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Minnesota Timberwolves

I mutamenti del giovane Towns

In questa stagione Karl-Anthony Towns si trova sottoposto ad un gran numero di stimoli: scopriamo come sta reagendo la rising star dei Timberwolves.

Karl-Anthony Towns è già, nell’immaginario collettivo, il miglior centro della NBA. Su questo, ormai, non esistono più dubbi. Alla vigilia del debutto stagionale contro i San Antonio Spurs, KAT poteva già sfoggiare l’etichetta indiscussa di capofila della nuova generazione di Big Men che sta sconvolgendo la lega e quella, ancor più prestigiosa, di futuro MVP annunciato. A 22 anni ancora da compiere, Towns ha già ampiamente scalzato Andrew Wiggins dal ruolo di uomo-copertina dei T’wolves e donato agli archivi una stagione da 25.1 punti e 12.3 rimbalzi, diventando il primo giocatore della storia capace di totalizzare 2000 punti, 1000 rimbalzi e 100 triple nella stessa stagione e facendo registrare il nuovo record per punti segnati su singola annata per i Timberwolves. Il tutto con sole 164 partite di NBA alle spalle. Se a questi numeri sommate anche le vittorie del premio di rookie dell’anno e della Skills Challenge nel 2016, riuscirete a subodorare il motivo per cui Towns abbia già occupato la posizione apicale tra i centri nelle considerazioni degli addetti ai lavori.

Se non vi abbiamo ancora convinto, ecco altre motivazioni valide.

L’arrivo di Jimmy Butler, seguito da alcune firme di spessore tra i free-agent, ed il conseguente reset degli obiettivi a cui i Timberwolves devono puntare hanno, però, inevitabilmente portato Karl-Anthony Towns a dover rivedere parzialmente il proprio ruolo nella squadra. L’avvio dei lupi è stato tutt’altro che trascurabile e i risultati, se parametrati su base stagionale, porterebbero finalmente la franchigia del Minnesota al playoff dopo ben 14 stagioni. Malgrado ciò, scavando nelle dinamiche del gioco della squadra di coach Thibodeau, tante sono le zone d’ombra da esplorare. In questa situazione positiva ma ancora non del tutto limpida, lo stesso Karl-Anthony Towns sta affrontando il primo, vero, momento di riflessione della propria carriera. Attraverso i problemi e le continue rimodulazioni a cui il suo gioco sarà sottoposto in questa stagione, il prodotto di Kentucky giungerà ad una nuova consapevolezza nei confronti del giocatore che sarà. La domanda principale, a questo punto, sorge spontanea: Towns sta ricevendo gli stimoli giusti per diventare il mostro sacro che tutti si aspettano?

Waiting for a D

Parlando di stimoli, non esiste alcun aspetto del gioco che subisca tante sollecitazioni nel sistema di coach Thibs quante ne subisce la metà campo difensiva. Ed è proprio la difesa il primo aspetto del gioco del Karl-Anthony Towns targato 2017-18 a lasciare un po’ perplessi. In uscita dal college, Towns godeva di ottimi reportage per quanto concerneva l’aspetto difensivo del proprio gioco: a Kentucky la coppia composta da lui e Willie Cauley-Stein brillava per rim protection, oltre che per capacità di  negare punti dal post e fagocitare i pick-and-roll avversari, pur ad un livello atletico notevolmente inferiore alla NBA. Le buone impressioni raccolte al college hanno trovato discreta conferma nell’anno da rookie di KAT, così, quando all’inizio della scorsa stagione Tom Thibodeau è stato annunciato come head coach dei T’Wolves è apparso a tutti evidente che la transizione di Towns a difensore d’élite fosse da considerarsi poco più che una formalità. In realtà non è andata proprio così: oltre 12 mesi dopo Towns non ha ancora trovato la propria dimensione difensiva definitiva sotto il magistero dell’allenatore ex Bulls.

Con Cauley-Stein a guardargli le spalle, Towns faceva cose così.

