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Utah Jazz Season Preview: Winter Is Coming

Giovani, agguerriti, pieni di talento: i Jazz di Quin Snyder sono pronti a dar battaglia per un posto nei playoff.

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I Jazz sono pronti a tornare in battaglia. Dopo un finale di stagione 2014-2015 esplosivo, le truppe guidate dal generale Snyder vogliono di nuovo mettere a ferro e fuoco l’NBA, sotto l’egida del leader carismatico Hayward, dell’addetto alle operazioni speciali Gobert e del tiratore scelto Hood. I ranghi si compattano, i colpi di fioretto del training camp lasceranno presto spazio al boato assordante delle stoppate ricacciate in tribuna e allo stridore delle scarpe che s’inchiodano sul parquet. L’inverno dello Utah sta arrivando, fatevi trovare pronti.

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MERCATO

IN: Treveon Graham, Trey Lyles, Raulzinho Neto, J.J. O’Brien, Tibor Pleiss, Jeff Withey
OUT: Jeremy Evans

I Jazz hanno sondato il terreno in lungo e in largo, in cerca di operazioni di mercato in grado di dare un boost immediato a quella che rimane una delle squadre più giovani dell’NBA. Poi (saggiamente, con ogni probabilità) Dennis Lindsey (GM dei Jazz) ha deciso di non toccare il nucleo di giocatori che tanto ha fatto bene nel finale della scorsa stagione. Quintetto confermato in toto (con la sola, dolorosa, eccezione di Exum, fermato da un infortunio al crociato) e comprimari richiamati quasi in blocco, con addizioni marginali. Sono solo tre i giocatori acquisiti in grado di dare un contributo immediato alla squadra: Trey Lyles (scelto al draft), Tibor Pleiss e Raul Neto. Lyles è un’ala con buon fisico e ampi margini di miglioramento, Pleiss potrebbe diventare il backup di Gobert (di cui ha l’altezza, ma non l’atletismo) e Neto verrà probabilmente gettato nella mischia da subito come cambio di Trey Burke. Utah può permettersi, ancora per questa stagione, il sostanziale immobilismo dimostrato nella free agency estiva. I giovani devono maturare e le quasi-stelle (ugualmente giovani) dimostrare di poter essere dei giocatori top-class. Il reparto lunghi, dietro Favors e Gobert, rimane un po’ sguarnito; i sostituti dell’infortunato Exum, invece, avranno molto da dimostrare. Ultimo anno di attendismo: dal prossimo i Jazz, per perseguire il definitivo salto di qualità, dovranno fare la voce grossa anche sul mercato.

QUINTETTO BASE

court

SALARI SQUADRA

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COACH: Quin Snyder

Esperto senza essere anziano, duro senza essere rigido. Parliamo di Quin Snyder, coach degli Utah Jazz dalla scorsa stagione. Snyder ha fatto, sin qui, un lavoro encomiabile nel motivare i propri giocatori. I risultati si sono visti quasi immediatamente: i Jazz sono diventati in pochi mesi una delle migliori difese NBA (la prima in assoluto per defensive rating dopo la pausa per l’All Star Break) e sono passati dall’essere pericolosamente vicini all’etichetta di “accozzaglia di giocatori” al mettere in campo una grinta e un fuoco sacro collettivo tutti nuovi. Il merito va attribuito in buona parte a Snyder (e alla dirigenza, che ha riconosciuto il potenziale del pilastro difensivo Gobert). Il coach ha fatto tesoro delle proprie svariate esperienze da assistente e ha mostrato sangue freddo, lucidità analitica e buone capacità nella gestione dei giocatori. Per lui il difficile viene adesso: confermarsi al secondo anno, dopo un esordio da santone, non è mai facile.

