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Brooklyn Nets

Il fascino di una partita NBA che non conta nulla

Un inutile Bulls-Nets di metà aprile

Una partita NBA che ormai non conta più nulla, può avere ancora un minimo di fascino? La risposta è yes, of course. E non solo un minimo. Perché è proprio nel garbage time della stagione, in quelle gare tra squadre tagliate fuori dalla corsa ai Playoff e al massimo impegnate nel tanking, che i veri appassionati, distolta la mente dall’attenzione per il risultato, notano e apprezzano tutti quei particolari che rendono la NBA la lega più attraente del mondo. La routine delle partite tra chi non ha più nulla da chiedere alla stagione, mostra in realtà molti dettagli su come funzionano le cose qui. Come quel sottile e a volte indefinito equilibrio, pur necessario, tra il clima da ultimo giorno di scuola e l’immancabile the show must go on.

Lo spirito che anima sempre e comunque lo sport americano, perché resti ben chiaro che si parla sia di professionisti pagati fior di dollari per giocare almeno 82 partite in poco meno di sei mesi (no, non sono troppe), sia di un evento sportivo e di intrattenimento (superfluo ricordare che gli USA sono il top assoluto in questo connubio) che muove altrettanti denari a serata. Insomma, qui non si vedranno mai, come magari siamo abituati in Italia, club in smobilitazione e gente che tira remi in barca, ma ciascuna componente dell’organizzazione, dai giocatori all’ultimo degli addetti, eseguirà il proprio dovere fino a quando non sarà spenta l’ultima luce. Non importa se ci si è appena giocati il titolo oppure se la squadra è arrivata all’ultimo posto in classifica.

Abbiamo cercato di individuare questi e altri motivi di interesse, tra il goliardico e il basket propriamente detto, che la NBA è in grado di offrire anche nei suoi “bassifondi” e agli inizi di aprile, seguendo una partita “insignificante” di fine stagione, quella tra Brooklyn Nets e Chicago Bulls al Barclays Center andata in scena il 9 aprile 2018.

 

Pre-partita

La presenza in campo di Bulls e Nets rievoca contemporaneamente la tradizione e l’innovazione che caratterizza la NBA. La prima è ben incarnata da Chicago, le cui divise di gioco praticamente non sono mai cambiate nel corso degli anni, con il lettering che è lo stesso delle jersey indossate ai tempi di Michael Jordan. La seconda è rappresentata dai Brooklyn Nets, che dal 2012 si sono trasferiti dall’altra parte del ponte, oltre che del Lincoln Tunnel, alla ricerca di una location più glamour del New Jersey. E trovando una nuova luccicante casa nel Barclays Center, una delle arene più eleganti della NBA con quel nero delle aree pitturate e il parquet a spina di pesce. La recente storia di Nets e Bulls è anche il simbolo, in modi differenti, di quante difficoltà si possano incontrare in NBA per tornare competitivi in seguito a decisioni sbagliate. Alla vigilia di questa partita, le due squadre condividono il record di 23-57 che vale una mesta dodicesima posizione nella Eastern Conference e si sono incontrate un paio di giorni prima. In questa occasione, i Nets si sono divertiti a sfiorare il record NBA di triple realizzate in una partita, mettendone dentro 24 (su 55 tentativi), una sola in meno del primato che appartiene ai Cleveland Cavaliers della scorsa stagione. E Quincy Acy, una sorta di personificazione del comprimario NBA, ne ha messe addirittura sei.

 
Le 24 triple della vittoria dei Nets a Chicago il 7 aprile.

Che il clima sia rilassato, è lampante. D’altronde, le ultime battute di una stagione consapevolmente perdente sono così. C’è chi ne approfitta esclusivamente per fare baldoria, chi non vede l’ora che gli impegni finiscano per mettersi a lavorare per il futuro, chi tira un sospiro di sollievo, chi pensa o ha già pensato a trasferimenti e biglietti aerei, chi gestisce la propria rabbia interiore facendo propositi per una rivincita.

I Nets sono all’ultima partita casalinga – non della stagione, c’è ancora un viaggetto a Boston – e allora anche gli analisti tv, tra cui spicca la biondissima Sarah Kustok al fianco di Ian Eagle, per la maggior parte del tempo pensano a divertirsi, a divagare, a giocare a quiz vari. Nel frattempo vengono presentate le squadre, con tanto di marcia imperiale di Star Wars ad annunciare il quintetto dei Bulls. DeMarre Carroll, in giacca e cravatta, saluta e ringrazia il pubblico al microfono, parlando di playoff nella prossima stagione, e viene addirittura canzonato dai compagni…

 
Questione di sguardi.

