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Indiana Pacers

Indiana Pacers Preview: la mediocrità che non piace

I Pacers non vincono tanto, non perdono tanto, sono mediocri. Da decenni. Con alti (Gara 7 vs LeBron, la Reggie Miller Era…) e bassi (qualcuno ha detto Ron Artest?), certo, ma questa stagione forse sarà diversa. Forse faranno schifo per davvero.

Dove eravamo rimasti?

Il passato dei Pacers non è entusiasmante, il loro futuro non è eccitante, il loro presente è caratterizzato da una squadra mediocre senza una stella. Hanno appena tradato colui che era sul cammino per diventare il miglior giocatore nella storia della franchigia per due pezzi di carne e sarebbe meglio tankare finché è possibile. Tutto questo non lo dico io, ma Mark Titus, il più affezionato e disilluso tifoso Pacers che collabori con The Ringer.

Nelle scorse 13 stagioni, ben 10 volte gli Indianapolis Pacers hanno vinto tra le 35 e le 45 partite. Le ultime due stagione hanno sì un record positivo, ma sono valse la settima piazza e un’eliminazione al primo round di Playoffs. É d’altro canto vero che (u ready for this?) Indiana vince almeno 32 partite dal 1989. E in questo lasso di tempo non ha mai draftato in top 10, scrive Zach Lowe. In estate Paul George, il cui nome non verrà più pronunciato perché magari qualche fan è debole di cuore, è stato spedito ad Oklahoma City per non perderlo tra dodici mesi a zero: il suo valore di mercato non poteva essere esorbitante, ma nonostante questo i Pacers pare abbiano ottenuto meno di ciò che potevano. Si pensava ad un bel lotto di scelte e Gary Harris, in una trade a 3 che avrebbe portato Kevin Love ai Nuggets, ma nulla. Il GM Kevin Pritchard ha provato a far fare click al roster per anni. Se dopo la stagione 2014/2015 (per intenderci: quella che Lui praticamente non giocò dopo il terribile infortunio alla gamba con Team USA) fu purgato il frontcourt David West – Roy Hibbert, dopo la ’15-’16 toccò a George Hill. Reo sostanzialmente di essere stato preso per una scelta che diventerà poi Kawhi Leonard, Hill ha lasciato il posto in cabina di regia a Jeffrey Demarco Teague. É durata solo un anno e il playmaker ex Hawks ha firmato poche settimane fa un sostanzioso contratto nel Minnesota. Indiana che rimane con pugno di mosche in mano, avrete capito, non è una tantum.

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Nella stessa estate 2016, Larry Bird (allora Presidente delle basketball operations) e Pritchard provarono il tutto-per-tutto. Scambiata l’interessante scelta come Caris LeVert per un pronto-subito come Thaddeus Young, dopo 5 stagioni di Frank Vogel sulla panchina arriva Nate McMillan. Viene riformato un cane sciolto e vecchio amore come Lance Stephenson, Monta Ellis viene estromesso dopo un solo anno dal rinnovo milionario e il backup center è ciò che rimane di Al Jefferson. Andare avanti così è comprensibilmente difficile e, dopo 42 sudate vittorie in una Eastern Conference da ribrezzo, questa estate è finalmente arrivato il terremoto.

Uscito dalla porta Larry Legend e rimpiazzato con lo stesso Pritchard, Chad Buchanan è diventato il nuovo GM. Si è formata così la coppia che a Portland scelse e sviluppò LaMarcus Aldridge. Strappato dallo staff degli Hornets, Buchanan si è trovato con la patata bollente in mano. Attraverso la stretch provision è stato tagliato Monta (tra l’altra fermato con un po’ di marijuana in estate e non si può, Monta), rinnovato Born Ready (che sembra giocare decentemente solo qui) e scambiato C.J. Miles (@masfresco) per Cory Joseph coi Raptors, lo scambio più ah-ok dell’estate. Via Draft è arrivato – ex compagno di Lonzo Ball a UCLA – T.J. Leaf, stetch four dall’interessante potenziale caduto fino alla ventesima chiamata. É invece incerto il futuro delle altre due scelte, al secondo giro: Ike Anigbogu ed Edmond Summer sono stati scelti anche se alle prese con infortuni al ginocchio. Uhm, che altro? Ah sì, sono arrivati Bojan Bogdanovic e Darren Collison per 41mln totali in due anni senza un motivo apparente.