GIOCATORE CHIAVE IN ATTACCO: Gordon Hayward

Hayward sta studiando da uomo franchigia. Il 25enne ex-Butler è ormai diventato il miglior giocatore e il leader degli Utah Jazz, in particolar modo nella metà campo offensiva. Hayward è un vero all-around: può giocare da point-forward, ha visione di gioco e atletismo superiori alla media, tira bene da 3 punti (vicino al 37% in carriera), prende rimbalzi (4.9 di media lo scorso anno) e smazza assist (4.1 di media, sempre nella scorsa stagione) con grande continuità. Nella regular season 2014-2015 la guardia/ala ha trovato continuità ad alto livello e una convinzione nei propri mezzi mai sperimentata in precedenza. Hayward, se dovesse procedere spedito nel proprio processo di consolidamento tecnico-caratteriale (e noi ci sentiamo di scommettere su di lui), avrebbe la chance concreta (in contumacia Exum) di appropriarsi ancora più stabilmente delle chiavi dell’attacco dei Jazz; il giocatore ha pure un’altra occasione, più difficile da concretizzarsi ma non del tutto improbabile: la possibilità di giocarsi (probabilmente con il blasonato Kawhi Leonard, dando per quasi-scontata la partecipazione dell’ancor più blasonato Durant) la chiamata all’All Star Game. Il traguardo da consegnare alla squadra, invece, dev’essere il ritorno ai playoff. Hayward è il leader giusto per questi Jazz: giovane, versatile, affamato e pronto a decollare verso la stratosfera.

GIOCATORE CHIAVE IN DIFESA: Rudy Gobert

Rudy è diventato, inaspettatamente, uno dei giocatori di culto della scorsa stagione. Se i Jazz possono essere definiti (per il mix di stazza, gioventù e attitudini difensive; nonché per il percettibile senso di coolness hipster che li ha investiti) i “Bucks dell’Ovest” (o viceversa, come preferite), Gobert è sicuramente l’Antetokounmpo di Utah, non solo per il corpo da freak e per la provenienza europea. Rudy e Giannis sono, per il momento solo da un punto di vista fisico e istintuale, i prototipi viventi del giocatore di basket del 2050. Chilometrici, iperatletici, rapidi nonostante la stazza, verticali e orizzontali allo stesso tempo. I Jazz, liberandosi del cavallo pazzo Enes Kanter e promuovendo la pertica francese in quintetto, hanno con ogni probabilità fatto la mossa tattica dell’anno. Gobert è il classico giocatore in grado di ancorare la difesa di una squadra quasi da solo (un Mutombo più esile e scattante, o un Olajuwon senza Dream Shake e privo di bagaglio tecnico da ballerino della Scala). La sua verticalità, unita al clamoroso wingspan di 7’9” (più di 235cm), rendono il pitturato sostanzialmente impenetrabile per qualsivoglia penetratore, anche per i maestri dello slashing sotto canestro. Gobert, come ha dimostrato anche nel recente (e incompiuto) Europeo Francese, è in grado di appropriarsi di palloni non suoi in quasi ogni azione difensiva, sfruttando un eccellente timing innato, una coordinazione sorprendente e la sopracitata, e soprannaturale, lunghezza delle braccia. Le fortune difensive dei Jazz partiranno, anche in questa stagione, dal 23enne francese. Con un’intera regular season giocata nello starting five, il primo/secondo quintetto difensivo non è cosa impossibile; soprattutto considerando la coolness costantemente in crescita del freak transalpino.

POSSIBILE RIVELAZIONE: Rodney Hood

Qual è stato il miglior rookie dell’edizione 2014-2015 degli Utah Jazz? L’incostante e talentuosissimo Dante Exum? Il misconosciuto e sorprendente Joe Ingles? La terza opzione, quella che porta a Rodney Hood, forse è la più convincente. Hood si è approcciato alla stagione da rookie già “maturo” (22 anni già compiuti a inizio regular season), etichettato cioè come giocatore in grado di fornire un sostanzioso contributo fin da subito. Così purtroppo non è stato, principalmente a causa degli infortuni. Hood è rimasto lontano dal campo per buona parte della prima metà della regular season (solo 50 le partite complessive disputate), debilitato da una fascite plantare particolarmente invasiva. Il suo ritorno è coinciso, sostanzialmente, con lo “scambio Kanter” e con l’esplosione di fine annata dei Jazz, improvvisamente più definiti gerarchicamente e più consapevoli delle proprie possibilità (e con un Gobert titolare in più nel motore). Hood ha avuto un ruolo non trascurabile nella trasformazione di Utah: il giocatore si è inserito rapidamente in rotazione, andando a occupare il ruolo di “specialista da 3 punti” vacante ormai da qualche anno in quel di Salt Lake City. Ma Rodney Hood ha dimostrato di non essere solo questo: l’altezza e la lunghezza delle braccia ne fanno un difensore con grandi margini di miglioramento; l’atletismo e gli istinti sono buoni, meglio di quanto ci si aspettava in origine, la work-ethic addirittura eccellente. Le statistiche parlano per lui: 16.7 punti, 3.4 rimbalzi e 3.4 assist di media con il 45% dal campo nel mese di aprile, mese in cui è stato eletto miglior rookie della Western Conference. Hood può giocarsi le sue chances per diventare la guardia titolare a lungo termine dei Jazz; Alec Burks è rimasto fuori per tutta la parte conclusiva della scorsa regular season a causa di un infortunio alla spalla, dopo un inizio stagione da titolare. Burks e Hood sono giocatori non troppo dissimili per profilo tecnico e per età, con il primo però più orientato verso le iniziative personali e il gioco in penetrazione e il secondo che garantisce un maggior contributo “dietro le quinte”. L’impressione è che i Jazz troverebbero maggiore equilibrio con la conferma di Hood come starter e con Burks convertito a un ruolo da sesto uomo con specifici compiti offensivi (ruolo che sarebbe teoricamente toccato a Trey Burke, che verrà invece spostato in quintetto per sostituire Dante Exum). Hood, comunque vada, ha tutto per imporsi come una delle migliori “late first round picks” (23esima al Draft 2014) degli ultimi anni. Il futuro è dalla sua parte; e dalla parte dei Jazz.

