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NBA, il potere di James Harden a Houston

Da quando si è unito agli Houston Rockets via trade nel 2012, James Harden non ha detenuto solo il potere tecnico mostrato sul parquet. Il Barba, secondo la disamina condotta da Tim MacMahon di ESPN, avrebbe avuto infatti l’ultima parola anche in occasione di svariate questioni gestionali riguardanti la franchigia texana.

A questo proposito, si ricordino i casi di operazioni in uscita che hanno coinvolto Dwight Howard, considerato anacronistico per la pallacanestro voluta dallo stesso Harden, e Chris Paul, giocatore che ha sempre fatto la differenza con la palla in mano gestendo la maggior parte dei possessi della propria squadra.

In cambio di Paul, la scorsa estate arrivò in Texas Russell Westbrook, amico e già compagno di Harden ad OKC, ma la convivenza non ha evidentemente goduto di vita lunga: “Brodie” ha già cambiato casacca, approdando alla corte degli Washington Wizards. Il motivo? Probabilmente il ripudio di questa tendenza all’asservimento che vige quasi dogmatica a Houston.

Sempre secondo quanto riferito da un ex assistant coach al giornalista di ESPN, Harden aveva il veto su tutto:

“Sapevamo chi era il capo della franchigia. Questa è solo una parte di quello che dovevi accettare se volevi essere a Houston. I giocatori, gli allenatori, il direttore generale, il proprietario… lo sanno tutti come funziona lì. Non biasimo James. Do la colpa all’organizzazione. Non è colpa sua. Ha fatto quello che gli hanno permesso di fare.”

In conclusione, non si vuole certo biasimare Harden, bensì la franchigia e la sua poca concretezza amministrativa. Lasciare tale potere ad un giocatore, significa ridursi alla mercé di un proprio “dipendente”, distruggendo la propria immagine di serietà professionale.

 

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Pubblicato da
Alessandro Valz

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