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Cousins reloaded

Se sei un giocatore di pallacanestro con pregi e difetti tenici e caratteriali ben evidenti, la NBA del secondo decennio degli anni 2000 non è il posto più accogliente in cui tu possa capitare.

La definitiva svolta social della lega professionistica più importante al mondo ha inevitabilmente finito per mettere sotto i riflettori quei giocatori border-line che hanno sempre bisogno di almeno un “ma” per essere descritti. Attraverso la lente di internet, il nostro giudizio di determinati cestisti viene deformato fino ad avvicinarsi pericolosamente alla dicotomia tra bianco e nero, buono e cattivo. DeMarcus Cousins è sicuramente uno dei giocatori NBA capaci di polarizzare maggiormente il pubblico: lo si ama o lo si odia, e non esistono  molte gradazioni intermedie.

Una dettagliata ma parziale lista dei motivi per cui Cousins non è proprio il cittadino modello della lega.

E’ difficile dire quanto la percezione degradata del fandom NBA avesse influenzato gli addetti ai lavori ma
quando, nello scorso febbraio, Cousins  è stato scambiato dai Sacramento Kings ai New Orleans Pelicans per un prezzo molto inferiore al suo valore (Hield, Evans, Galloway e due scelte), probabilmente la considerazione di cui godeva nella NBA era ai minimi storici. La città che ha sempre detto di amare lo aveva rigettato e DMC si è trovato in un contesto tattico apparentemente non adatto a lui, costretto anche a rinunciare al mega-max contract che solo i Kings avrebbero potuto offrirgli.  Ad alimentare i dubbi sull’operazione ci aveva pensato lo stesso Boogie che, dopo il suo trasferimento nella Louisiana, aveva definito sé stesso e Davis come “Fire and Ice”. Non un segnale necessariamente gratificante per the start of something new a New Orleans.

In realtà, mai paragone fu più azzeccato. Il suo carattere così focoso, il suo essere influenzabile e la sua tendenza a litigare con l’ambiente circostante avevano, probabilmente, fatto scordare a tutti chi realmente Boogie fosse: uno dei 15 giocatori più forti del mondo, un freak tecnico e fisico ed un ragazzo di ventisette anni, pronto a veder fiorire le stagioni migliori della propria carriera. In questo inizio di stagione, però, Cousins si è riappropriato della capacità di rivalutare positivamente il suo operato, mostrandoci quella che forse è la miglior pallacanestro della sua carriera.

Evoluzione continua

Se c’è una caratteristica di DeMarcus Cousins che non è mai stata sufficientemente sottolineata è la sua capacità di stare al passo coi tempi. Sin dal suo ingresso nella lega, Cousins si è costantemente sottoposto ad un ricalcolo dei propri punti di forza per diventare via via un giocatore più moderno ed inarrestabile.

Le skills che gli sono valse la quinta chiamata assoluta nell’ormai lontanissimo Draft 2010 erano la coordinazione e la rapidità di piedi, sviluppatissime in relazione alla stazza: tali qualità avrebbero dovuto proiettarlo nell’élite della lega in entrambe le metà campo, nelle idee dei General Manager NBA. Al primissimo anno, DMC si è subito trasformato: ha implementato una profondità di movimenti in post tale da consentirgli di essere già una delle primissime bocche da fuoco nello scarno attacco dei Kings.  Anche se non è mai scoccata la scintilla difensiva che in molti, al college, intravedevano come diamante grezzo incastonato al centro del suo potenziale, negli anni a seguire la comfort-zone offensiva di Cousins si è allargata a dismisura, fino a coprire quasi ogni zona del campo. Ogni anno DeMarcus aggiungeva frecce alla faretra e, per un motivo o per un altro, tutto questo passava sotto silenzio. Partenze fronte a canestro, jumper presi in scioltezza in qualsiasi situazione ,una capacità di lettura delle difese sempre maggiore ed ancora un tiro da tre punti sempre più affidabile dal palleggio,  sugli scarichi ed a rimorchio: tutte armi che ha affinato con il lavoro e la voglia di diventare il miglior lungo al mondo. Sepolto sotto la coltre di colpi di testa, falli tecnici ed espulsione c’è uno studente del gioco con pochi eguali nella NBA dei nostri giorni. Uno studente che, quando ha voglia, diventa scienziato.

«If you don’t like that, you don’t like NBA basketball!»

Suona quindi quasi paradossale che per completare il prossimo step della sua evoluzione sia finito nella squadra che più vistosamente sta cercando di sovvertire la marcata tendenza NBA verso il pace-and-space giocando con due lunghi vecchio stile. Evidentemente DMC ama i paradossi.

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Pubblicato da
Jacopo Gramegna

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