Curiosità

NBA, Joel Embiid si racconta tra doti attoriali, infortuni, amore per il gioco e futuro dirigenziale

Joel Embiid, ancora di certezza della stagione dei Philadelphia 76ers e validissimo candidato al titolo di MVP, ha recentemente concesso parte del proprio tempo alla redazione di CBS Sports al fine di realizzare un’imponente intervista esclusiva, volta ad esplorare inediti risvolti della sua personalità che spesso trascendono la pallacanestro.

Di seguito, partendo dalla vocazione cinematografica e dalle esperienze recitative del camerunense, si susseguono alcuni estratti:

“Sono stato un’ora sul set di The Late, Late Show, tutto per registrare un rapidissimo sketch che ha stravolto il mio giorno libero a Los Angeles. Non potrei mai diventare attore a tempo pieno, perché mi sembrerebbe inconcepibile passare dieci, dodici ore di fronte ad una cinepresa, alla ricerca della pellicola impeccabile. Mi reputo un ottimo attore, specie per le pubblicità brevi, ma i film richiedono evidentemente tutta un’altra dimensione di competenze, decisamente lontana dalla mia soglia di sopportazione e pazienza”.

Prosegue Embiid, ricordando il Draft del 2014 ed il primo biennio NBA da giocatore “fantasma”:

“Sono riuscito a superare quei momenti di difficoltà mantenendo la mente sempre lucida. Non giocare per due anni consecutivi può portarti alla depressione in mancanza di un approccio determinato e meticoloso. Il timore di non calcare mai un parquet NBA, instillato da tutti nel nostro ambiente con impietosa regolarità, non mi hai mai posseduto realmente, anche perché ho sempre creduto fermamente di essere un privilegiato, un ragazzo che ha avuto la possibilità di lasciare l’Africa e la pallavolo negli anni del liceo ed arrivare in NBA come terza scelta assoluta a distanza di sole quattro stagioni di pallacanestro. Mi dispiace dover ricordare ai detrattori che il mio corpo è effettivamente sano e la mia carriera sarà ancora lunga”.

Conclude il camerunense, scherzando su un ipotetico futuro dirigenziale:

“Invidio la capacità organizzativa dei General Manager NBA e dei loro sottoposti, specie considerando tutta la pressione che si sobbarcano. Non voglio nemmeno immaginare il peso quotidiano della burocrazia, così come tutte le riunioni con l’area tecnica per definire i margini di trattativa e gli obiettivi di mercato. Dovrei forse apprezzare i viaggi ricorrenti che affrontano? Se proprio dovessi viaggiare per lavoro, dopo aver concluso la carriera da giocatore, vorrei poterlo fare finalmente lontano dagli Stati Uniti, dal momento che le trasferte americane sono già all’ordine del giorno nel nostro ambiente”.

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Alessandro Valz

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