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Primo Piano

L’Immortale

Tim Duncan compie 40 anni. Lunga vita a Tim Duncan.

Premessa

Ermete è il Dio Greco della Parola e della Comunicazione.

Ermete è figlio di Maia, ninfa protettrice della Primavera, stagione della fertilità, dello sbocciare della vita.

Ermete assimilato alla divinità egizia Thot prende il nome di Ermete Trismegisto.

Ermete Trismegisto è ritenuto il padre fondatore dell’ermetismo.

Ermete Trismegisto bevve l’elisir di lunga vita, diventando Immortale.

[…]

Juan Ponce de León è un condottiero spagnolo.

Juan Ponce de León fu il primo continentale a sbarcare sulle coste della Florida.

Juan Ponce de León arriva la Florida per cercare la fonte della giovinezza e diventare Immortale.

[…]

Esattamente come gli dei dell’antica Grecia, anche gli dei del basket non sono mai banali. Osservano attenti coloro che tentano di scalare l’Olimpo del Basket cercando di garantire l’Equilibrio e la Giustizia del Gioco. Può capitare però, a volte, che si schierino apertamente, premiando quelli che si dimostrano essere meritevoli. Vagliandoli con dure prove ma trasformandoli in leggende immortali che trascendono il tempo e lo spazio. Questa è la storia di uno di loro.

 

Nascita

Un ragazzino di dodici anni sta umiliando i rispettivi avversarsi nella gara dei 400m stile libero di categoria. Siccome gli dei non giocano a dadi ci troviamo in una piscina (fonte?) olimpica a Mission Bay, in Florida. Quando lo speaker annuncia il tempo ci si accorge che risulta essere tra i migliori sedici della nazione.

Il ragazzo, nato sull’isola di Saint Croix nell’arcipelago delle Isole Vergini americane, non si scompone più di tanto. Ha un carattere molto chiuso, timido, parla pochissimo. Terzogenito figlio di un’ostetrica – la protettrice del miracolo della nascita, dello sbocciare della vita – e di un muratore dal cuore grande, viene alla luce (ovviamente) una mattina di primavera. I genitori gli mettono nome Timothy Theodore, ma per tutti è il piccolo Tim.

E’ solito passare il tempo a giocare ai videogiochi e ad arrampicarsi sugli alberi con le due sorelle maggiori con le quali condivide un buon rapporto e la passione per il nuoto, di cui lui sembra esserne un astro nascente. Ione, l’ostetrica, non si perde mai una gara del figlio, neanche dopo un interminabile turno notturno. E’ la sua fan numero uno. Ma il destino ha la sua puntualità ed il vento del cambiamento stava per abbattersi inesorabile sul giovane nuotatore.

Poseidone, Dio del Mare, libera una bestia infernale (1989) di nome Hugo che colpisce gran parte delle isole caraibiche. Hugo avanza feroce distruggendo tutto quello che si trova davanti, compresa la piscina comunale dell’isola di Saint Croix. Si può continuare a nuotare nell’Oceano ma questo non piace molto al giovane Tim, che un po’ per la paura degli squali un po’ per la mancanza di competitività inizia a perdere interesse; un interesse che finisce definitivamente quando la madre, gravemente malata, si spegne prematuramente due anni dopo, lasciando un vuoto incolmabile dentro di lui. Due le promesse: non avrebbe mai più nuotato e avrebbe terminato il college.

Nelle isole caraibiche un altro sport molto popolare è il basket. Si gioca all’aperto, sotto una luce abbagliante o una pioggia tropicale, poco importa. Anche a Tim piace la palla a spicchi ma nonostante un’altezza notevole è molto scoordinato, scarso. La competitività e la voglia di migliorarsi però non gli mancano e il padre gli fa trovare un canestro su un lato della casa dove poter giocare con gli amici. Diventa ogni giorno più forte e inizia ad usare meglio il suo corpo, dimostrando un senso tattico e posizionale fuori dalla norma per un ragazzo di quell’età. Ovviamente non passa molto prima che qualcuno si accorga di lui.

 

Credits to m.hupu.com

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Dave Odom, che da qualche anno allena a Wake Forest, gli offre una borsa di studio e la possibilità di giocare nella Atlantic Coast Conference (ACC) in NCAA. Tim accetta, ed è subito qualcosa di diverso, di speciale. Già al secondo anno bussano dal piano di sopra, per molti sarebbe già una top pick, ma Tim declina educatamente. La promessa fatta alla madre è più importante. Continua a lavorare sodo, i suoi fondamentali sono straordinari, e due anni dopo con una laurea in psicologia (!) in tasca e il college terminato come promesso alla ninfa Ione arriva finalmente il momento per la NBA. E’ La prima scelta – scontata – del Draft (1997) e ad attenderlo dall’altra parte c’è l’ultima fermata prima dell’immortalità: i San Antonio Spurs.

 

Mitologia

La franchigia non è proprio sul livello di Lakers o Bulls per quanto riguarda la popolarità, per non parlare del palmares che recita un rotondo 0 nella casella titoli vinti.