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He’s back bitchez.

Queste ultime due firme hanno dimostrato una volta di più che Indiana non ha saputo decidersi nel dibattito che interroga da qualche mese i front office di mezza NBA. Ovvero: siccome tanto quelli là non li battiamo e strapparsi le vesta per arrivare a 40 vittorie ha zero senso, perché non buttare giù tutto e ricominciare da capo? Perché continuare nella mediocrità se puoi soffrire ora e vincere nel medio-lungo periodo? Anche in questo senso, sarà interessante vedere che effetto avrà la riforma della Draft Lottery sugli small market teams come Indiana, lo Stato in cui il basket è una religione, ma evidentemente solo quello collegiale.

Punti forti e punti deboli

Inutile ignorare l’elefante nella stanza: i Pacers si presentano sulla griglia di partenza della stagione 2017/2018 come una delle (dieci?) squadre peggiori. Fossero un pilota di F1 e la NBA  il GP di Monza, non sarebbero più di Narain Karthikeyan, ecco. Il principale punto di forza dei Pacers è una flessibilità salariale invidiabile: la prossima estate le squadre con soldi da buttare si conteranno sulle dita delle mani e (senza considerare l’esercizio della player option di Cory Joseph, unlikely) Indiana avrà più di 30mln con cui cacciare free agents. Che ad Indiana difficilmente andranno, ma questo è un altro discorso; se non altro il proprietario, Mr. Herbert Simon, scuce un monte-ingaggi adeguato allo status sociale della propria squadra.

Il miglior giocatore della squadra potrebbe essere (attento McMillan, usalo bene!) Myles Turner. Al terzo anno di praticantato, il prodotto di Texas deve fare il definitivo salto di qualità per portarsi sulle spalle l’onere e l’onore di un frontcourt NBA. Mani dolcissime per uno che viene usato con quell’efficienza come roller, la situazione preferita da Turner rimane l’aprirsi dopo un pick-n-roll centrale per un jumper dalla media. Centro titolare dei Pacers già l’anno passato, il ragazzo deve affinare l’arte del controllare le plance (7,3 rimbalzi di media sono davvero pochi) soprattutto quando forma con Thaddeus Young un duo particolarmente undersized là sotto. Uno dei problemi avuti da Indy l’anno scorso, oltre alla tremenda inutilità della panchina, riguardava proprio i rimbalzi. Turner ha migliorato sensibilmente le percentuali dalla lunetta rispetto all’anno da rookie (80% abbondante) e dalla lunga distanza (da 21% a 35%). É intuitivo aspettarsi ulteriori passi da gigante da uno dei lunghi del futuro: difende il ferro, è un continuo fattore difensivo, ha un grande motore che non ha paura di esibire scorrazzando in contropiede: si porta a spasso quasi 210cm con sorprendente controllo. Isolato in post sa fare praticamente tutto, nella propria faretra possiede le più svariate frecce e nemmeno l’atletismo passa inosservato. Giocando in coppia con Al Jefferson, inoltre, potrebbe sfruttare un vantaggio altimetrico col proprio marcatore diretto per far uscire la palla dai tempi giusti dal post: un (prototipo di) playmaking 5 estremamente moderno che dev’essere maneggiato con estrema cura da coach McMillan.

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Not in my house King James!

