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Chicago Bulls

Il dilemma dei Bulls

Dopo un inizio da incubo, i Bulls sembrano voler tornare a fare la voce grossa nella Eastern Conference. Siamo sicuri che sia la cosa migliore per il bene della franchigia?

 

I Chicago Bulls stanno conoscendo uno dei periodi più bui della loro storia. Dopo le scelte sconsiderate del front office degli ultimi anni la franchigia che un tempo fu di His Airness si è trovata costretta a smantellare tutto in estate e cercare di ripartire da zero. Risultati modesti. Nel pagellone del mercato estivo ci eravamo espressi in modo chiaro a riguardo, facendo di Chicago la peggior franchigia della lega e questo avvio di stagione ci ha dato ragione. Il GM Forman ha smantellato il roster, coi tifosi dei Bulls che hanno visto partire uno dietro l’altro Butler, Rondo e Wade in cambio delle briciole. Si può dire che si sono viste ricostruzioni più felici e oculate di quella messa in atto a Chicago.

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(Credits to www.windycityhoops.com, via Google)

La cessione di Butler, arrivato ormai alla fine di un ciclo, poteva anche essere stata messa in preventivo e nessuno avrebbe biasimato l’operato del GM Gar Forman, se solo la dirigenza fosse stata in grado di ottenere alternative di qualità in cambio della stella della squadra. Per quanto, come vedremo, Lauri Markkanen stia dimostrando di poter dire la sua nel basket dei grandi e Kris Dunn stia facendo dei grossi passi avanti rispetto allo scorso anno, questi ultimi e il lungodegente Zach LaVine a tutt’oggi non costituiscono un pacchetto accettabile per assicurarsi le prestazioni di un two-way player del calibro di Butler.

Inoltre la stagione era iniziata come peggio non poteva, con l’alterco tra Portis e Mirotic che era costato due ossa fratturate allo spagnolo e otto giornate di sospensione per un giocatore di 211 centimetri e 112 kg noto al grande pubblico per il suo trarre motivazione extra dall’immaginarsi sua madre aggredita dagli avversari di turno, non esattamente l’uomo ideale da trovarsi contro in una rissa. Con queste premesse era quasi inevitabile l’andare incontro a una stagione complicata e infatti i Bulls non hanno tradito le attese, perdendo 20 dell prime 23 partite disputate. Poi con l’arrivo dell‘Immacolata Concezione qualcosa è cambiato nella Windy City e i ragazzi di coach Hoiberg hanno vinto 7 partite consecutive. L’8 dicembre infatti rischia di essere una data spartiacque per la stagione e forse anche il futuro della franchigia, ma procediamo per gradi e partiamo dall’inizio.

 

Fanalino di coda

Il roster dei Bulls non è esattamente il migliore che abbiano visto in città. Justin Holiday, seppur in grado di togliere le castagne dal fuoco quando l’attacco non gira, è poco più che un onesto mestierante, Denzel Valentine non ha ancora giustificato l’hype che fluttuava attorno al suo nome ai tempi del college ed è ancora lontano dall’essere quella macchina da punti che ci si aspettava, mentre Robin Lopez è ormai fiaccato nel corpo ma soprattutto nello spirito da anni ed anni di tanking selvaggio e zero prospettive di vittoria. Inevitabilmente i Bulls detengono il peggior Offensive Rating della lega con soli 96,1 punti segnati in 100 possessi e sono terzultimi per efficienza difensiva con 109,1 punti concessi nei soliti 100 possessi.

Partiamo dalla difesa. Se la truppa di Fred Hoiberg si è rivelata essere una delle peggiori nella propria metà campo, buona parte delle responsabilità può essere imputata alle carenze dei singoli: eccezion fatta per Robin Lopez, per motivi diversi, che vanno dall’inesperienza alla totale mancanza di concentrazione e attitudine difensiva, faremmo fatica a far passare un qualsiasi giocatore dei Bulls come un valido difensore. Posto che nel contesto assai vagamente competitivo in cui si trova Robin Lopez costituisce quasi una garanzia sotto le plance e garantisce perlomeno una certa continuità ed affidabilità (se i Bulls fino a sei partite fa concedevano soltanto 42,2 punti nel pitturato il merito è soprattutto il suo), il problema principale dei Bulls è da individuare nella fragilità del back-court a disposizione di coach Hoiberg: una volta colti di sorpresa gli esterni non c’è rim protector che tenga. Se ben orchestrato, un semplice pick and roll basta e avanza per compromettere il fragile equilibrio difensivo dei Bulls; a volte scomodare un lungo per creare separazione tra l’attaccante e il difensore dei Bulls sembra addirittura un lusso non necessario. L’unico a salvarsi tra le fila dei Bulls, oltre al già citato Lopez, è l’undrafted David Nwaba, che sta facendo intravedere un buon potenziale su entrambe le metà campo.

