Primo Piano

Un anno di NBA

Kyrie telefono casa

di Nicolò Basso

Un numero irraggiungibile che squilla a vuoto, messaggi senza risposta consegnati alla fantomatica ‘segreteria’ social, che nulla dimentica. L’istantanea Twitter di benvenuto al suo arrivo tra le fila dei Celtics, nel settembre 2017, è metafora del biennio a tinte biancoverdi di Kyrie Irving.

Data la lotta contro le etichette affibbiategli – di primadonna tra le altre –, la sua parentesi a Boston somiglia a un autentico romanzo di formazione. Nel corso dell’anno solare hanno fatto capolino in varie forme le tensioni e i timori che, sportivamente parlando, il giocatore stesso aveva anticipato al Media Day 2018. Messo di fronte al carico di aspettative crescenti e con il fardello di dover dimostrare qualcosa – a sé stesso in primis – Irving ha cercato invano una valvola di sfogo a una leadership straripante. Tuttavia, l’escalation di uscite a mezzo stampa, attacco frontale e senza troppi filtri al nucleo giovane del gruppo, ha fatto scattare presto l’allarme all’interno del roster.

La dichiarata scarsa attitudine mediatica, un eufemismo, ha completato il quadro. In un universo NBA che si regge per l’appunto sulla comunicazione mediata tra atleti-addetti ai lavori-tifosi – consigliatissimo questo pezzo a firma di Tom Haberstroh – le scuse e il successivo passo indietro hanno ottenuto un effetto boomerang rispetto al desiderato. Irving è rimasto prigioniero delle stesse inestricabili etichette di cui sopra. Ne è emersa infatti una tendenza accentratrice che ben poco ha giovato non solo alle dinamiche di squadra, ma soprattutto alla percezione del giocatore, dentro e fuori dal rettangolo di gioco.

A ciò si è aggiunto il ribaltone in cinque gare subìto per mano di Milwaukee Bucks al secondo turno Playoff, quattro sconfitte in fila e un’eliminazione senza appello. Un momento ‘no’ coinciso con la peggior performance balistica in carriera nella postseason [58 tiri sbagliati in combinato tra gara 2 e gara 5]. Con la free agency alle porte, la fan base più critica e diffidente nei suoi confronti era arrivata addirittura ad attribuirgli una falsa intervista audio di autoassoluzione all’interno di un programma radiofonico sulle frequenze locali di 98.5 The Sports Hub (giudicate voi). Irving aveva senza dubbio visto e sentito abbastanza.

Tra rifiuto della player option e contestuale cambio d’agenzia, l’estate è trascorsa in maniera frenetica, sempre più lontano da Boston. Il passaggio alla Roc Nation di Jay-Z, fino a pochi anni prima azionista di Brooklyn, è stato il primo indizio circa la chiacchierata destinazione futura. Cresciuto a West Orange, New Jersey, Kyrie questa volta ha fatto il proprio gioco carte in mano.

L’approccio al mondo Nets, franchigia rivoluzionata in sede di mercato e a livello di management, non è stato dei più semplici. Dopo appena tre partite di calendario, ESPN scriveva già di un Irving ‘lunatico’, ‘soggetto a sbalzi d’umore’; ennesimo report in linea con la narrativa consolidata della superstar sfascia-spogliatoio. L’infortunio alla spalla di metà novembre che ancora lo tiene lontano dal parquet ha oscurato quanto messo in mostra in appena undici uscite stagionali giocate a livelli da MVP, compreso il cinquantello da record al debutto.

Il periodo ai box – terza stagione consecutiva  con quindici e più partite saltate –  non ha messo Irving al riparo da critiche e sfottò, anzi. La mancata partecipazione alla recente sfida da ex di lusso contro i Celtics ha scaldato voci altisonanti e fuori dal coro.  Allineatisi al pensiero del tifoso medio, Kendrick  Perkins e Kevin Garnett sono entrati a gamba tesa parlando rispettivamente codardia e mancanza di attributi. Cojones, per citare KG alla lettera, come se il termine spagnolo potesse aggiungere da sé una spiccata componente virile. Non da ultimo, Shaquille O’Neal ha rincarato la dose in “Inside the NBA” su TNT, invitandolo a porre rimedio ai guai fisici con i cerotti Icy Hot, di cui lui stesso è stato testimonial.

Impossibilitato a rispondere sul campo, almeno per ora, il #11 ha affidato la personale verità a un post Instagram, intitolato  TRUTH 11. La risposta a mo’ di flusso di coscienza è densa di significati e apre le porte a una riflessione a trecentosessanta gradi.

Il mese mal contato di regular season disputato sinora è derubricabile per Irving a fase di fisiologico adattamento. In contumacia Kevin Durant, giudicare il nuovo core agli ordini di coach Atkinson appare inoltre improprio e prematuro. Il 2020, in tal senso, fornirà di certo qualche indicazione in più.

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Redazione NbaReligion

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