Victor Oladipo ha un grosso problema: non diventerà mai quel – ehm – Paul George che si pensava potesse diventare, ovvero un 2/3 in grado di segnare a piacimento e capace di difendere più posizioni. O meglio, non al livello di PG13. Oladipo verrà pagato 84mln nelle prossime 4 stagioni per essere meglio di mediocre, ma è esattamente l’aggettivo che gli va affibbiato. E dispiace, perché è un ottimo show-man (sembra quasi un cantante serio, di quelli che di professione cantano, non cercano di mettere una palla in un ex canestro per frutta). Insomma, a Victor gli si vuole bene, è che per ora Basketball-Reference.com gli paragona da un punto di vista statistico Jarrett Jack e Jodie Meeks. Il contrattone che ha firmato ad OKC (di cui Presti si è liberato, ne sbagli una Sam?) lo colloca in una posizione scomoda: questa stagione, di ritorno in quello Stato in cui ha fatto fiamme al college, è l’ultima a sua disposizione prima che venga marchiato a fuoco come “giocatore inutile con contratto abnorme da impacchettare con scelte verso Brooklyn o chiunque voglia assorbirlo”. Ergo: la distanza dalla Stratosfera Allen Crabbe è tragicamente poca. Passando alle cose di campo: Oladipo ha già dimostrato, in svariati anni ad Orlando e quando sedeva Westbrook, di non essere un primary ball handler decente. Ed è difficoltoso anche parlare di grandi progressi per uno che ha 25 anni. Sebbene la scorsa stagione sia un unicum tattico (cioè, Russell pensaci tu) sul quale è meglio non soffermarsi troppo, in diverse situazioni Oladipo è stato usato con efficacia da bloccante in un pick-and-roll centrale con RW0. McMillan potrebbe esplorare questa dimensione più a fondo, anche se nessun Pacer crea buchi neri paragonabili a quelli di Russell Westbrook. Anche per questo ha in parte deluso il quarto anno di Oladipo nella Lega: se non riesce ad elevarsi a secondo violino nemmeno nei Thunder 2016/2017, coi gradi di fulcro di un attacco intero come siamo messi?

Rimasto anch’egli un solo anno con coach Donovan e arrivato in Indiana con lo stesso aereo di Oladipo, Domantas Sabonis non è il signor nessuno in questa trade. Il figlio di Arvydas si è reso protagonista di un primo anno nella norma: inizio molto promettente e finale in calando come gran parte dei rookies, il ragazzo è un progetto tutto da sviluppare. Ventunenne mancino di 211cm, Sabonis potrebbe partire in quintetto con Turner e migliorare ulteriormente. Il miglior scenario per il lungo lituano è un  Gasol 2.0 (perché non sei paragonato ai fratelli Gasol non sei un giovane lungo europeo), il peggiore è un 2015 Andrea Bargnani. In mezzo c’è ciò che verosimilmente diventerà: un lungo mobile e un buon passatore, uno che apre il campo e va forte a rimbalzo, ma difficilmente un All-Star. Presentando il Draft 2016, Giacomo Sordo scriveva di “un’agilità e una rapidità insospettabili e una coordinazione quasi da esterno”. La sua riserva potrebbe essere quel T.J. Leaf che per certi aspetti gli somiglia, pur avendo una maggior dimensione perimetrale. Non a caso Stefano Romani, presentandolo prima del recente Draft, ne ha sottolineato il frame un po’ leggerino. Questi con Turner formano un frontcourt di ottimo potenziale, tanto che Indiana potrebbe disfarsi di Thaddeus Young per inserire qualche altra pedina più funzionale al rebuilding.

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Dewayne Dedmon welcome to your Kodak moment!

