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Dare il buon esempio

L’NBA ancora una volta si sta dimostrando anni luce avanti rispetto al resto del mondo dello sport professionistico

Dare il buon esempio è molto spesso più importante di qualsiasi campagna di marketing. Perché essere vicini ai problemi di tutti i giorni è certamente sintomo di intelligenza e perché la società (civile, non i Lakers o i Celtics) mai come in questo momento ha un disperato bisogno di figure che facciano strada, che dettino a modo loro l’elenco delle priorità. Che ripristino, sfruttando i riflettori puntati su loro, la giusta agenda.

E in questo, al solito, l’NBA si sta dimostrando avanti anni luce rispetto a tutto il resto del mondo dello sport. È giusto, almeno per un po’, accantonare quei “Sono tutte finali di qui alla fine del campionato” oppure “La partita più importante è la prossima”. Se il mondo sta diventando un posto sempre più scomodo, bisogna iniziare a parlare di cose scomode.

E di fronte all’uragano di violenza che sta attraversando gli USA, la retorica va messa da parte. E nelle ultime settimane i volti del mondo NBA hanno deciso di lasciare un’impronta, di lanciare un segnale.

Come agli ESPYS 2016, gli Oscar dello sport americano assegnati da ESPN. Il pluripremiato Lebron James, assieme a Dwyane Wade, Chris Paul e Carmelo Anthony salgono sul palco prima che la cerimonia abbia inizio. Volti scuri, seri, tirati. E un messaggio forte e chiaro da lanciare.

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Non solo violenza contro i neri, però. Ad Orlando, difatti, Omar Mateen fa strage in un club, puntando i suoi fucili contro la clientela in maggioranza omosessuale, uccidendo 49 persone prima di trovare la morte. Il peggior attentato nel post 11 settembre della storia degli Stati Uniti. E l’NBA decide di non poter chiudere gli occhi davanti a questo.

Niente più All Star Game a Charlotte, inaccettabili le leggi sull’omofobia dello stato dell’East Coast. Impossibile voltare la testa dall’altra parte per chi, nella propria famiglia, ingloba anche il primo atleta professionista americano ad aver dichiarato la propria omosessualità.

Least but not last, la lettera che ieri Michael Jordan ha affidato a The Undefeated, dopo che sono riesplose le tensioni razziali. Le parole di un uomo di colore, che non può più tacere di fronte alle spaccature che stanno lacerando un’intera nazione.

Michael Jordan “Non posso più stare a lungo in silenzio”

Un modo diverso di affrontare il pubblico, di vivere il presente. L’NBA è una Lega che tutt’oggi presenta incongruenze enormi: l’80% dei giocatori è di colore, ma il 90% dei proprietari è bianco (MJ è una rara eccezione anche in questo), sintomo di come neanche loro possono ritenersi immuni da una logica profondamente radicata nella cultura e nella società americana.

L’importante è avere il coraggio di non chiudere gli occhi, di non voltarsi da un’altra parte. Come fanno loro e come, speriamo, inizino a fare anche altri.

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