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Editoriali NBA

Alice in Spree-land (Parte 1)

C’era una volta, in un paese lontano, lontano,
una famiglia che viveva il sogno americano…

La storia che stiamo per raccontare non parla di una bambina inglese che insegue un coniglio bianco vestito di panciotto e orologio da taschino, ma ci condurrà, per una via diversa, nello stesso paese di follia dove quella bambina, seguendo quel coniglio, è caduta. Questa storia inizia a Milwaukee, nel freddo e spensierato stato del Wisconsin, l’8 settembre del 1970, quando della famiglia di cui sopra entra a far parte un bambino che risponde al nome di Latrell. Certo, il “sogno americano” che vivono loro non è esattamente quello hollywoodiano di villette a schiera con giardino e piscina, di suv e golden retriever da portare a spasso su lunghi viali alberati. Il sogno americano della famiglia di Latrell assomiglia di più all’incubo americano: il padre, Latosca Fields, divide le sue giornate tra i due amici Jack Daniels e Johnnie Walker, la madre, Patricia Sprewell, lavora 27 ore su 24 per tentare di mettere il pane in tavola, riuscendo egregiamente nel compito, non fosse per i già menzionati amici del marito. E come nei migliori incubi americani, quando Latosca è a casa, forzatamente lontano dalle sue solite, inebrianti, compagnie, non è capace di tenersi le mani nelle tasche. È soprattutto Patricia a farne le spese, per anni, subendo in silenzio. Ma poi ci sono le sere veramente drammatiche. Tipo la sera in cui Latosca rientra a casa ubriaco marcio e particolarmente di malumore e Patricia non è ancora tornata dal lavoro e la cena non lo aspetta fumante sul tavolo. Una combinazione di elementi assolutamente poco consigliabile, che porta Latosca a sfogare rabbia e frustrazione prima sulla casa e tutta la sua gamma di mobilio e oggettistica, poi sui figli, ivi compreso Latrell. Quando Patricia rientra, si prende le botte avanzate. Poi, oltre al danno, la beffa, Latosca raduna tutte le sue cose, ruba tutto quello che valga la pena rubare, e decide di sparire dalla vita della sua famiglia. Ma Patricia non ne può più. Dopo anni di silenzio, finalmente decide di parlare e denuncia Latosca, un giudice prende in mano il caso. Risultato: Latrell Sprewell ha sette anni, e suo padre è un galeotto.

I bambini debbono avere un padre” avrà pensato Patricia dopo il fattaccio, e, nel tentativo di ristabilire una certa serenità familiare, si trova un altro uomo. Ma Patricia si dimostra essere una persona non troppo abile nelle scelte, perché il nuovo compagno è tanto simile a Latosca da non far sentire affatto la sua mancanza. La famiglia così ristrutturata è costretta a qualche trasferimento, fino a raggiungere la ridente cittadina di Flint, stato del Michigan. Qui Latrell ritrova suo padre Latosca ma, soprattutto, decide di fare un provino per entrare nella squadra di basket della scuola che ha, come sua stella, un certo Glen Rice (futura star di Miami Heat e Charlotte Hornets, oltre che campione NBA con i Los Angeles Lakers). Latrell era stato abituato a non aspettarsi troppo dalla vita, e così non se la prende troppo quando il coach di Flint gli dice che, secondo lui, è troppo gracile per giocare nella sua squadra. Senza fare una piega, il giovanotto se ne torna ai suoi playground, a giocare con gli amici. Ma la svolta è ormai dietro l’angolo. La famiglia si trasferisce di nuovo e ritorna, infine, alla nativa Milwaukee. Qui Latrell si iscrive all’ultimo anno di liceo, alla Washington High School.
Un giorno, mentre si aggira per i corridoi della scuola, lungo e esile com’è, attira l’attenzione di coach Gordon, che allena la squadra di basket e gli chiede di andare a fare un provino. Latrell accetta senza fare troppe domande e quel pomeriggio si ritrova in palestra a fronteggiare, con i suoi 196 cm, il centro titolare della squadra. Anzi no, non proprio, il verbo utilizzato è sbagliato, riformuliamo. Quel pomeriggio si ritrova in palestra a massacrare, con i suoi 196 cm, il centro titolare. Gordon non perde un secondo e lo inserisce subito in squadra: Latrell lo ringrazierà con una stagione da 28 pts di media. Gracilino dicevano.

Ma era una parentesi. Doveva esserlo, perché Latrell Sprewell a fare il giocatore di basket professionista non ci aveva mai nemmeno lontanamente pensato. Però…