Pur fondando la propria difesa sugli istinti, non essendo quindi né un difensore naturale né costruito grazie alla cura maniacale dei fondamentali, il centro di origini domenicane gode di mezzi fisici troppo fuori dalla norma per non trarne un giovamento tangibile nella propria metà campo. L’apertura alare di circa 222 cm e una rapidità di piedi assolutamente fuori dalla norma per la stazza che si porta dietro lo rendono, di fatto, l’argilla dei sogni di qualsiasi allenatore che voglia cimentarsi nella costruzione di un mostro difensivo, capace di cambiare sui pick-and-roll, scivolare contro gli esterni ed eventualmente contestarne le conclusioni al ferro. Nelle valutazioni che precedevano il suo ingresso in NBA però è stata forse un po’ troppo la sua già dimensione istintiva: Towns è sempre, costantemente, mosso da un desiderio incontenibile di stoppare. In questa stagione sfiora il 58% nella block percentage: un numero mostruoso che traduce perfettamente la sua continua ricerca della stoppata a dispetto di altre soluzioni difensive. Nel sistema di Thibodeau, fondato sul tempismo e sul rispetto della posizione corretta per aiutare il compagno, non potrebbe esistere istinto peggiore. 

Sviscerando le cifre, balza subito all’occhio il 59.3 % concesso al ferro agli avversari, un dato spropositato e che, almeno superficialmente, contraddice i suoi istinti per la stoppata. In realtà, le due situazioni sono estremamente collegate: Towns tende a muoversi in maniera asincrona rispetto ai compagni per cercare la stoppata in aiuto e il risultato è, spesso, una conclusione facile del suo uomo. La sua continua ricerca della stoppata lo porta, inoltre, spesso a cadere nelle finte avversarie, commettendo dei falli che poi gravano sul suo rendimento difensivo. Towns è l’emblema di quanto la stoppata sia un fondamentale a due volti.

Gesto atletico mostruoso, peccato che Kanter venga lasciato completamente libero a mezzo metro dal ferro.

Non è tutto: paradossalmente, man mano che i suoi avversari si allontanano dal ferro i suoi numeri difensivi migliorano. Il numero più lucente della sua mappa difensiva è il 39.7% concesso al di sopra dei 5 metri, un dato da buon difensore sugli esterni. Se pensate che il dato sia effimero perché fondato su un numero risicato di possessi siete fuori strada: Towns si trova coinvolto in situazioni difensive di questo tipo ben 2 volte su 5. La contraddizione in cui si trovano questi ultimi dati ci fornisce perfettamente la fotografia di come i suoi istinti sui cambi e le sue braccia lunghe, al momento, tornino più utili lontano dal canestro che nei pressi del ferro.

Anche senza particolare tecnica, ecco cosa è in grado di fare nell’overtime contro Steph Curry.

Chiariamoci, dunque: Towns non è un difensore dannoso, né sotto media. E’ semplicemente più indietro di quanto ci si aspettasse nella crescita che avrebbe dovuto portarlo, nelle aspettative di molti, a diventare un fattore difensivo. Towns si applica e fa spesso tutto ciò che deve per non risultare un difensore facilmente sormontabile, ma semplicemente non ha ancora alzato l’asticella in nessuno dei comparti che gli farebbero fare il salto di qualità difensivamente. Sin da quando è entrato nella NBA, ad esempio, non è mai stato un difensore vocale, capace di comunicare con i compagni e aggiustare la difesa di squadra: un peccato, visto che nel primo anno nella lega ha potuto condividere il campo con il vero maestro della specialità, Kevin Garnett. E ancora, come accennato, la sua gestione dei falli non è sempre limpida ed i suoi posizionamenti mancano di maturità. La sua efficienza difensiva in questa stagione si attesta comunque su 107 punti concessi (su 100 possessi). Il dato è in miglioramento rispetto alla scorsa annata, ma non sottovalutiamo l’importanza di alcuni innesti nel contesto-Timberwolves (Butler e Gibson) e del lavoro di coach Thiboeau nell’annacquare tale cifra. In vista del suo futuro da superstar, Towns dovrà innanzitutto capire che tipo di difensore vuole diventare. Ovviamente il discorso cambia completamente se si parla della metà campo offensiva.

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