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What if, il Draft nel 1984: Michael Jordan e la terza scelta assoluta

Parte oggi la rubrica che vi accompagnerà durante tutta la stagione: un lungo filo conduttore che attraversa le “porte scorrevoli”dell’NBA. “Cosa sarebbe successo se…”: ve lo raccontiamo noi!

Da una parte i Fatti (con la “f” maiuscola) e dall’altra gli Universi Alternativi. Uno scontro infinito tra ciò che è realmente successo e quello che sarebbe potuto succedere. Non vi è mai capitato di ripensare ad una decisione presa in passato e chiedervi cosa sarebbe successo se vi foste comportati diversamente? Nel gergo comune questi dubbi irrisolvibili vengono raccolti sotto la definizione di Sliding Doors, in riferimento al famosissimo film del 1998 con la splendida Paltrow protagonista.

Nel film, Gwyneth, che interpreta il ruolo di Helen, è una donna in carriera che un giorno viene licenziata, esce quindi dall’ufficio e si dirige verso la metropolitana. A questo punto si aprono due Universi Alternativi. Nel primo Helen riesce a prendere la metro, torna a casa presto e trova il fidanzato a letto con un’altra. Nel secondo, invece, la Paltrow perde la metropolitana di un soffio. Nella scena simbolo del film vediamo correre l’attrice verso la metro, ma non abbastanza in fretta, tanto che le porte scorrevoli del vagone si chiuderanno dolcemente proprio davanti a lei. Sliding doors, appunto. Helen allora prende il taxi, è vittima di una rapina e una volta a casa non scopre il tradimento del fidanzato.

Corri Gwyneth corri!

Corri Gwyneth corri!

I due universi della pellicola si svilupperanno su binari paralleli per poi concludersi con esiti più o meno drammatici. Senza entrare ulteriormente nei dettagli della storia (caso mai qualcuno non avesse ancora visto il film), l’idea di questa rubrica è di applicare il concetto di Sliding Doors all’NBA, scovando i più interessanti “What if” nella storia della Lega professionistica più famosa al mondo. Di conseguenza, per il primo episodio della rubrica non potevamo che scegliere il Padre di tutti i What If in NBA: il Draft del 1984.

George Orwell aveva pronosticato con quasi quattro decenni di anticipo che quello sarebbe stato un anno particolare. Nel suo romanzo distopico, intitolato proprio 1984, lo scrittore descrive un mondo permanentemente in guerra e una società civile amministrata da un partito unico, dominato a sua volta da una figura misteriosa conosciuta come Grande Fratello. Morto nel 1950 poco dopo la pubblicazione del libro, purtroppo Orwell non ha avuto la fortuna di vedere se le sue previsioni pessimistiche si fossero avverate.

In ogni caso, ecco una breve lista di fatti rilevanti (o particolari) che riassumono l’atmosfera che si respirava nel 1984:

  1. La Apple presenta il primo computer della serie Macintosh
  2. Viene creato il movimento scissionista Lega Lombarda
  3. Al Bano e Romina vincono Sanremo
  4. Escono “Purple Rain” di Prince e “Born in the USA” di Springsteen
  5. Elton John si sposa. Con una donna.
  6. Michael Jordan viene selezionato al Draft con la chiamata numero…3
Al Bano e Romina

Ecco qui i nostri due eroi

Non stiamo parlando di un mondo fantascientifico come quello del suo romanzo, è vero, ma sono convinto che lo stesso Orwell sarebbe rimasto brutalmente sorpreso dalla piega presa da alcuni eventi. Prescindendo da Al Bano e Romina che trionfano in terra ligure, il punto interrogativo più grande riguarda l’ultimo elemento della lista:

Come è possibile che il miglior giocatore della storia della pallacanestro sia stato scelto non con la prima chiamata, non con la seconda ma con la terza?

Con il senno di poi, naturalmente, tutti avrebbero scelto Jordan. All’epoca, però, non era così scontato. Sin dalla stagione 1983/1984 c’era la consapevolezza che il Draft dell’anno successivo sarebbe stato pieno di potenziali superstar: da Olajuwon a Jordan, passando da Bowie e Perkins per arrivare a Barkley e Robertson. Questa convinzione era così forte che Houston e Chicago diedero vita, per la prima volta in assoluto, al fenomeno a noi tanto caro del “tanking“. I Rockets, infatti, persero volontariamente 14 delle ultime 17 partite, di cui 9 delle ultime 10, e i Bulls 19 delle ultime 23, di cui 14 delle ultime 15.

Al contrario dei giorni nostri, in quegli anni il criterio per decidere a chi affidare la prima scelta era semplice. Si prendeva in considerazione la squadra con il peggior record della Western Conference e quella dell’Eastern Conference. Poi era un 50 e 50. Chi vinceva il lancio della monetina si aggiudicava il premio più ambito. Nel 1984 le due peggiori franchigie erano risultate gli Houston Rockets e gli Indiana Pacers, i quali però avevano scambiato i diritti di quella scelta con Portland.