Però Latrell non è una persona cauta. Non è del tutto colpa sua probabilmente, del resto chi gli avrebbe mai potuto insegnare ad essere cauto? Ma questa volta la sua mancanza di cautela lo getta in un mare di guai. Ha 17 anni quando mette incinta una ragazza, sua coetanea, una di quelle che andava a vedere le partite e faceva sempre il tifo per lui. Non ha un soldo bucato, e la sua famiglia è quanto di più instabile possibile. Latrell si ritrova nella condizione di dover ripensare alla possibilità di prendere la strada del college. Ma più che la mancanza di denaro, già di per sé una bella gatta da pelare, il vero problema sono i suoi voti, non esattamente da primo della classe. Inoltre, nonostante le prestazioni maiuscole della stagione precedente, non tutti sono disposti a prenderlo in considerazione. Potrebbe essere anche solo un fuoco di paglia. Solo il fidato coach Gordon, l’uomo che aveva creduto in lui l’anno prima, decide di prendersi a cuore il suo destino, e fa una telefonata. Il destinatario è un suo vecchio amico, John Hammond, che al giorno d’oggi è il GM dei Milwaukee Bucks, dopo una carriera che lo ha visto anche a Detroit (assistant GM e assistant coach) e Los Angeles, sponda Clippers, ma che all’epoca è “soltanto” l’assistant coach della South West Missouri State University. John gli dice che una guardia alta e smilza non gli serve, ma si ricorda di avere a sua volta un amico, e pensa che tentar non nuoce. Così è lui a fare una telefonata. L’amico di Hammond fa l’head coach al Three Rivers Community College, sede a Poplar Bluff, stato del Missouri. Un posto tranquillo, con poche pretese. Di certo non è Kentucky, né Duke, ma il coach decide di dare una possibilità al giovane Latrell, che si trasferisce così alla sua corte. Non passa nemmeno una settimana che parte una nuova telefonata. È il coach di Three Rivers che chiama direttamente coach Gordon, il quale, quando capisce chi sia il suo interlocutore, comincia subito a scusarsi, sicuro che il suo pupillo abbia combinato un casino. Ma dall’altra parte del telefono lo fermano:«Mai visto un giocatore così!», concetto sottinteso: “è un fenomeno”. Nel suo primo anno (’88-’89) Latrell fa segnare ottime medie: 16.5 pts, 1.7 ast, 8.4 rbd, con uno stupefacente 52% dal campo, e l’anno successivo (’89-’90) concede il bis, deliziando gli osservatori con 26.6 pts, 2 ast e 9.1 rbd, il tutto con il 51% dal campo. Numeri che trascinano Three Rivers alla finale di stato. Il college basket non può più ignorarlo.

All’epoca, nella prestigiosa Alabama University, allena un certo Winfrey “Wimp” Sanderson. Wimp ha un problema. Ha reclutato in squadra due magnifici realizzatori, l’ala grande Jason Caffey (che avrebbe vinto due anelli nei ’90, con la casacca dei Chicago Bulls) e la guardia tiratrice James “Hollywood” Robinson, e inoltre può contare sulle prestazioni di un’ala smilza e riservata rispondente al nome di Robert Horry (che, in quanto a gioielleria NBA, è secondo solo a un certo Bill Russell), eppure gli manca qualcosa. Ha bisogno di uno specialista difensivo. Un tipo che non abbia troppe pretese, che marchi stretto come non ci fosse un domani e che in attacco non pretenda troppi tiri. È l’identikit di Latrell Sprewell. Così il ragazzo prende armi e bagagli e raggiunge Tuscaloosa. Qui lo mettono in camera con il futuro “Big Shot”. I due legano, anche se Robert è spesso assalito da attacchi di violenza omicida nei suoi confronti, soprattutto quando la sveglia di Latrell, che dal padre Latosca ha ereditato una certa passione per gli stereo e la musica a tutto volume, si mette a suonare alle cinque di mattina. Ma sono attacchi che poi passano, visto che gli allenamenti di Wimp Sanderson iniziano alle sei e che è solo grazie a Latrell e alle sue sveglie moleste se i due sono sempre in orario. Ad Alabama Latrell incanta: nel ’90-’91 gioca 26 minuti di media segnando 8.9 pts a partita con il 51% dal campo e il 41% da tre, l’anno dopo, ’91-’92, chiude con 17.8 pts, 5.2 rbd e 2 ast, in 36.2 minuti di media, questo il dato più alto di tutto il college basketball. Nel torneo NCAA, come l’anno prima, Alabama non va troppo avanti, ma Latrell viene nominato miglior giocatore della Southeast Conference. Di nuovo il telefono di coach Gordon squilla. Dall’altra parte c’è un altro vecchio amico, un vecchio amico che si chiama Don Nelson, all’epoca head coach dei Golden State Warriors. Don dice a Gordon che quel suo ragazzo, quello Spree, gli interessa. Gordon balbetta dei ringraziamenti, riattacca, si calma un attimo, poi riprende in mano la cornetta e chiama Spree:«Ehi, Spree. Trovati un agente.» «Ok» è la risposta che giunge da Tuscaloosa, poi Latrell riattacca. Dopo cinque minuti però il telefono di Gordon squilla di nuovo:«Scusa coach, un agente per che cosa?» fa la voce di Spree. «Un agente per l’NBA. Don Nelson, il coach di Golden State, è interessato.» Così Spree si trova un agente, ma ancora senza nutrire troppe speranze. Pensa che magari riuscirà a trovargli un posto in Europa, ma l’NBA… Sarebbe folle sperare nell’NBA.

È il 24 giugno 1992, siamo a Portland, e David Stern è già un po’ stanco. Ha appena snocciolato 23 nomi, stretto la mano a 23 colossi, sentito troppe grida e visto troppi flash. Si è visto passare davanti Shaquille O’Neal, Alonzo Mourning, Christian Laettner, Tom Gugliotta, Robert Horry, Doug Christie. Ma deve continuare lo spettacolo e così si appresta a una nuova chiamata: “With the 24th pick of the 1992 NBA Draft, the Golden State Warriors select Latrell Sprewell, from Alabama University”. Anche Spree è esterrefatto. Don Nelson ha davvero creduto in lui. Nessuna delle parti in causa è cosciente di che affare stia facendo in quel momento.

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