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Detroit Pistons

Detroit Pistons Preview: il ritorno di Motor City

Dopo anni di declino Motor City sta tornando ai vertici della Eastern Conference grazie ad un gruppo giovane e talentuoso guidato dal (piccolo) guru newyorkese. Sarà questa la stagione che segnerà il ritorno definitivo dei Detroit Pistons?

I Detroit Pistons nella passata stagione sono stati una strana bestia. Sono riusciti a raggiungere i playoff con l’ultima piazza disponibile ad Est dopo 82 partite sulle montagne russe: a picchi come le vittorie su Cleveland e Golden State hanno sempre seguito crolli contro squadre allo sbaraglio come Lakers, New Orleans o Washington (addirittura 0-3 in regular season contro i Wizard). I Pistons sono stati una squadra molto disfunzionale sui due lati del campo che è sembrata ancora un cantiere aperto sia nella scelta degli uomini (vedi la trade per Tobias Harris a metà stagione) sia nella metabolizzazione dei princìpi di gioco di Stan Van Gundy.

Passi l’essere l’ultima (ultima!) squadra ai liberi col 66.8% su gli oltre 25 tentati a partita ― considerate il fattore-Drummond ―, ma tirare il 34% scarso da oltre l’arco non è sostenibile per una squadra che, come è nel credo del suo allenatore, vuole giocare con quattro esterni capaci di aprire e spaziare il campo. Soprattutto perché l’inaffidabilità perimetrale finisce col rendere meno efficace il pick-and-roll tra Reggie Jackson e Andre Drummond, che è il centro gravitazionale di tutto il sistema.

Dov’è che avevate già visto questo pick-and-roll? Qui, l’avevate già visto qui.

I Pistons hanno coperto queste magagne grazie alla versatilità difensiva e ai rimbalzi. Giocatori come Jackson, Caldwell-Pope, Stanley Johnson, Tobias Harris e Marcus Morris, dotati di centimetri, mobilità laterale e wingspan da giovani albatros, permettono di poter cambiare su ogni blocco senza subire uno svantaggio tecnico-fisico. Il quintetto appena citato non ha praticamente mai giocato assieme la scorsa stagione (un minuto in regular season e uno sprazzo nella serie contro Cleveland) ma potrebbe diventare un’arma tattica molto importante in futuro.

L’efficienza difensiva comunque non è stata clamorosa (103.4 di DefRtg), soprattutto per un allenatore, Van Gundy, che chiede ai propri giocatori di “formare un f****tissimo muro” per impedire agli avversari di segnare. Quello che invece i Pistons fanno davvero bene è andare a rimbalzo. Hanno chiuso la regular season al secondo posto per rimbalzi catturati (oltre 46 a partita), dove spiccano soprattutto i 12.5 offensivi, benzina essenziale per un attacco come visto non sempre impeccabile. Chi ha davvero una dote naturale in questo fondamentale è Andre Drummond, la stella della squadra, che ha dominato la scorsa stagione prendendone 14.8 ad ogni allacciata di scarpe.

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Credits to www.nba.com

Per quanto fallace ai liberi (35% scarso, un autentico disastro) Drummond ha dimostrato nella scorsa stagione di poter essere un centro dominante anche nella NBA contemporanea. Al fisico scolpito nel marmo abbina una buona mobilità di piedi e coordinazione che gli permette di rollare a canestro diventando letale. Considerate in più che dalla prossima stagione l’hack-a-Shaq subirà delle variazioni che impediranno di mandarlo in lunetta con la stessa frequenza del passato. Le speranze dei Pistons di tornare nell’élite della Eastern Conference sono tutte sulle sue possenti spalle.

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