La monetina premiò i Rockets e i Trail-Blazers si dovettero “accontentare” della seconda scelta. Infine, sul gradino più basso del podio la terza squadra con il peggior record: i Chicago Bulls. Spiegato il come e il perché Houston e Portland si trovassero con le prime due scelte, cerchiamo di capire come mai nessuna delle due abbia chiamato MJ.

In NBA vige una legge non scritta secondo cui in sede di Draft è sempre meglio scegliere la solidità di un lungo piuttosto che il talento di un piccolo. Se negli ultimi anni questa regola si è leggermente smorzata visto l’orientamento verso la small ball, negli anni ’80 quella legge era un vero e proprio dogma. Di conseguenza, nessuno si sorprese quando David Stern, al suo primo Draft da Commissioner (non male eh?), annunciò che gli Houston Rockets avevano selezionato Hakeem Olajuwon con la prima scelta.

Nei tre anni spesi alla Houston University, pur non vincendo il titolo NCAA, il Nigeriano aveva trascinato i Cougars a tre Final Four consecutive da assoluto protagonista. Addirittura nel 1983, nonostante la sconfitta in Finale contro North Carolina State, Akeem fu nominato miglior giocatore del Torneo. Quindi, per quanto sia complicato pensare che selezionare un giocatore diverso da Jordan non meriti la fucilazione immediata, in quel momento storico scegliere Olajuwon alla numero 1 sembrò una decisione perfettamente logica.

E poi accade il patatrac. Arriva il turno di Portland, che, storicamente, ha sempre avuto un ottimo fiuto nell’individuare giocatori soggetti ad infortuni…e nel selezionarli. Che cosa hanno in comune Bill WaltonBrandon Roy e Greg Oden? Infortuni e Portland, ecco che cosa hanno in comune. E nel 1984 è andata anche peggio.

All’inizio degli anni ’80 i Blazers erano clienti fissi della post-season. Sebbene non fosse sufficientemente competitiva da lottare alla pari con i Lakers di Magic e i Celtics di Bird, Portland disponeva comunque di un roster discreto. Grazie ad alcune buone operazioni della dirigenza, la franchigia dell’Oregon riuscì anche ad assicurarsi la seconda scelta al Draft del 1984. Insomma, la chance perfetta per fare il definitivo salto di qualità. E allora perché diamine i Blazers hanno rinunciato a His Airness? 

giphy

Il ragazzo con la felpa rossa è Stu Inman, GM dei Blazers

Dietro alla loro decisione possiamo individuare alcuni ragionamenti. E sottolineo che si tratta di ragionamenti e non di giustificazioni visto che, universalmente, questa è ritenuta la scelta al Draft più sbagliata di sempre e non sarò certo io a mettere in discussione il vertice di questa classifica.

Ragione n°1 – La presenza di Clyde Draxler nel roster. Scelto nel Draft 1983, Clyde the Glide ricopriva esattamente il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire Jordan e nel suo anno da rookie aveva mostrato grandi potenzialità.

Ragione n° 2 – Il dogma “meglio un lungo buono adesso che un piccolo fortissimo domani“.

Ragione n° 3  La presunta necessità di aggiungere un centro al roster. Dico presunta perché Portland poteva già contare su due big man molto solidi come Mychal Thompson e Wayne Cooper.

Ragione n° 4 – La presunta incertezza sul talento di MJ. Anche in questo caso il termine presunta è fondamentale. Jordan, infatti, aveva già mostrato il suo talento con North Carolina negli anni precedenti e anche poco prima del Draft, durante i tryouts per le Olimpiadi del 1984. Giusto per capirci, il leggendario Bobby Knight, allora coach del Team USA, era rimasto tanto impressionato da Jordan da implorare il suo amico Stu Inamn, GM di Portland, di sceglierlo al Draft.

E quindi, alla fine, il Front Office dei Blazers cucina a puntino la frittata e con la seconda chiamata seleziona Sam Bowie.

Dato per certo che la dirigenza di Portland si sia auto-sabotata a causa delle sopracitate motivazioni, rimane comunque un altro elemento da analizzare. Perché come lungo scegliere proprio Bowie e non uno tra Perkins e Barkley? È vero che il talento di Sam era cristallino, ma è anche vero che i suoi problemi fisici fossero davvero evidenti. Il prodotto di Kentucky, infatti, aveva saltato due intere stagioni al college a causa di infortuni cronici alla tibia.

Un proverbio dice che sbagliare è umano. D’altra parte è un discorso completamente diverso prendersi la responsabilità di non scegliere Michael Jordan poiché ritenuto rischioso, per poi chiamare Sam Bowie, lungo talentuoso ma con una cartella clinica da far invidia a Derrick Rose. Questo, più che un errore è un calcio in faccia al buon senso.