É nel reparto esterni che nascono i problemi. Detto di Oladipo (verosimilmente l’unica ala ad avere un posto sicuro in quintetto), restano Cory Joseph, Lance Stephenson, Glenn Robinson III, Bojan Bogdanovic e Darren Collison per due posti. Stat interessante: questi sei giocatori hanno racimolato 31 stagioni NBA ma solo in un caso sono andati oltre i 17 punti di media (Oladipo 2014-2015). Per far capire quanto siano poco prolifici gli esterni di Indiana: nell’ultima stagione ben 25 guardie hanno segnato almeno 17 punti. Per arrivare ad una cosa guardabile, il sistema dei Pacers dovrà renderli molto migliori della somma delle loro qualità. Tutti gli interrogativi devono prendere la giusta piega, tipo: cosa aggiungono Collison e Bogdanovic, che di media fanno 29 anni? Tolgono sicuramente spazio al figlio di Big Dog, che sta entrando in un contract year cruciale per la sua carriera. Potrà uscire dal proprio contratto anche CoJo. Avrete capito quanto è improvvisato questo reparto di Indiana: cinque giocatori dei sei citati sono “neo-acquisti” e almeno la metà non ha in programma di rimanerci a lungo (né la dirigenza voglia di trattenerli). Poi si può parlare di coach che non capisce un cavolo, di problemi difensivi, di pace: ma così è dura.

Scenario migliore

Il wind of change estivo è servito eccome: i Pacers si dimostrano una delle squadre rampanti delle Eastern Conference e McMillan va vicino al Coach of the Year (vince tuttavia il premio “Ah, ma allora non eri un’arretrata cariatide!”). Oladipo è il giocatore più migliorato dopo una stagione da 27-6-6, ovvero quasi il doppio della media in carriera. Cresce anche tutto il contorno: Sabonis fa stropicciare gli occhi ai rinunciatari di OKC, Myles Turner scopre finalmente il suo ruolo nel mondo e Taddeo Giovane fa da chioccia a Leaf. Indy agguanta l’ottavo posto, viene sì eliminata al primo turno, ma in estate arriverà lo svincolato più ambito della piazza, DeMarcus Cousins. Tutt’un tratto la ricostruzione sembra già finita e ad Indianapolis non si parlerà di insignificance per un sacco di tempo.

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Ehi tu, sai che sul carro dei Pacers c’è pieno di posti vuoti da molto tempo?

Scenario peggiore

La rivoluzione permanente rimane l’unica strada: riportare a casa Victor Oladipo si rivela un fiasco e il suo contrattone verrà assorbito faticosamente fino all’estate 2021. Distante anni luce quella data, i Pacers vi si trascinano come un beduino assetato nel deserto: si cerca di piazzare le cose che non servono più (Young, Bogdanovic e Collison) e quelle che sembrano irreparabilmente compromesse (Turner, Sabonis). T.J. Leaf perde il tocco magico tutto d’un colpo, gli viene affiliata l’etichetta di The White Ciccio Bennett e finirà anzitempo in Cina. L’unica nota lieta (ergo pezzo spendibile sul mercato per portarsi a casa una scarpa) si rivela essere Lance Stephenson. Il punto più alto della stagione è il blazer beater con cui Monte Morris, preso dopo il taglio di Denver, vince la ventesima (e ultima) partita stagionale. Morris si ritirerà a fine stagione, “at the top of the mountain”.

Pronostico

É davvero complicato azzardare un pronostico. Verosimilmente Indiana è nella stessa situazione di tante squadre ad Est che galleggiano tra le 23 e le 33 vittorie, ma ad un infortunio di Oladipo/Turner dal tanking più spudorato. Ciò che è peggio è la perseverante impressione di non riuscire a costruire né à-la-New-Orleans (attorno ad un solo game-changer) né à-la-Sixers (attorno ad un nucleo di tre potenziali fenomeni dopo anni di supplizio). Rimanere a galla, insomma, ha un costo. Dopo diversi decenni, potrebbe davvero essere questa la stagione in cui Indiana non vince nemmeno – è il caso di dirlo per il Chievo Verona delle squadre NBA – 32 partite. E forse, verrebbe da dire, sarebbe ora: tirare il fiato, puntare a Doncic e pensare al 2020 più che al domani.

(Ah, per chiudere: le nuove divise dei Pacers sono bellissime).

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