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Vincredible

This is a vincredible story. Si può entrare nella storia di uno sport senza aver vinto nessun titolo? Oakland 2000 è la risposta a questa domanda.

Due domande semplici semplici. Qual è il film che narra la storia di un manipolo di cartoni animati costretti a giocarsi il loro futuro sul pianeta Terra in una partita di basket contro gli alieni? E chi è il personaggio, grazie a Dio realmente vivente, che interpreta sé stesso nel film? Chi non sa rispondere non ha mai visto Space Jam, con protagonisti i Looney Tunes  e Michael Jordan. Eh si, quello Space Jam, del quale a breve uscirà il secondo capitolo con protagonista un altro numero 23 piuttosto famoso. Tranquilli, non vogliamo raccontarvi il film animato, né darvi anticipazioni sul sequel e non vogliamo neanche scrivere di MJ o di Lebron. Ma è dalla colonna sonora di questo film e dalla condivisione del medesimo college tra “His Airness” e il nostro personaggio che parte questo viaggio. Nel 1996, anno in cui esce il film su menzionato, Robert Sylvester Kelly, in arte R. Kelly, crea la sua hit di maggior successo. “I believe I can Fly”. È un inno alla forza interiore, al concetto di credere in sé stessi, fino ad arrivare al punto di pensare di riuscire a volare. Daytona Beach, nota per lo più per avvenimenti sportivi di natura motoristica, nel gennaio del 1977, dà i natali a Vincent Lamar Carter ed entra di diritto nelle mappe del basket mondiale e non più solo esclusivamente in quelle delle corse dei campionati automobilistici della NASCAR. Da piccolino Vincent si diletta parecchio con gli sport più amati in Florida, automobilismo e Football e mostra una qual certa propensione con il sax tra le mani, ma la vera passione è il Basket.  Gli anni della High School passano nella ridente e soleggiata cittadina tra le varie passioni del piccolo Vincent e concluso il liceo sembra che la via da seguire sia quella del talentuoso sassofonista. L’Università di Bethune – Cookman pone l’attenzione sul piccolo prodigio ma per fortuna non è l’unica università a volersi accaparrare i servigi del ragazzo di Daytona Beach. L’offerta arriva da North Carolina, e un personaggio che ha avuto un leggero impatto sul mondo del college Basket, l’immortale Dean Smith, intravede nel giovane Vincent Lamar delle caratteristiche che ben potrebbero sposarsi con il gioco del Basket. La capacità più evidente di Vincent? Spiccare il volo oltre i 3,05. Se da un lato essere allenati da una delle icone del basket NCAA è garanzia di successo, non solo nel basket ma anche nella vita (circa il 96% degli atleti sotto la guida di Dean Smith ha raggiunto l’obiettivo della laurea), dall’altro lato serve una dose piuttosto massiccia di pazienza. L’anno da Freshman Vince lo passa per lo più a riscaldare la panchina, tant’è che più volte è tentato di cambiare college e ritornare nella sua amata Florida. Ma la scelta di restare a Chapel Hill è fondamentale per il proseguo della carriera. Assieme a Antawn Jamison porta i Tar Heels alla Final Four nel 1997, anno in cui si conclude la indimenticabile carriera di coach Dean Smith, e nell’anno a seguire, con una stagione da vero e proprio leader tecnico, bissa la prodezza, senza però riuscire a vincere il titolo nazionale.

Credit to: www.bleacherreport.com

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Le due stagioni straripanti al college incoraggiano Vincent a rendersi eleggibile al Draft.  La scelta arriva dalla baia, sono gli Warriors, non proprio quelli odierni, a chiamare l’uomo di Daytona Beach, ma la destinazione cambia subito. Gli Warriors lo scambiano alla pari con la scelta numero 4 di quel Draft, lo stesso Antawn Jaminson con cui ha condiviso le annate a Chapel Hill; destinazione Toronto. I Raptors, per usare un eufemismo, non sono proprio la miglior squadra della lega ma l’entusiasmo in Canada, per una franchigia nata pochi anni prima, è spasmodico. La squadra nei primi anni girovaga per tutta Toronto fra lo Sky Dome e il Maple Leafs Garden ma durante la stagione 1998-1999 a Toronto si respira un’aria di rinnovamento.  Nella stagione del lockout, Carter mette in mostra tutto il suo talento vincendo a mani basse il titolo di rookie of the year con 18,3 punti e 5,7 rimbalzi di media. Ma ciò che entusiasma il pubblico sono le gite ad altezze proibitive del ragazzo uscito da North Carolina, e come se non bastasse la presenza di un fenomeno del genere è accompagnata dalla creazione di un nuovo palazzetto all’avanguardia che diventa il fortino della franchigia canadese. Di chi fu il primo canestro all’Air Canada Centre? Ovviamente una schiacciata, da alley oop di Charles Oakley, di Vincent Lamar nel derby tutto canadese contro i Grizzlies, all’epoca di base a Vancouver. Stagione 1999/2000, i Raptors sono una delle franchigie più divertenti della lega e i cugini Tracy Mc Grady e Vince Carter regalano ai tifosi sprazzi di  gioco irreali. Vince, sopra i 25 punti di media, viene invitato all’All Star Game, non solo come partente in quintetto nella selezione della Eastern Conference ma soprattutto come partecipante allo Slam Dunk Contest. Dominique Wilkins, Michael Jordan, Kobe Bryant sono tra i più famosi vincitori della competizione che negli ultimi anni ha perso un po’ di appeal e che addirittura nel 1998 e 1999 neanche ha preso il via. Tenetevi pronti, allacciate le cinture di sicurezza e indossate gli occhialini classici per le visioni in 4D. La dimensione in cui stiamo per entrare non è reale, è un mondo a sé stante. Come si fa a spiegare a parole quello che neanche gli occhi riescono a farti credere possibile? Non si può descrivere cosa è stato quello Slam Dunk contest, non ci sono parole per descrivere l’elettricità che quella gara ha trasmesso agli spettatori presenti a Oakland o seduti in poltrona collegati da tutte le latitudini; non ci sono parole che possano permettere di rendere omaggio a quello che è un evento unico e irripetibile. La rivoluzione Copernicana, la scoperta del fuoco, l’invenzione della ruota, l’allunaggio di Armstrong, la caduta del muro di Berlino. Ecco tutti questi sono eventi  che hanno segnato un cambiamento radicale nella vita dell’umanità. Lo Slam Dunk contest di Oakland è l’evento storico cestistico che ha cambiato la visione del mondo sulle capacità acrobatiche dell’uomo. Le uniche parole che si possono usare sono quelle citate da Vince Carter una volta atterrato dalla between the legs slam dunk su bounce pass del cuginetto Tracy. “It’s Over”.

