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Golden State Warriors

Golden State Warriors Season Preview: Can You Break The Wheel?

I Golden State Warriors si presentano ai nastri di partenza con un roster sostanzialmente invariato e grandi ambizioni di repeat: saranno certamente tra le contender, ma riusciranno a rompere la ruota e a creare una dinastia?

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Bleacher Report è stata chiara nel suo ultimo video della serie Games of Zones: Cavs, Heat (ecco, loro magari un po’ meno), Clippers, Spurs (ulteriormente rinforzati dal nuovo Estran…acquisto, LaMarcus Aldridge), e probabilmente molte altre, non fanno che parlare di come far girare la ruota, di come arrivare alla vetta; ma il Trono di Spade di quell’incredibile Westeros sportiva chiamata NBA appartiene ora a Sua Maestà Stephen Curry e ai suoi Golden State Warriors, che hanno ora tutte le intenzioni di rompere questa ruota e creare una dinastia. All’agognato Trono, che a queste latitudini prende il nome di Larry O’Brien, i Warriors ci sono arrivati con una cavalcata trionfale, nemmeno avessero un’intera orda di Dothraki agli ordini di coach Steve Kerr: 67 vittorie stagionali, playoff in gran parte dominati (solo con Grizzlies e Cavs i Warriors si sono trovati sotto 1-2 nella serie) e vero e proprio trionfo. Merito di un’organizzazione che, a 5 anni dall’inizio del regno del nuovo proprietario Joe Lacob, non ha sbagliato un colpo, perseguendo un progetto tecnico preciso, coerente e minuzioso in ogni scelta, talvolta controversa (come quella di non cedere Thompson per Love la scorsa estate, o di licenziare un coach comunque positivo come Mark Jackson per prendere un esordiente come Kerr) ma alla fine sempre vincente. E pare che la strada per difendere il Trono dagli assalti della concorrenza continui su questa falsariga, con una squadra in gran parte confermata e se possibile ulteriormente migliorata nella second unit. Non sarà facile distruggere la ruota, ma la casata dei Warriors è pronta a dare battaglia affinché il Trono della NBA rimanga nella sempre caldissima Oracle Arena.

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IL MERCATO

Squadra che vince non si cambia, giustamente, o al massimo porta sotto il proprio vessillo quegli elementi funzionali al gioco bello e vincente di Kerr: ecco allora che il vero colpo estivo sono state le riconferme di un elemento importante della lunga rotazione dei Warriors come Leandro Barbosa e soprattutto di uno dei cardini tecnico-tattici della squadra come Draymond Green, passato dal biennale da seconda scelta a un accordo vicino al massimo salariale (82 milioni di dollari in 5 anni). Sul fronte sfoltimento del roster (e del salary cap), il GM Bob Myers si è liberato del contrattone di David Lee, mandato a Boston per Gerald Wallace e Chris Babb, e ha poi girato Wallace ai Sixers per il ben più funzionale Jason Thompson, un altro lungo rapido e con buonissime attitudini difensive che pare costruito su misura per questi Warriors. Il Draft invece, con l’ultima chiamata del primo giro, ha portato in dote Kevon Looney, altra versatile ala ben conosciuta in zona (prodotto di UCLA) che sarà costretto a saltare buona parte della stagione d’esordio per un intervento all’anca, ma che pare comunque un’ottima presa di prospettiva alla numero 30.

 

IN: Jason Thompson, Kevon Looney, Chris Babb, Xavier Henry, Jarell Eddie, Ian Clarke, Chris Udofia.

 

OUT: David Lee, Gerald Wallace, Justin Holiday, Ognjen Kuzmic.

 

