite sparatorie e gare di trentelli tra un Wiggins e un Parker già dominanti; dopo una ventina di partite circa è comunque giunto il momento di tirare le prime, precoci, conclusioni sull’andamento dei debuttanti in NBA.
STATISTICHE ALLA MANO:

PUNTI: Tra i rookie solo tre giocatori possono vantare, al momento, una doppia cifra di media a partita e se per i primi due, Parker(12.5)-Wiggins(12.4), non c’erano dubbi, il terzo nome, ovvero quello di KJ McDaniels(10.1), può creare qualche perplessità in più. Il giocatore dei Sixers, scelto con la numero 32, sta disputando un’ottima stagione e in un contesto disastrato come quello di Philadelphia sta riuscendo ad imporsi e a mettere in luce tutte le sue doti. Saltatore ed atleta instancabile, non a caso guida la classifica per numero di stoppate a partita (1.5), può vantare anche un discreto tiro dalla lunga; mantenendo questi standard riuscirà di certo a lottare per il titolo di ROY oltre che a finire in tantissimi highlights.

RIMBALZI: A dominare la classifica dei rimbalzisti è Nerlens Noel con i suoi 6.6 palloni raccolti a gara, ai quali aggiunge oltre 8 punti di media, il lungo di Philadelphia dovrebbe essere al secondo anno ma come ben noto ha perso tutta la scorsa stagione causa infortunio; il prodotto di Kentucky ha lasciato intravedere qualche buono spunto anche se conoscendo il talento e la tenerissima età non ci si può che aspettare una costante crescita. Il secondo giocatore al primo anno a garantire più rimbalzi è il solito Jabari Parker(5.7) di cui già tanto si è parlato, molto più particolare ed interessante il nome di Tarik Black che attualmente risulta terzo con i suoi 5.7 rimbalzi di media di cui ben 2.8 offensivi a partita. Il giocatore in uscita da Kansas non era stato nemmeno scelto al draft, prima di firmare in estate un contratto con i Rockets che mai come quest’anno sembrano essere in grado di valorizzare i rookie; Black è riuscito a ritagliarsi minuti importanti, complice l’infortunio di Howard, mantenendo ottimi standard in un contesto vincente.

ASSIST: nella top 3 dei migliori passatori troviamo sul gradino più basso del podio Papanikolau con 3 assist serviti ad allacciata di scarpe, l’ex Barcellona ed Olympiacos si è calato al meglio nella sua esperienza a stelle e strisce risultando da subito tassello fondamentale, in uscita dalla panchina, per coach McHale. Al secondo posto di questa quanto mai momentanea classifica figura Zach LaVine con i suoi 3.2 assist a gara. Il giocatore dei Wolves ha tratto enormi benefici dall’assenza prolungata di Rubio che gli ha permesso di acquisire minuti importanti come playmaker adattato; in questo avvio di stagione LaVine si è dimostrato, anche se a corrente alterna, giocatore offensivamente completo e non solo animalesco schiacciatore come tanti lo avevano anzitempo etichettato, sarà da valutare meglio il suo impatto con il rientro del play spagnolo. A guidare in solitaria la classifica dei rookie assistman è Elfrid Payton con 5 passaggi vincenti a partita, il play dei Magic sta tuttavia faticando molto e a dimostrarlo ci sono le pessime percentuali dal campo (38.1%) e ai liberi (46.8%) oltre alle 2.3 palle perse di media che gli valgono il per nulla ambito primato tra le matricola.

EUROPEI:

Nell’attuale top 10 dei rookie figurano ben tre europei accomunati da un fattore non trascurabile: appartenere a squadre con ambizioni di postseason. Nessuno dei tre talenti made in Europe è stato scelto quest’anno e pur con percorsi e caratteristiche diverse sono riusciti a ritagliarsi un ruolo chiave nelle rispettive squadre. Il già citato Papanikolau è stato draftato nel 2012 dai Knicks, salvo essere poi entrato in un giro di trade che quest’anno lo ha condotto a Houston. In terra texana, il greco, ha conquistato un ruolo chiave e da subito è entrato nel cuore dei tifosi. Certo, da uno che a 24 anni ha già vinto due finali di Eurolega da protagonista non ci si poteva aspettare altro ma i precedenti non erano esattamente a favore.

Nikola Mirotic è stato preso al draft del 2011 dai Wolves che in seguito lo hanno girato ai Bulls. Il lungo montenegrino naturalizzato spagnolo sta viaggiando a 7 punti e 5 rimbalzi di media in un contesto, Chicago, dove i lunghi di livello certamente non latitano; favorito dalla momentanea assenza di Gibson, il classe ’91 potrà giocarsi già al suo primo anno chance importanti per la vittoria ad Est e chissà forse per qualcosa in più.
Il percorso di Bojan Bogdanovic non si distacca di molto dai due appena citati, arrivato a suon di milioni ai Nets (contratto da 10 in tre anni), dopo essere stato scelto al draft del 2011, e dopo il consueto giro di scambi, è riuscito a calarsi perfettamente nel contesto USA. Il croato sta viaggiando a 9 punti di media a Brooklyn in quasi 30 minuti di impiego a serata.

