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Inside the NBA #14: Ray Allen

JJ Redick incontra Ray Allen: He got game

JJ Redick e Ray Allen potrebbero tenere un clinic leggendario sul tiro da tre punti, ma fidatevi, anche dietro a un microfono non se la cavano affatto male: garantisce la nuova puntata di “Inside the NBA”.

  • Redick, reduce dal poster subìto per mano di Jamal Murray, introduce la puntata quasi con rassegnazione: “Sapevo sarebbe stata una giocata da House of Highlights. Vi ringrazio.”
  • Per consolarsi, ospita  uno dei suoi giocatori preferiti ogni epoca, assieme a Reggie Miller e MJ sul suo personalissimo podio. JJ ricorda le serie di Playoffs che l’hanno visto impegnato in marcatura su Ray Allen (2009, 2010): “Fu molto stimolante.
  • Il tiratore dei Sixers non è amante dei cimeli, ma per Allen fa eccezione:Non sono un grande fan della memorabilia. In occasione del mio anno da junior al college fui candidato al Wooden Award e i nominati avevano diritto a incontrare coach Wooden e far autografare una palla da basket dorata. Io non ci tenevo per nulla, sapevo sarebbe finita in un garage prima o poi.”  Possiede dunque una sola ‘reliquia’, risalente all’anno da rookie: “Allen era ai Supersonics. Alla prima sfida da avversari lo incontrai alla pausa lunga e gli chiesi di avere le sue scarpe autografate dopo la partita. Le conservo ancora.”

  • Il nativo di Merced, California, sta promuovendo in maniera massiccia il suo nuovo libro – uscito negli Stati Uniti il 27 marzo: “Devo cercare una parola giusta per descrivere ciò che ho passato negli ultimi due giorni. […] Non riesco a dirti quante interviste io abbia fatto, a oggi saranno 15-16. [Considera che] da un paio d’anni a questa parte non ho molto contatto con i media.”
  • La scelta di raccontarsi per iscritto è maturata negli anni: “È un’opportunità per portare le persone con te e condurle lungo il tuo percorso. Non comincia tutto dalla NBA ed è importante che tutti sappiano che siamo cresciuti da qualche parte e in determinati contesti.”
  •  Redick, da parte sua, già pensa al romanzo della sua carriera e  tiene a mente qualsiasi cosa – per ogni evenienza: “Ho giocato con Glen Davis, Dwight Howard. ‘Finirà nel libro’, mi dico.”
  •  Un articolo apparso recentemente sul NYT descrive l’ex Clippers come giocatore meticoloso. A sentire il diretto interessato, Allen ha molto a che fare con tutto ciò:  “Nonostante il fatto che non siamo mai stati compagni di squadra, la  routine meticolosa che ho sviluppato negli anni è legata anche alla tua figura. […] Una volta ti sentii dire che la routine non deve mai cambiare, al di là del momento. Non puoi mai lamentarti o dare credito a qualcosa per i tuoi risultati […] la routine è la stessa.”
  • Redick cita un pezzo del 2008 di Jackie MacMullan in cui si fa accenno al disturbo ossessivo compulsivo che caratterizza tiratori di razza; aggiunge un’interessante osservazione: “La preparazione fa la sua parte e ha un effetto positivo sulla tua abilità, è indubbio, ma per me era più questo, un fatto mentale.”
  • Ray Allen è sulla stessa lunghezza d’onda: “Io facevo le stesse cose. […] Non vuoi essere la ragione per cui la tua squadra perde ai Playoff, [magari] per un errore ai liberi. Alle dieci di sera vado in palestra. Alle nove della mattina seguente, di nuovo in palestra. Non mi è mai sembrato un lavoro, è stata più che altro una rincorsa verso la perfezione. […] Ho imparato che devi essere pronto per ogni situazione. per questo ci prepariamo cosi ossessivamente.”
  • In tutto questo c’è anche una componente latente d’ansia. JJ rivela ad esempio di aver pensato a lungo al libero sbagliato contro Denver, un errore che gli ha impedito di toccare quota venti punti.
  • La dura vita del cecchino oltre l’arco: “Da tiratori forse abbiamo il compito più difficile. Non c’è libertà, Ti muovi e apri il campo in transizione, ma se sbagli un tiro la gente è pronta a dire che sei fuori forma. Conosco la differenza tra avere e non avere la palla in mano. È anche una questione di sentire contatto fisico con il pallone. L’ho provato sulla mia pelle a Seattle”, chiosa Allen.
  • Il ritiro non ha cambiato troppo i suoi piani: “Ho cercato di mantenere la stessa routine. lo devo al mio corpo, così come prima lo dovevo alla franchigia. Devi continuare a trovare stimoli e sfide. Nel mio caso, può essere il golf.”
  • JJ è maniaco del pulito. In trasferta è solito mettere appositamente in subbuglio la stanza per poi rimetterla in sesto: “La mattina dopo sistemo tutto tranne il letto, e lascio la mancia.”
  • Momenti decisivi: “A volte dipendiamo da un tiro, ma c’è bisogno che la fortuna giri dalla nostra parte,  l’ho imparato dal mio coach del college. Il mio caso è emblematico. Nel ’13 Bosh prese il rimbalzo e la ributtò fuori per me. […] La fortuna dipende dal farsi trovare pronto di fronte all’opportunità.

  • Un what-if gigantesco riguarda quei frangenti da Instant Classic NBA: “Cosa sarebbe successo se Manu non fosse andato per il rimbalzo difensivo su Bosh è difficile da dire. Io andai dentro e lui mi seguì. […] Il momento migliore per tirare da tre è dopo un rimbalzo offensivo […]  e il segreto è il continuo movimento. Il movimento è vita,  questa è la mia filosofia. Se stai meglio del tuo avversario sono minimo 4-6 punti a gara senza che venga chiamato un gioco appositamente  per te. Immagina l’effetto che hai sulla gente che si preoccupa di cosa potresti fare quando ancora sei fermo. Ciò che succede dopo lo chiamiamo ‘l’attimo oh m****a’”.
  • “Il gioco segue una cadenza, un ritmo dall’inizio alla fine.”
  • Approccio alla gara: “Ai tempi di Seattle un reporter disse: ‘Oggi non saresti riuscito a fare canestro nell’oceano.’ Risposi che erano buoni tiri che, molto semplicemente, non erano andati a segno. Devi riformulare il ritornello delle critiche e recuperare l’amore per il gioco del bambino che è in te”.
  • He Got Game: “Era il mio anno da rookie e non eravamo entrati nelle migliori otto a Ovest. In aprile, giocammo al Garden di New York e Spike mi propose l’audizione, così come ad Iverson. Non l’avevo mai provato prima. C’è da dire che Denzel [Washington] è come una grande point guard, lui sistema la palla al posto giusto e tu devi solo tirare. Sentivo di essere fuori dal mio contesto, ma al contempo sapevo di essere “allenabile” All’epoca il tutto passò sotto i radar. Non ho più ripetuto l’esperienza perché poi ho cominciato a fare i Playoffs. Non tutti coloro che avanzavano proposte tenevano conto della mia carriera agonistica. Da un certo punto di vista lo consideravo un complimento perché significava che ero davvero un grande attore.”
  • Redick riassume al meglio il sentimento di molti appassionati: “Una delle ragioni per cui avrei voluto essere come  te è Jesus Shuttlesworth.”

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