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Un paio di finte sono più che sufficienti per eludere la marcatura di Kris Dunn e puntare al ferro. Ciò che preoccupa davvero non è il fatto che l’inesperto Dunn abbocchi alle finte di un All-Star del calibro di Lowry, bensì l’arrendevolezza con cui lo rincorre (?) dopo essersi fatto superare sul finale di un match ancora in bilico.

Non potendo contare su un sistema oliato ed affidabile, la difesa dei Bulls si dimostra molto “umorale”: vive di istinti, che a volte si rivelano buoni e altre molto meno buoni. L’atteggiamento di Dunn, talvolta pigro e talvolta anche troppo reattivo, ne è una prova, così come i vari raddoppi che i Bulls cercano quasi ossessivamente nel tentativo di rimpossessarsi del pallone.

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Markkanen, mal posizionato sin dall’inizio, anziché ripiegare su uno tra Ibaka e Powell si dirige verso DeRozan per dare una mano a Valentine. Tuttavia, il 10 dei Raptors riesce a servire Lowry, che a sua volta mette Ibaka nelle giuste condizioni per scaldare il pubblico di casa. Da rivedere anche la posizione e i movimenti di Holiday, che entra troppo forte su Ibaka per contestare un tiro che alla fine non arriva.  

Per quanto riguarda la metà campo offensiva, finora buona parte delle (cattive) sorti dei Bulls è passata dalle mani di Lauri Markkanen. Approdato a Chicago nell’ambito dell’affaire Butler, il finlandese sta dimostrando partita dopo partita di avere la stoffa dell’uomo franchigia. È chiaro, la carta di identità in determinate circostanze non gioca a suo favore e i contro dell’anno da rookie si alternano con una certa frequenza agli evidenti pro, ma ad ogni modo in questa prima fase della stagione Markkanen ha spesso vestito i panni del go-to-guy, anche e soprattutto per carenza di alternative anche lontanamente presentabili.

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Il tiro che Markkanen si prende e realizza ha un coefficiente di difficoltà non proprio bassissimo, un fattore che spesso si presenta se si vanno ad analizzare le conclusioni del finlandese, dovuto sia ad una selezione di tiro non ancora ottimale sia ad alcuni difetti strutturali della squadra. Infatti, nonostante l’addio dei vari Rondo e Wade, non si può certo dire che il problema delle spaziature sia stato risolto: circondato da compagni non eccezionali, Markkanen è uno dei pochissimi pericoli per le difese della lega e, in quanto tale, attrae inevitabilmente le attenzioni dei difensori avversari. In questo senso si spiega il rivedibile 33,5% da tre, dato che, alla luce di quanto fatto vedere fin qui, sembra poter conoscere buoni margini di miglioramento.

A proposito di tiro dalla lunga distanza, fino all’8 dicembre i Bulls hanno tentato 31,5 triple (solo sei squadre hanno ulteriormente abusato del tiro pesante), realizzate però con un misero 34,2%. Analizzando il roster a disposizione di coach Hoiberg non si può non notare come i Bulls dispongano di un buon numero di tiratori dalla distanza, o almeno presunti tale: al di là di Lopez (che peraltro in questa stagione ha tentato più triple, sette, rispetto a quanto fatto fino ad ora in carriera) e Felicio, tutti sono potenzialmente in grado di trovare la via del canestro dall’arco, ma nessuno di essi costituisce un’opzione realmente affidabile. In definitiva, Chicago fa una fatica tremenda a fare punti e, quando la situazione si fa più intricata del previsto, tirare da tre pregando di sentire il suono della retina è uno degli schemi più praticati dai giovani Bulls.

Un’altra soluzione adottata spesso è il pick and roll con Robin Lopez da bloccante, sfruttando i suoi blocchi per concludere l’azione in 4,3 occasioni a partita: tanto per capirci, solo cinque giocatori lo precedono per numero di possessi giocati da bloccante. La percentuale di realizzazione è del 50%, il che gli fa perdere qualche posizione in classifica, ma molto dipende anche dalla qualità dei portatori di palla: per esempio, i blocchi portati da Clint Capela portano punti nel 69,2% dei casi, ma c’è da dire che lo svizzero può contare sia su Chris Paul che su James Harden, un lusso che invece Lopez non può certo permettersi.

Poi, come dicevamo, la svolta. Ma come è potuto accadere? Prima di dirvelo, vi lasciamo con un po’ di suspense e una GIF di un Lopez in versione “guarda mamma, come Cousins!”.

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