L’esperienza maturata in Europa sembra aver avuto un ruolo chiave nella crescita di questi tre straordinari talenti.

 

SOTTO LE ASPETTATIVE:

Molti giocatori fino a qui non hanno tenuto fede alle grandissime aspettative che li hanno accompagnati al loro ingresso nel mondo professionistico. Certo, c’è da dire che un giocatore non può essere valutato in base ad una manciata di gare e, soprattutto, molti talenti verranno fuori sul lungo periodo. Per onore di cronaca citeremo alcuni da cui era lecito attendersi qualcosa in più al pronti via. Doug McDermott, uno dei giocatori più chiacchierati e forse più completi dell’intero draft, sta facendo molta fatica ad ambientarsi nel contesto Bulls. Nessuno si aspettava un giocatore da 20 punti a partita, sia chiaro, ma quantomeno un buon cambio in uscita dalla panchina, in grado di regalare qualche punto, soprattutto al fronte dell’incredibile arsenale offensivo a sua disposizione. Al momento il recordman di Creighton sta faticando tantissimo anche solo a trovare spazio (appena 11 minuti a partita e spesso frutto di garbage time), il talento comunque c’è ed è indiscutibile, quindi non stupiamoci troppo se tra un paio d’anni potrà risultare un giocatore chiave.
Dante Exum è indubbiamente un altro di quei giocatori che tutti attendevano spasmodicamente, la stagione fino a qui non è assolutamente da incorniciare, anzi, ma nel suo caso le attenuanti sono tantissime. Classe ’95 avrà ancora molto tempo per lavorare e migliorarsi, senza dimenticare che non ha mai giocato al college e quindi per la prima volta si trova ad affrontare un determinato tipo di basket; in tanti valutano il salto da NCAA ad NBA brutale, figuriamoci se si passa dai Koala a KD.

I Kings quest’anno stanno disputando un buon inizio di regular season, sicuramente sopra le aspettative, interessante il fatto che l’ottava scelta assoluta Nik Stauskas non abbia apportato alcun contributo di rilievo. Anche in questo caso bisogna fare delle dovute premesse, essendo i rookie argomento da toccare con le pinze, il canadese non era atteso come il salvatore della patria nè tantomeno come il go to guy, ma come un mortifero tiratore dalla lunga che garantisse maggiore spazio in area per l’animalesco Cousins; i 14 minuti di media con 3.4 punti e meno del 25% dall’arco sono fattori indicativi delle difficoltà che sta riscontrando il canadese.

 

INFORTUNI:

Ad incidere sul rendimento di molti rookie resta il fattore infortuni che vede sempre più giocatori coinvolti in traumi più o meno lunghi da digerire. Oltre al lungodegente Embiid, già fuori puori prima di inizio stagione, si sono aggiunte altre assenze a lungo termine molto importanti come quella di Randle. Lo stesso Smart dei Celtics è stato costretto a saltare numerose partite e solo da qualche notte è tornato disponibile. Il lavoro eccessivo e lo stress a cui sono sottoposti questi ragazzi appena sbarcati in NBA influisce moltissimo sul fisico e sulle prestazioni.

 

LA PARTITA MIGLIORE:

Nonostante le difficoltà notevoli incontrate dalla maggior parte dei rookie qualcuno è riuscito ugualmente a regalarsi una notte speciale. Zach LaVine è stato, con ogni probabilità, l’autore della miglior prestazione di una matricola in questa stagione; i suoi 28 punti nella vittoria per 120 a 119 contro i Lakers a LA, sono stati frutto di una gara pressoché perfetta. 2/2 dalla lunga, 4/4 ai liberi, 5 assist ed un sontuoso 11/14 totale al tiro, per carità Lin non sarà il più arcigno dei difensori, ma il prodotto di UCLA si è divertito a stuprarlo, cestisticamente parlando, per tutta la serata mettendo in luce un repertorio offensivo invidiabile.

 

CONCLUSIONI:

Per trarre conclusioni, come già accennato, è ancora presto e forse nemmeno tra un paio d’anni si avrà un quadro completo ma dai dati fino a qui raccolti pare lapalissiano che approdare troppo giovani nella NBA contemporanea sia controproducente. L’ipotesi avanzata da Silver e soci di obbligo di conclusione del college prima dell’eleggibilità non sembra essere così campata in aria sia da un punto di vista emotivo che di maturità. I vari europei lo insegnano e mai come questo anno pare evidente, l’esperienza e la formazione aiutano senza dubbio a fare il salto necessario per potersela giocare al pari con i mostri sacri. L’invito è comunque quello di prendere con le pinze questa prima stagione in NBA, parlando di ragazzi di nemmeno vent’anni i margini di miglioramento sono immensi così come il tempo di abituarsi ad una determinata realtà mediatica è individuale. Siamo davanti ad una delle migliori classi della storia? Solo il tempo ci potrà rispondere.

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