Nei lunghi minuti che separano la chiamata di Olajuwon da quella di Bowie, al Madison Square Garden, sede del Draft, alcuni avvoltoi si aggiravano in cielo aspettando la morte della preda: i dirigenti dei Chicago Bulls, con un ghigno stampato sulla faccia, assistono al suicidio dei Blazers, trovando la strada spianata verso His Airness.

Negli anni successivi  al 1984 i Rockets, pur subendo il lungo dominio di Jordan, hanno raggiunto l’apice grazie ad Olajuwon, conquistando due titoli nel 1994 e nel 1995 (proprio durante la breve esperienza di Jordan nel mondo del Baseball…).

Chicago la strada per la gloria è stata più tortuosa di quello che si può pensare. Pur avendo scelto Jordan al draft del 1984, non è stato semplice iniziare a vincere. Il proprietario Jerry Reinsdorf e il GM Jerry Krause hanno ricostruito la franchigia sapientemente intorno al talento di Michael in un’ottica di lungo periodo. Un puzzle messo insieme pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, fino a trovare l’ultimo tassello mancante per arrivare alla consacrazione: mettere, nel 1990, Phil Jackson sulla panchina dei Bulls. Il resto è storia. La triangle offense, sei titoli in altrettante finali, due three-peat e una serie infinita di partite da far vedere e rivedere alle generazioni successive.

Per quanto riguarda i Trail-Blazers, Bowie ebbe una carriera breve e piena di infortuni, e anche nei rari momenti di integrità fisica dovette sopportare costantemente inaccessibili paragoni con Jordan e Olajuwon. Portland, pur avendo costruito roster competitivi, non è mai riuscita a riportare in Oregon un titolo che manca ormai dal 1977.

Dopo avervi illustrato l’arido mondo dei fatti concreti che si sono susseguiti nel giugno 1984, finalmente possiamo iniziare a volare nel disordinato cielo di ipotesi e speculazioni. Siete pronti?

What if n°1

Nella sua biografia, intitolata “Living the Dream“, Olajuwon ci mette al corrente di un incredibile universo parallelo. Secondo il Nigeriano, infatti, prima del Draft 1984 sia Portland che Chicago sarebbero state disposte a scambiare le loro scelte (la 2 e la 3) per Sampson, giovane ala grande dei Rockets appena eletta Rookie of the Year. Akeem sostiene che Houston sia stata vicinissima a scambiare Sampson con Portland in cambio di Draxler e della scelta numero due. Se quella trade fosse avvenuta, nel 1984 i Rockets avrebbero avuto a disposizione contemporaneamente OlajuwonClyde Draxler e…Micheal JordanHo i brividi soltanto a pensarci.

What if n° 2

Con un briciolo di lungimiranza i Trail-Blazers avrebbero potuto assicurarsi un buon centro senza dover rinunciare al talento di Michael Jordan. In quel periodo infatti, San Diego aveva messo sul mercato il centro Terry Cummings. Se Portland fosse stata convinta dal talento di Jordan, avrebbe potuto imbastire una trade con i Clippers per assicurarsi Cummings e nel frattempo non rinunciare al G.O.A.T. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.

Cry

What if n° 3

E se i Blazers avessero scelto Jordan? E se Chicago, non potendo più chiamare Michael, avesse scelto Barkley? Cosa avrebbe fatto allora Philadelphia? Con Jordan nel roster, la dirigenza di Portland avrebbe mai assunto Phil Jackson? Stu Inman avrebbe accettato di assumere un coach che si presenta al primo colloquio in bermuda e maglia hawaiana? Lo zio Phil sarebbe comunque diventato leggenda? Se Jackson non avesse allenato Jordan, i Lakers lo avrebbero chiamato per trascinare al successo Kobe e Shaq? Un effetto a cascato praticamente infinito…

 

Oh My God

Oh My God

What if n° 4

Prima di cambiare idea e di tornare a Georgetown per un ultimo anno, Patrick Ewing aveva deciso di rendersi eleggibile per il Draft del 1984. Se lo avesse fatto, sicuramente sarebbe stato chiamato da Houston con la numero uno. Portland avrebbe reagito chiamando Olajuwon… e Chicago?  Il front office dei Bulls di allora sostiene che avrebbero comunque chiamato Jordan invece di Bowie, ma se non fosse andata così? Forse anche i Dallas Maverickes, che avevano a disposizione la quarta scelta, avrebbero avuto la loro possibilità con Jordan.

Potremmo continuare all’infinito cercando Universi Paralleli, ma è meglio fermarsi qui. L’unica cosa assolutamente sicura del Draft 1984 è che è uno dei principali fattori ad aver reso l’NBA di oggi quella che è: incredibile e spettacolare. In fin dei conti, quindi, dovremmo tutti essere grati a Portland.

Perciò, come premio per la loro lungimiranza, nella puntata della prossima settimana esamineremo il perché i Blazers abbiano deciso di scegliere Greg Oden invece di Kevin Durant.

Incredibile vero?

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