Credit to: nicekicks.com

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Si fa fatica a ricordare cosa altro sia successo quella sera. Ricordiamo Steve Franchise e TMac darsi da fare per stupire la giuria, ma gli occhi erano solo per il nativo di Daytona Beach. Affondata con l’avambraccio e 360 wind meel; solo un pazzo poteva spingersi così oltre a quella che fino a quel momento sembrava essere la realtà. Se mai vi dovesse capitare di trovare una lampada e , sfregandola, uscisse un genio, chiedete di tornare indietro nel 2000 e di diventare uno di quei piccoli personaggi del fortunatissimo cartoon “Inside out”, per vivere dall’interno del corpo di Vincredible quella serata ad Oakland. Il 2000 di Carter diventa ancora più notevole in estate.  A Sidney 2000 vince l’oro Olimpico del quale l’istantanea che ricorderemo sarà quella della sua non banalissima schiacciata contro la Francia che gli avrebbe fatto conquistare l’oro anche nel salto in alto e nella corsa a ostacoli. Citofonare casa Weis. Ma il 2000 è il picco per quanto riguarda i successi; negli anni a seguire l’indice Carter tenderà al ribasso. Nel 2001, un immaginifico Allen Iverson esclude i suoi Raptors in quelle che figurativamente sono sette partite di basket 5 vs 5 ma in realtà sono un vero e proprio uno contro uno. Due cinquantelli a uno per The Answer, due trentelli ciascuno ed errore sulla sirena  di Vince sul 88-87 Phila in gara 7. Da li in poi cambia maglia in serie, sempre firmato da franchigie in grado di giocarsi il titolo.  È come se conoscesse molte fidanzate, tutte top model, tutte dei veri e propri schianti, arrivando però sempre tardi all’appuntamento decisivo. Nei Nets arriva dopo le due finali perse contro Lakers e San Antonio e nonostante l’ottima intesa con l’uomo mangusta Jason Kidd, metterà in mostra tutto il suo potenziale ma non raggiungerà mai l’obiettivo delle Finals. Nel giugno del 2009 firma per Orlando, ritornando così nella sua Florida, giusto la stagione dopo le Finals dei Magic contro Kobe e Pau; anche qui rimarrà a bocca asciutta per quanto riguarda i titoli di squadra. Stessa sorte nell’approdo ai Mavs; firma l’anno successivo alla vittoria della franchigia del Texas , nella quale, da sesto uomo, darà un ottimo contributo alla causa senza però raggiungere le ambite finali. Attualmente ai Grizzlies, quelli che prima erano di base nel Canada che lo ha visto nascere come stella della lega, è poco più che una comparsa nelle rotazioni di coach Joerger , se si esclude questa edizione di Playoffs dove la moria di giocatori di Memphis lo ha riportato in quintetto, e si appresta a chiudere la sua carriera. Di recente è tornato in quell’Air Canada Centre che lui stesso ha inaugurato.

Credit to:www.huffingtonpost.com

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 Ricordate? Con quell’alley oop di Oakley di cui abbiamo parlato prima. Un video tributo ed un’accoglienza degna dell’eroe che Vince è stato per il popolo del basket di Toronto e del Canada intero; un momento di celebrazione che lo ha portato alle lacrime e che gli ha fatto rivivere il periodo più insensato e tecnicamente importante della sua intera vita dedicata al basket. R. Kelly nella sua canzone dice che la forza d’animo può permetterci di raggiungere anche il cielo, ma lui lo cantava in senso metaforico, volendo dimostrare a chiunque che la volontà ci può portare a superare i limiti. Vince Carter invece volava per davvero e quando decollava restavamo tutti a bocca aperta e con il fiato sospeso, consapevoli del privilegio di godere di tanta maestosità.

Checco Rivano

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