STARTING FIVE

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PANCHINA

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PAYROLL 

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IL COACH

Col senno del poi non pare veramente un caso se nella primavera-estate 2014 mezza NBA facesse squillare piuttosto insistentemente il telefono di Steve Kerr: l’ex scudiero di un certo Michael Jordan infatti, neanche vantasse un passato da governatore della Gallia, ha realizzato il più classico dei Veni, Vidi, Vici. Dopo aver sfogliato la margherita e scelto i Warriors, Kerr ha ereditato da Mark Jackson una squadra dalle buone basi ma con parecchi limiti, ed ha svolto un lavoro eccezionale nello smussare questi difetti fino a costruire quella che fin dal primo giorno di stagione si è rivelata una corazzata. In primis il nuovo coach ha reso definitivamente i Warriors un’ottima squadra difensiva (addirittura prima assoluta per Defense Rating), e poi ha messo a punto un sistema offensivo basato sulla transizione rapida ma in grado di funzionare anche contro la difesa schierata, grazie all’impiego di giocatori estremamente versatili, a una rotazione lunga che ha permesso di mantenere sempre altissimo il ritmo e alla valorizzazione di tutti gli elementi a roster, anche di chi con Jackson era finito un po’ ai margini (come Bogut o Barnes, ad esempio). Ne è nato un assoluto capolavoro che ha portato Kerr a entrare subito nella storia come settimo esordiente in panchina a vincere subito l’anello, mandando immediatamente il coach appena 40enne nell’olimpo degli allenatori della Lega.

In questa stagione però, a causa di alcuni problemi di salute del head coach, all’inizio al timone vedremo Luke Walton, a sua volta alla primissima esperienza sul pino (che comunque, verrebbe da dire, conosce piuttosto bene da quando ancora giocava…). Quasi scontato comunque che l’erede di Bill non farà che eseguire il mantra di Kerr in attesa del suo rientro in panchina.

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Credits to: www.nytimes.com

 

GIOCATORE CHIAVE ATTACCO

Come ogni grande squadra, i Warriors hanno costruito i propri successi non su uno ma su due cardini offensivi, in grado di alternarsi nel ruolo di trascinatore nel corso della stagione mantenendo comunque quasi sempre uno standard di rendimento altissimo: la chiave quindi non può essere solo Stephen Curry o solo Klay Thompson, ma entrambi gli Splash Brothers, arrivati ormai a un’intesa che pare quasi una simbiosi. Anche per una questione di ruolo, il leader tecnico e carismatico non può che essere l’MVP dell’ultima stagione, vero motore offensivo della fuoriserie di Kerr, ma Thompson ha dimostrato spesso di non esser certo da meno, caricandosi di responsabilità e diventando ormai molto più che un “semplice” realizzatore puro. Insomma, per quanto i Warriors abbiano basato le proprie fortune sui tantissimi giocatori in grado di pungere, è evidente come una coppia di guardie di questo livello sia introvabile anche nella Lega, con tutto ciò che ne consegue in termini di grattacapi difensivi per gli avversari, e anche in questa stagione ormai alle porte i mal di testa non mancheranno a chi si troverà di fronte i due cecchini di Oakland.

 

GIOCATORE CHIAVE DIFESA 

Si può vincere un MVP delle Finals per meriti più difensivi che offensivi? Risponde, e insegna, Andre Iguodala, decisivo nell’ultima Finale con il suo agonismo e la sua applicazione in difesa su un Lebron James in versione naufrago sull’isola. Arrivato nella Bay Area nell’estate del 2013 con l’etichetta di ottimo acquisto, l’ex Phila ha faticato parecchio nel suo primo anno in California, complice la scarsa continuità al tiro da fuori; merito dunque di Kerr reinventarlo sesto uomo, riuscendo in un colpo solo a rilanciare un Harrison Barnes che rischiava di bruciarsi e a trarre il massimo dal veterano di origini nigeriane. Iguodala è forse l’unico esterno dei Warriors non troppo pericoloso dall’arco, tira male i liberi e rischia spesso il fallo tattico, eppure la sua esperienza, competitività e soprattutto capacità difensiva lo rendono assolutamente imprescindibile per questi Warriors: e una buona fetta dei miglioramenti nella propria metà campo fatti da Golden State negli ultimi due anni portano senza dubbio la firma di Iggy.

 

RIVELAZIONE

Non è facile trovare una possibile rivelazione in una squadra in gran parte identica alla passata stagione, con ruoli e responsabilità ormai stabili e definite: eppure almeno un elemento con buonissimi margini di miglioramento, e che potrebbe alzare in modo netto il proprio rendimento, è presente nel roster dei Warriors e risponde al nome di Harrison Barnes. Dopo un primo biennio in chiaroscuro, con un buon impatto sulla Lega da rookie e una seconda annata meno positiva per gli spazi più ristretti dovuti all’arrivo di Iguodala, con Kerr l’ex Tar Heel si è ritagliato uno spazio importante come ala in grado di tener botta a rimbalzo e in difesa e di punire poi in attacco con il suo mix di tiro e atletismo (10.1 punti, 5.5 rimbalzi con il 40% da 3). Ma ora, giunto al quarto anno nella Lega e con un contratto in scadenza, Barnes potrebbe ulteriormente elevare il proprio rendimento e le proprie responsabilità: doti e personalità non mancano, e ormai anche l’esperienza inizia a diventare importante, per dare a questi Warriors l’ennesimo terminale offensivo pericoloso del proprio infinito arco.

