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Dallas Mavericks

Per i Dallas Mavericks il processo sarà lungo e faticoso

I Dallas Mavericks tra un passato pieno di rimorsi e pasticci, un presente doloro e un futuro incerto. Ma ci sono anche cose belle, tipo Dennis Smith Jr.

Un declino lento, pieno di contraddizioni e scelte sbagliate

La stagione 2012-2013 è la prima dopo 14 anni in cui Dallas non vede i playoff. Era una Western Conference da 9 squadre con record positivo e ben 5 ne vinsero più di 56. Dallas, 41-41, finì quarta nella propria Division. Nowitzki giocò solo 53 partite per un intervento al ginocchio. La squadra che vinse l’anello due anni prima, nel frattempo, stava lentamente cambiando: fuori Kidd, Terry, Haywood; Barea, Stojakovic, DeShawn Stevenson, Tyson Chandler se n’erano già andati. Dentro Chris Kaman, Darren Collison, Jae Crowder, OJ Mayo, Elton Brand: Dallas non vuole staccare le mani dal manubrio. Finché c’è Dirk l’obiettivo è vincere, tanto e subito possibilmente.

Dirk Nowitzki Men GIF by Dallas Mavericks

Dallas è competitiva più o meno da quel giorno.

Seguono infatti due annate ai playoff (49 e 50 vittorie), ma anche due eliminazioni al primo round. Nel 2015-2016, ai playoff si va col #6 seed, ma il roster rimane infestato da mammut, in campo e a libro paga. Il tanto agognato free agent Deron Williams ha finalmente firmato coi Mavs, ma non era più lui. (Perché il recente passato dei texani è anche una storia di rifiuti eccellenti: DeAndre Jordan anyone?) Cominciavano a farsi stanche anche le ginocchia di David Lee, Raymond Felton, Charlie Villanueva, Wes Matthews. Non a caso al primo turno arriva un’altra eliminazione: troppo atletici e dominanti i Thunder.

Le vittorie cominciano a calare drasticamente, e nell’aprile del 2017 sono solo 33. Ciò che fa più storcere il naso non è il tagliare col passato (attualmente a roster, dei campioni NBA 2011, ci sono Dirk e il cavallo di ritorno JJ Barea), ma la scelta delle nuove leve. Harrison Barnes, firmato nell’estate 2016 per 4 anni a 94$ milioni, giocherà mai un All-Star Game? Non sarebbe il primo late bloomer della storia NBA, ma è altrettanto vero che, si ritrovasse free agent nell’estate 2018, difficilmente qualcuno potrebbe offrirgli una cifra vagamente simile. Dallas non ha tirato fuori granché dalla spazzatura, e quando c’è riuscita ha spedito i progetti più interessanti altrove (Crowder) per campioni affermati (o qualsiasi cosa sia Rajon Rondo), o se li è vista scivolare dalle mani (Aminu), o hanno tentato la caccia all’anello altrove (Richard Jefferson, Calderón, Vince Carter, Shawn Marion), o sono cestisticamente morti (David Lee, che però ha sposato la Wozniacki, e Monta Ellis, se avete notizie fatecelo sapere).

Dallas GIF

Per la serie “Ossi di seppia”: VINCE CARTER AT THE BUZZER!!!

Anche nel recentissimo passato non è stato fatto granché: Maxi Kleber, Josh McRoberts (infortunato), Seth Curry, Salah Mejri, Dwight Powell, un a-breve-35enne Devin Harris, Dorian Finney-Smith (altro lungodegente) e Yogi Ferrell vanno bene per strutturare una panchina NBA, non partire in quintetto né tanto meno guidare un attacco. Di questo lotto, gli ultimi due sono i più giovani, ma sono del ’93: difficile profilare enormi margini di crescita.

Harrison Barnes a breve compirà 26 anni e pare non abbia ancora deciso cosa fare da grande. Il prime medio della carriera di un giocatore NBA arriva attorno ai 27 anni per scemare attorno ai 30: al Falcone Nero non è rimasto più molto tempo. Wesley Matthews e la sua lunga lista di infortuni hanno una data di scadenza ben precisa: estate 2019, quando il suo lauto quadriennale spirerà. Per quella estate, che metaforicamente è dietro l’angolo, Dallas non ha a libro paga nessuno. Zero contratti assicurati. Il grano che Cuban dovrà scucire per la stagione 2019-2020 è, ora come ora, tutto da definire. Se il contratto da rookie di Dennis Smith Jr. verrà confermato (il che appare più che probabile, ma so’ ragazzi, non sai mai cosa può succedere), Harrison Barnes eserciterà la sua opzione (25,1$ milioni per il ’19-’20) e Dwight Powell farà lo stesso (10,2$ milioni) i milioni sicuri da spendere saranno 35,3.

Ricapitolando: su cosa sta costruendo Dallas? Su un rookie che mostra un lampo di talento per ogni perplessità balenata nella mente di coach Carlisle; un lungo in uscita dalla panchina; l’ala piccola che non è ancora diventata farfalla. Il rebuilding di Dallas è all’anno zero e non sarà faticoso, di più.

Nba GIF

Più doloroso anche di questo, vi dico. (E sì, c’è una gif con Nowitzki per tutto, basta cercarla).

Strapagare buoni giocatori è un’alternativa che porta chissà dove (Miami), e anche quando hai trovati il giocatore-franchigia e la sua spalla è un casino (Portland). Staccare la spina in brevissimo tempo, ovvero affidare la GM di turno la palla da demolizione per smantellare un roster in un’estate, non va più di moda, anche se il Draft 2018 sarà l’ultimo con le “vecchie regole” del tanking. Atlanta si è privata di DeMarre Carroll, Al Horford e Paul Millsap in tre free agency differenti. Restyling è la parola d’ordine: come Chicago si è permessa una ricostruzione solo una volta ceduto Butler per dei pezzi sui quali effettivamente ricostruire, così Dallas, scelto il playmaker da North Carolina State alla #9 all’ultimo Draft, ricostruisce su di lui. E siccome avrà – verosimilmente – una delle prime cinque chiamate a luglio, su uno tra Doncic, Ayton, Bagley, Bamba, Porter Jr. o Trae Young. (Il prossimo Draft si preannuncia spaziale nelle prime 6-8 posizioni, meh più in giù).

I tempi del declino e del conseguente tentativo di risalita potevano essere più corti se Mark Cuban non si fosse testardamente opposto all’idea di tanking. Cuban, fosse stato ad Est, non avrebbe mai tankato (traduzione: maledetti, colpa della vostra sovrastruttura se devo fare una cosa che mai mi sarei sognato); eppure è stato l’unico proprietari0 a votare contro la riforma del tanking (traduzione: se proprio devo tankare, tanko come si deve). Non è facile quantificare quanto una franchigia in riabilitazione sia influenzata negativamente da un capo-allenatore che se ne frega delle palline da ping-pong, di certo l’unità d’intenti è fondamentale. Vincere, in questa stagione, non sarebbe, non è, non dovrebbe essere l’obiettivo primario di Dallas quest’anno.

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