 

Credits to www.reddit.com

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Anche l’attenzione da parte dei Media è ridotta e con questo Tim si trova discretamente bene. La prima intervista da giocatore degli Spurs si racchiude in un pragmatico quanto ermetico: “I just hope to make a difference”. Firmato il vostro classico futuro All-Star. Questa quote, una delle tante da regalare ai posteri, sommata ad un carattere taciturno, gli occhi socchiusi, l’imperscrutabilità da giocatore di poker consumato portano le persone a chiedersi quali siano le cause della sua angosciante infelicità, ma in realtà sono i tratti distintivi di un personaggio diverso, apparentemente non fatto della stessa materia degli esseri umani (Ermete sei tu?).

 

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E il concetto di ermetismo calza perfettamente anche l’anima franchigia, che dal suo arrivo si stabilisce al vertice NBA. Ma neanche il più fiero dei texani poteva immaginarsi di vedere la sua squadra, in appena dieci anni, trasformarsi da realtà provinciale in una candidata – con ottime motivazioni – al concetto tanto caro agli americani di Dinasty. E i soldi di Peter Holt (il proprietario ma solo perché mette i soldi, le decisioni probabile spettino ad altri, ndS) hanno sicuramente aiutato, ma mai quanto un allineamento cosmico irripetibile che ad un nuotatore caraibico stella in campo, vede un figlio di immigrati serbi della costa est con un passato nello spionaggio internazionale (CIA) in panchina. Ai nostri cari dei dev’essere scappata la mano.

 

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Tim è un leader straordinario. La sua etica del lavoro è pareggiabile solo dalla sua totale assenza di arroganza. Mai oltre le righe, mai una dichiarazione fuori posto né un problema con un compagno di squadra o dello staff. O almeno non pubblicamente, visto l’aurea di privacy e il silenzio religioso che non fa trapelare niente al di fuori dalla sacralità della palestra. E’ l’immagine della franchigia. Certo essere da subito uno dei giocatori più forti della Lega aiuta, ma il suo profilo, riservato, da div(o)-anti divo rispecchia esattamente il nuovo “modello” voluto dall’ex spia della CIA.

La sua impenetrabilità però non è da confondere con l’essere distaccato o assente. E’ dotato di un’intelligenza (non solo cestistica) sopra la media ed è il padrone emotivo totale dello spogliatoio. Nonostante sia pressoché inespressivo e impossibile da codificare la maggior parte delle volte, è lui quello che decide chi e come viene accettato nel gruppo. E se lavori e giochi nel modo giusto dalla apatia iniziale iniziano ad arrivare abbracci, carezze, pacche ed high five. E’ il vero condottiero (Ponce de León sei tu?) e protettore della franchigia.

 

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Ed anche tecnicamente la sua leadership è spaventosa. I fondamentali eccelsi, l’utilizzo dello spazio, il tempismo innato, l’essere tremendamente essenziale quanto decisivo. Sempre. I suoi movimenti in post sono una rappresentazione terrena di cosa sia la bellezza divina. Eleganti, bilanciati, superiori ma mai dispregiativi. Con classe. Sapendo sempre trovare conforto nell’amico tabellone e usando il perno come nessun sette-piedi (2.11m) o quasi aveva fatto prima. Un videogioco più o meno. Una divinità.

 

Immortalità

Dall’arrivo di Tim la squadra vola. Quattro titoli in dieci anni. Cinque in totale su sei Finals disputate. Potevano essere anche di più, ma gli dei del basket dovendo, come detto, mantenere l’Equilibrio e la Giustizia del Gioco hanno dovuto rimediare in fretta con altri mostri leggendari o sofisticati androidi.

Ma i numeri della sua carriera – che comunque raccontano una faccia della sua legacy – non bastano a spiegare quanto sia stato, è e sarà (per sempre) qualcosa di diverso. Un esempio, dei tantissimi che potremmo pescare casualmente dal mazzo di giocate da consegnare ai posteri: se leggiamo alla voce 3-Point troviamo un tutt’altro che esaltante 30/168 (in carriera) e possiamo pacificamente affermare che non è uno specialista nel tiro da dietro l’arco. Ma la sua innata, ed insensata, capacità di essere determinante, di fare la cosa giusta al momento giusto, lo porta a fare cose come questa.

Nella frazione di secondo in cui mette a posto i piedi si ha già la sensazione che qualcosa di magico stia per accadere. E poco importa se siete tifosi avversari o disinteressati. La celestialità sinfonica sprigionata avvolge tutto dentro il palazzo trasformando un movimento che dovrebbe essere anormale, considerate le statistiche, in qualcosa di normale. E’ rassicurante, etereo. Nel tragitto della palla dalle sue mani al fondo della retina nessuno del pubblico si agita o esalta. Sai già che quel tiro andrà dentro. E’ la normalità totalizzante che riequilibra il Mondo.

E come detto se ne potrebbero pescare altri dieci, venti, tra gli highlights della sua carriera e non farebbero che rafforzare l’idea di quelle che sono state le pagine degli ultimi vent’anni della storia del Gioco. La sua legacy resterà per sempre Immortale, come del resto il giovane Tim. Tra ermetismo, piscine dell’eterna giovinezza e mitologia.

Come resterà per sempre Immortale il suo rapporto con tutto quello che lo circonda. Che siano compagni,

 

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o arbitri,

 

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o tue sinistre reincarnazioni.

 

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Ma soprattutto resterà Immortale il suo modo di avere espresso se stesso senza averlo mai spiegato (e comunque dubito che lo avremmo capito ?!?!?)

 

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Il viaggio è concluso. L’Olimpo è raggiunto. Continua ad essere come sei, Semplicemente

 

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