 

MIGLIOR COMPRIMARIO

Difficile trovare un miglior comprimario in una squadra che, dietro alle due punte di diamante, si basa tantissimo su un collettivo in grado di alternarsi nel ruolo di eroe di giornata: ma, ammesso che di comprimario si possa ancora parlare ormai, difficile anche non tirar fuori Draymond Green da un mucchio comunque molto qualitativo. Ciò che differenzia l’ex Spartan dagli altri “comprimari” (virgolette d’obbligo) è l’ormai imprescindibilità tattica di quello che a inizio carriera sembrava essere una seconda scelta senza capo né coda: Green invece ha lavorato incessantemente sul proprio piazzato da fuori, diventando ormai un tiratore più che affidabile (dal 20% in meno di un tiro da 3 a gara da rookie fino al 33% in quattro tentativi dell’ultima annata), e segnalandosi sempre più come all-around player, in grado di difendere forte, andare a rimbalzo (8.2 la passata stagione, 10.1 nei playoff), tirare o metter palla per terra attaccando il ferro, persino creare per i compagni (oltre 5 assist nell’ultima post season). Non è un caso che il suo minutaggio sia secondo ai soli Splash Brothers, e sia cresciuto considerevolmente nei playoff: Green è ormai la chiave tattica di questa squadra, l’emblema del giocatore polivalente voluto da Kerr per la propria fuoriserie e, in buona sostanza, un elemento cruciale negli equilibri di questi Warriors, la cui semplice riconferma diventa dunque il vero colpo dell’estate di Golden State.

Credits to: www.ocregister.com

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MIGLIOR INNESTO

Com’è giusto che sia dopo la scorsa eccezionale stagionale, la rotazione dei Warriors è rimasta in buona sostanza la stessa, con un solo vero innesto: quello di Jason Thompson. Eppure anche in questo caso la dirigenza pare aver lavorato bene, portandosi a casa un lungo atletico che pare perfetto per il gioco in transizione di Kerr e che aggiunge parecchia difesa al front court, a tratti tallone d’Achille della franchigia californiana nella passata stagione, specie contro squadre più fisiche. L’omonimo di Klay insomma porta in dote una spiccata attitudine difensiva nei pressi del ferro senza per questo rimetterci in termini di dinamismo, come accade con Bogut ad esempio e, in misura minore, con Ezeli: non farà la differenza, ma pare già l’ennesimo tassello importante e perfettamente funzionale al quadro generale di questa squadra.

 

PUNTI DI FORZA

Se vieni da una stagione conclusa con un record totale, tra regular season e playoff, di 83-20 (!!!) è ovvio che qualche punto di forza tendenzialmente dovresti averlo. Come detto in precedenza, i Warriors sono infatti una delle migliori squadre difensive della Lega, con un’ottima organizzazione di squadra che amplifica le doti talvolta non eccelse di alcuni singoli (pur con qualche significativa eccezione). E la difesa è la base per la devastante transizione che ha fatto la fortuna dei Warriors nella passata stagione e che di certo sarà di nuovo il cavallo di battaglia degli uomini di Kerr. Per quanto riguarda i singoli invece, oltre a un settore guardie come detto secondo a pochissimi in NBA (per non dire nessuno), i Warriors possono vantare una delle rotazioni più lunghe e allo stesso tempo qualitative della Lega, con almeno dieci giocatori in grado di dare un contributo più o meno importante: questo permette di mantenere sempre frenetico il ritmo in entrambe le metà campo, anche in una stagione che ancora una volta Golden State si aspetta (e si augura) molto lunga.

