Una rivalità tanto equilibrata e sentita in campo non può che ripercuotersi anche a livello dirigenziale e, talvolta, persino sociale nella Città che non dorme mai. L’odio sportivo ha assunto una connotazione ancora più urbana con il trasferimento dei Nets a Brooklyn, che hanno reso la sfida una rivalità tra diversi borough: lo stesso Marty Markowitz, allora presidente del distretto di Brooklyn, rinominò la franchigia di New York come i “Manhattan Knicks”, parlando addirittura di “tradimento” per qualunque cittadino di Brooklyn che li avesse tifati.
Ma l’asticella non poteva che essere alzata dal vulcanico proprietario russo Mikhail Prokhorov, che fin dall’acquisizione del club nel 2010 non mancherà di esplicitare la sua volontà di spostare la franchigia a Brooklyn. E lo renderà particolarmente noto alla città con un enorme cartellone, posto non a caso di fronte al Madison Square Garden, raffigurante lui stesso in compagnia di un proprietario di minoranza, ma un filo influente a New York, come Jay-Z e la scritta in sovrimpressione “The Blueprint of Greatness”. James Dolan, proprietario dei Knicks, gradirà il giusto la trovata, lamentandosi addirittura con la NBA per i suoi effetti negativi sui dipendenti del Madison Square Garden, e rispondendo, con il savoir faire tipico di Manhattan, con una campagna pubblicitaria che recita “You can walk like us, you can talk like us, but you ain’t never gonna be like us”, a rivendicare l’originalità primigenia dei bluarancio.
Prokhorov, certamente meno diplomatico, risponde dall’alto dei suoi 2 metri e 5 abbondanti, definendo il più basso Dolan “quel piccoletto” e costringendo il commissioner David Stern a organizzare un incontro pacificatore tra i due per rasserenare gli animi. Istituzionalmente inevitabile l’intervento della Lega, nonostante proprio Stern, newyorkese di malcelata simpatia Knicks, conoscesse meglio di chiunque altro cosa significhi questa eterna, e ancora vivissima, rivalità tra le due frachigie della Grande Mela.
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