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Milwaukee Bucks

Milwaukee Bucks preview: la pazienza è la virtù dei forti

La scorsa stagione i giovani Bucks sono usciti al primo turno dei playoff, con un record di 42-40: per diventare grandi è necessario pazientare ancora.

Dove eravamo rimasti?

In economia aziendale, la lenta crescita dimensionale di un’azienda viene definita come crescita per linee interne: invece di aumentare le proprie dimensioni con l’acquisizione di altre aziende, fusioni o attraverso altre operazioni straordinarie, si preferisce puntare sullo sviluppo degli elementi che l’impresa stessa già possiede. Per fare ciò sono dunque necessari piani ben studiati sul medio-lungo periodo, organizzazione, doti imprenditoriali non indifferenti, ma soprattutto è necessaria tanta, tanta pazienza. Nello sport, in particolare in NBA, una crescita interna può non solo riguardare l’aspetto economico di una squadra, ma anche il suo roster: sono infatti diverse le franchigie che puntano sui giocatori scelti al Draft, attorno ai quali poi costruiscono la squadra del futuro. In questo senso, perfetti esempi del concetto di crescita interna sono allora quelli di Golden State Warriors, Philadelphia Sixers e, seppur forse in modo minore, Milwaukee Bucks.

Credits to instagram.com/bucks

In effetti, agli ultimi Draft la squadra del Wisconsin ha selezionato giocatori che sono diventati fin da subito parte integrante del roster: Giannis Antetokounmpo, Jabari Parker, Rashad Vaughn, Malcolm Brogdon e Thon Maker. Ad essi si sono aggiunti alcuni giocatori già più o meno affermati tramite free agency o trade, che insieme a quelli sopracitati sono andati a formare un roster davvero giovane, una condizione necessaria per realizzare una crescita interna di medio-lungo periodo. Per mettere in atto la loro lenta maturazione, nel 2014 la franchigia ha dunque chiamato coach Jason Kidd: da allora l’ex playmaker ha condotto i Bucks ai playoff al primo tentativo, nel 2014-15, e dopo un anno di assenza, complice l’infortunio dell’astro nascente Jabari Parker e l’allora non completa maturazione di Antetokounmpo, li ha ritrovati nella stagione appena conclusasi, nonostante l’ennesimo grave infortunio occorso a febbraio allo stesso Jabari Parker (povero ragazzo), che con 20 punti e 6 rimbalzi a partita è stato il principale punto di riferimento della squadra dopo Antetokounmpo. A sopperire alla sua mancanza ci hanno pensato Malcolm Brogdon, Khris Middleton e Tony Snell. Soprattutto Brogdon, shooting guard scelta alla 36° chiamata assoluta, ha fatto vedere cose piuttosto interessanti al suo primo anno fra i pro. Non tanto per i 10.2 punti e 4.2 assist di media a partita, mettendo a referto anche una tripla doppia a dicembre, quanto per un ottimo 40.4% da dietro l’arco: numeri che, complice l’infortunio a Joel Embiid, gli sono valsi il premio di Rookie Of the Year del 2017. Sebbene in leggero calo rispetto alla stagione precedente, ha ben figurato anche Khris Middleton con i suoi 14.2 punti di media e un letale 43.3% da tre punti. Quindi, nonostante una pesante assenza, i Bucks sono riusciti a qualificarsi per i playoff con il record di 42-40, affrontando i Toronto Raptors e da essi venendo eliminati in sei partite.

Una volta archiviata la breve esperienza ai playoff, i Bucks hanno cambiato GM, con il trentaquattrenne Jon Horst che ha preso il posto di John Hammond, volato in direzione Orlando; per quanto riguarda il roster, invece, al netto delle varie voci di mercato (qualcuno ha detto Irving, Rose o Bogut?) Milwaukee non ha vissuto grandi novità in questa off-season. Il Draft ha portato in dote DJ Wilson, ala grande di 208 cm con discreti mezzi fisici e un buon tiro da fuori, con una percentuale di realizzazione del 37%. Il front office ha poi lasciato andare Michael Beasley, la cui versatilità si è spesso rivelata utile, o almeno fino a quando non è stato costretto a uno stop di 17 partite per un infortunio al ginocchio sinistro; poi i vari Spencer Hawes, Terrence Jones, Steve Novak, Miles Plumlee e Axel Toupane. In entrata sono invece arrivati diversi comprimari per aggiungere esperienza e un minimo di profondità alla panchina, quali James Young, Brandon Rush, Kendall Marshall e per ultimi Gerald Green e Joel Anthony, firmati pochi giorni prima della pre-season, anche se il loro contratto è valido solamente per le partite di pre-season, o almeno per ora.

Insomma, la dirigenza ha optato per lo status quo: l’ossatura del roster è rimasta sostanzialmente identica a quella dello scorso anno, con solo qualche movimento sulla panchina per sopperire alle partenze; d’altra parte con un monte salari così alto (dopo il taglio di Spencer Hawes i Bucks si trovano a circa 2 milioni di dollari dalla luxury tax) sarebbe stato difficile operare diversamente.

https://twitter.com/Bucks/status/912801563676168193

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