 

PUNTI DEBOLI

Al contrario, pare a prima vista difficile trovare grossi difetti in una squadra che ha dominato la scorsa stagione ed è rimasta sostanzialmente invariata; ma ad un esame più approfondito anche l’ottima macchina messa a punto da Kerr presenta, com’è ovvio, qualche punto debole. In primis la scarsa fisicità nei pressi del ferro, che porta i Warriors a soffrire le squadre che riescono a tenere il ritmo basso e ad attaccare con i lunghi: non è un caso che le due avversarie che più hanno messo in difficoltà Curry e soci l’anno scorso nei playoff, Memphis e Cleveland, hanno giocato esattamente in questo modo, dominando in area e sotto i tabelloni. Un ritmo basso inoltre impedisce a Golden State di scatenare la transizione offensiva, e contro la difesa schierata i Warriors faticano molto di più a trovare buoni tiri e ad entrare in ritmo, considerato che non dispongono di elementi realmente pericolosi in area a cui appoggiare il pallone in post e poi eventualmente riaprire sul perimetro.

Inoltre, l’avvio di stagione presenterà un problema squisitamente pratico, e cioè l’assenza iniziale del guru Steve Kerr, sostituito come detto da Luke Walton: l’anno scorso i Warriors partirono a razzo e volarono per tutta la stagione sulle ali dell’entusiasmo, con il figlio di Bill accadrà lo stesso o si troveranno subito a rincorrere?

 

MIGLIOR SCENARIO

Chiaramente, con la stessa squadra reduce dal titolo NBA, il miglior scenario non può che essere il repeat. Golden State continua a giocare a memoria, forte anche di una ben maggiore esperienza nelle partite che contano, Curry e Thompson rimangono sui livelli stratosferici della passata stagione e nessuno riesce realmente ad annichilire la fuoriserie di Kerr: risultato, muro delle 60 vittorie stagionali nuovamente infranto, primo posto a Ovest e quinto Larry O’Brien in bacheca. La ruota è rotta, è iniziata la dinastia degli Splash Brothers.

 

PEGGIOR SCENARIO

L’anno scorso, per quanto i Warriors fossero un’ottima squadra, pochi avrebbero potuto pronosticare una stagione così trionfale; ora, con un anno di scouting alle spalle e attesi al varco, le avversarie riescono a prendere le giuste contromisure al gioco di Golden State, ne attaccano i punti deboli, ne limitano il devastante gioco offensivo, e in definitiva iniziano a minarne le incrollabili certezze, mettendo i californiani in una posizione di difficoltà che la passata stagione, in buona sostanza, non si sono quasi mai trovati ad affrontare. I Warriors, gruppo estremamente coeso e solido nella scorsa annata, perdono un po’ di fiducia e non riescono a ripetere gli straordinari risultati della prima annata dell’era Kerr: vincono comunque più di 50 gare stagionali, ma il titolo della Pacific viene loro soffiato dai Clippers e ottengono il seed numero 4-5 ai playoff (a Ovest è un attimo scivolare anche con un buonissimo record), sciogliendosi già al secondo turno con un’altra corazzata con il fattore campo a favore. La ruota è girata e il Trono è perso, e tocca di nuovo riorganizzarsi nel Continente Occidentale.

 

PREVISIONI

Inutile nascondersi, dopo il titolo vinto Golden State non può che essere tra le più accreditate contender anche di questo 2015/2016. Ma, senza nulla togliere ai meriti dei Warriors, che come i migliori Umanisti si sono senza dubbio fatti faber fortunae suae, la passata stagione pare anche la classica in cui tutto è veramente girato per il verso giusto: mai un momento di flessione in stagione, pochissimi acciacchi e roster quasi sempre al completo o quasi, avversari al contrario spesso incerottati nei momenti più importanti (come i Grizzlies con un Conley a mezzo servizio e i Cavaliers privi di Irving e Love). E’ certamente un’arte anche questa (e quanto ha inciso avere una rotazione che permettesse di non spremere sempre i titolari), ma pare difficile pensare che anche quest’anno non ci siano momenti di difficoltà o situazioni impreviste da affrontare. I titoli, si sa, sono decisi anche dagli episodi, ed è uno dei tanti motivi per cui il repeat, nella storia NBA, è merce rara: ecco perché i Warriors paiono forti e in grado di ripetersi, ma non certo invulnerabili, specie con una concorrenza che pare più agguerrita che mai. L’eventualità più probabile dunque è che la banda di Kerr metta di nuovo in piedi una stagione da incorniciare, ma fermi la propria corsa in Finale di Conference o anche alle Finals, in un’eventuale rivincita coi Cavaliers. Se poi invece riuscissero a fare di nuovo anche quest’ultimo passo, non ci si potrà che inginocchiare di nuovo ai Re Guerrieri: e la famosa ruota giacerà in un angolo in frantumi.

Credits to: www.examiner.com

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