Come spesso accade, molti sono i giocatori out per questi ultimi impegni ufficiali. Per un motivo o per l’altro, i Bulls rinunciano a Dunn, Lavine, Robin Lopez, Valentine, Vonleh, Zipser, mentre i Nets non hanno a disposizione Joe Harris, Mozgov, LeVert, Whitehead, Jahlil Okafor (“Ah, ma perché c’è ancora Okafor?”) e Jeremy Lin, che ha già fatto valere la sua player option per la prossima stagione e si accomoda con il suo look tutto dreadlock e occhiali. I quintetti: Spencer Dinwiddie, D’Angelo Russell, Allen Crabbe, Rondae Hollis-Jefferson e Jarrett Allen per i padroni di casa, Cameron Payne, David Nwaba, Justin Holiday, Lauri Markkanen e Cristiano Felicio per gli ospiti.

 
See you next year, Jeremy!

Primo quarto

Kenny Atkinson, coach dei Nets, è sempre serissimo come se si stesse giocando i Playoff, mentre Fred Hoiberg dei Bulls, va detto, non ce la fa proprio a uscire da quella sua faccia da bravo ragazzo. Sta di fatto che entrambi profetizzano un basket molto attuale, basato sulla ricerca di ritmi alti, spaziature e soprattutto tiro da tre. Con la differenza che, da due anni, ad Atkinson e al general manager Sean Marks è stato affidato un paziente lavoro di ricostruzione della squadra, mentre il collega, a Chicago da tre stagioni, ha dovuto attraversare continui capovolgimenti e fare quotidianamente i conti con giocatori non certo tra i più gestibili (Jimmy Butler lo accusò di non essere abbastanza duro…)

 
Allen Crabbe e…

Il primo quarto ha subito protagonista Allen Crabbe, un elemento che da quest’anno a Brooklyn ha modo di tirare da tre il doppio rispetto alle passate stagioni a Portland. Piccolo spoiler: al termine della partita avrà raggiunto il suo career-high, con 41 punti messi a segno (29 nei primi due periodi), frutto di un irresistibile 8/11 al tiro da tre e un 12/15 dal campo, con 9/9 ai tiri liberi. Bel modo di festeggiare i 26 anni compiuti pochi giorni prima, nonché degno rappresentante di una squadra seconda in assoluto nella lega per tiri da tre tentati (35,2), dietro soltanto degli inarrivabili Houston Rockets (42,2).

Anche il dato relativo ai Bulls non è niente male: Chicago è la sesta squadra in NBA per ricorso ai tiri dall’arco, con 31,1. Un po’ peggio, ovviamente, se si vanno a guardare le percentuali: diciannovesimi i Nets con il 35,7% e ventunesimi i Bulls con il 35,6%, ma un segno comunque che il gioco è cambiato anche per queste due franchigie e che la strada della ricostruzione è stata intrapresa. Il primo periodo finisce 29-26 per i Nets.

 
…Allen Crabbe!

Secondo quarto

Nel 2018 Villanova ha vinto il suo secondo titolo NCAA negli ultimi tre anni. L’altra volta, nel 2016, in campo con i Wildcats, a innescare Kris Jenkins per il buzzer beater che vale il titolo ai danni di North Carolina, in una delle Final Four più emozionanti di sempre, c’era Ryan Arcidiacono, tra l’altro vincitore del premio di Most Outstanding Player, oggi in forza ai Bulls.

 
Ricordate? Quello che porta la palla e la dà a Jenkins è Ryan Arcidiacono.

Mentre Jenkins, dopo un rapido passaggio in G League ai Sioux Falls Skyforce è clamorosamente finito fuori dai radar (è stato visto l’ultima volta agli Yakima SunKings, nella neonata lega minore North American Premier Basketball), l’italo-americano ha avuto modo di inseguire il sogno NBA con più costanza, trascorrendo prima una stagione in G League ad Austin nell’organizzazione Spurs e la successiva, dopo il mancato arrivo in Italia a Caserta, in quella dei Chicago Bulls, con i quali ha esordito tra i pro’ e collezionando 23 presenze (2,0 punti e 1,4 assist in 12,2 minuti giocati).

Ora, in queste partite di fine stagione, coach Hoiberg gli dà spazio: lui, piccolo e bianco tra i giganti, gioca con grande diligenza e ci mette tutto l’impegno possibile per sfruttare questa occasione. Alla fine per lui i punti saranno 9 in 23 minuti: sempre meglio dello zero assoluto che risponde al nome di Omer Asik, arrivato a stagione in corso da New Orleans nell’ambito dell’affaire Mirotic. A proposito, Bobby Portis è in campo e si fa vedere più volte a canestro.

 
E questo è Ryan Arcidiacono oggi in maglia Bulls.

Con Chicago, insieme a Ryan, a lungo sul parquet c’è… Sean Kilpatrick! La sanguigna shooting guard da Yonkers, Stato di New York, è un po’ un simbolo di quanto non sia così raro, una volta in NBA, essere costretti a percorrere strade molto tortuose per restarci o riaffermarsi: per lui quarta differente maglia in stagione, dopo gli stessi Nets (con cui aveva disputato un buon 2016-17), i Bucks, i Clippers e ora i Bulls, con cui ha ora firmato un triennale. E dire che non troppo tempo fa aveva messo a segno 38 punti per il suo career-high

 
Il “vecchio” Kilpatrick ai Nets: non è che sia passato tutto questo tempo…
 
Il Kilpatrick di oggi, sempre a segno.

All’intervallo lungo si va al riposo sul 62-55 per i Nets: all’ottantunesima partita stagionale, per quanto l’impegno sul campo non manchi, non è che ci sia tutta questa voglia di difendere.

 

Terzo quarto

Jarrett Allen, oltre che un giovane su cui costruire un futuro e autore di un discreto anno da rookie (8,4 punti, 5,4 rimbalzi e 1,2 stoppate), ha un aspetto da lungo d’altri tempi. E corre per tutto il campo per essere sempre pronto a fare un notevole lavoro sporco di blocchi e stoppate, quest’ultima finora la sua specialità grazie a braccia sconfinate, insieme alla protezione del ferro sempre più essenziale. Allen inoltre sta lavorando e lavorerà ancora moltissimo con lo staff dei Nets per costruirsi un ampio range di tiro, in modo da diventare un lungo sempre più moderno e completo.

 
Ah, schiaccia pure in transizione…

Scelto alla ventiduesima (sob!) dai Brooklyn Nets, il centro da Texas accresce un po’ i suoi 211 centimetri di statura con una tonda e curatissima capigliatura afro, roba da anni ’70, ulteriormente richiamati dai sottilissimi baffi e pizzetto. Ricorda un po’ Artis Gilmore oppure Darnell Hillman, misconosciuto giocatore dei Pacers, o magari Josh Childress, per citare un “afro” più recente.

La partita tra Nets e Bulls propone, inoltre, un assortimento di capigliature degno di un videogame: dal caschetto di treccine di D’Angelo Russell e Rondae Hollis-Jefferson al biondo “giovane Larry Bird” sfoggiato dal finlandese Lauri Markkanen (una delle note più liete di Chicago quest’anno), dalla cresta di Allen Crabbe al rasato di Spencer Dinwiddie, fino alla sempreverde pelata con fascetta di Dante Cunningham.

Da un lato e dall’altro del campo, va sottolineata la solidità di due elementi: Rondae Hollis-Jefferson dei Nets e David Nwaba dei Bulls. Il terzo quarto arride di più ai Bulls che si portano a -3: 86-83.

Quarto quarto

La partita scorre veloce e i Nets riescono a conquistare la W piuttosto agevolmente (114-105) tenendo sempre a bada i Chicago Bulls e incrementando una striscia aperta di tre successi consecutivi, come mai era successo prima in questa stagione. Alle spalle dei 41 punti di Crabbe, spiccano i 21 punti con 11 assist di D’Angelo Russell, a riprova di come la squadra di Atkinson abbia delle guardie molto valide su cui impostare la prossima versione della squadra, visti anche i 20 punti di Spencer Dinwiddie, il giocatore che più di ogni altro in questa stagione ha rappresentato il “processo” (i Sixers ci perdonino il plagio) di ricostruzione dei Nets, nonostante un netto calo dopo l’All-Star Game. Dall’altra parte nel team di Hoiberg ben sette uomini in doppia cifra, Kilpatrick (16) e Payne (15) i migliori realizzatori.

 
Russell manda a segno Crabbe con uno dei suoi 11 assist.

Finisce così una di quelle partite NBA “che ormai non contano più nulla“, ma che in realtà conservano al proprio interno un variegato e interessante patrimonio di situazioni, storie, curiosità e gesti tecnici. Per chi ama la NBA, nessuna partita è davvero insignificante.

Nets-Bulls è stata proprio questo: da un lato il fascino di una squadra che si appresta a concludere una stagione senza Playoff ma con tutto l’ottimismo di un processo di rebuilding ben avviato, dall’altro tutti i dubbi di un team pieno di giocatori giovani e di talento ma che ancora non sa come potrà evolversi, oltre a interessanti prestazioni individuali come tutte quelle di cui si è parlato o accennato.

E così, per alcuni, le vacanze cominciano a metà aprile: buona off season a tutti!

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