MIGLIOR COMPRIMARIO: Trey Burke

Con il promettente Exum fuori, proviamo a scommettere sul giocatore che in condizioni normali gli avrebbe conteso minuti importanti nello spot di 1 e che invece diventerà, per forza di cose, la prima scelta di coach Snyder nel ruolo. Burke, dopo aver disputato una stagione da rookie sopra le aspettative (32.4 minuti, 12.8 punti, 3.0 rimbalzi, 5.7 assist, 0.6 rubate di media), ha vissuto il dualismo con Exum in maniera ondivaga. Il rendimento statistico del play ex-Michigan è rimasto sostanzialmente invariato (30.1 minuti, 12.8 punti, 2.7 rimbalzi, 4.3 assist, 0.9 rubate di media), ma il suo approccio alle partite, anche per via del nuovo ruolo attribuitogli da coach Snyder (specialista offensivo dalla panchina da metà stagione in poi), è parso più scostante. Burke è un giocatore dicotomico e contraddittorio: ha spiccate attitudini offensive (sostanzialmente da guardia), ma manca di atletismo e di stazza d’elite; è ondivago al tiro, ma si prende tantissime iniziative personali; ha attitudini da leader, ma non può essere una pietra angolare in NBA, per i difetti sopracitati. Detto delle sue mancanze, sarebbe ingiusto non evidenziarne i pregi: grande carattere, sorprendente forza mentale, buona capacità di playmaking a difesa schierata, predisposizione all’attacco in modalità “microonde”. Per questi e altri motivi, Burke ha deciso di andare incontro alle richieste di coach Snyder, sacrificandosi in nome della squadra (che in effetti ha reso meglio con Exum in quintetto base) e provando a colmare le proprie congenite carenze difensive. Burke deve ancora compiere 23 anni e, pur se gli manca il clamoroso upside di Exum, ha sicuri margini di miglioramento. La chance di giocare un’intera stagione da titolare (con maggiore consapevolezza rispetto a quella da rookie) è ghiotta; uno come Burke è senza dubbio in grado di coglierla e di prendersi una rivincita su quelli che lo vedono, in prospettiva, come niente più che un onesto giocatore da rotazione/cambio playmaker. Le voci che lo volevano lontano da Salt Lake City all’inizio della free agency sono lontane: ora tocca a lui, tocca a Trey Burke.

MIGLIOR INNESTO: Trey Lyles

I Jazz sono rimasti quasi immobili sul mercato, evitando di snaturare un roster che ha dimostrato di poter competere ad alti livelli e di avere ampi margini di crescita. L’unico innesto di spessore è stato quello di Trey Lyles, 12esima scelta allo scorso draft, ala che può giocare sia da 3 che da 4 (ruolo che, per questioni di mole, probabilmente finirà per occupare con maggior frequenza in NBA). Lyles ha stazza (208cm per 109kg), range (soprattutto in prospettiva) e istinti offensivi. I difetti principali del giocatore, visibili anche nella Summer League di Las Vegas, risiedono nell’atletismo limitato, nelle scelte offensive talvolta affrettate e nell’attitudine difensiva scostante. Lyles è lungi dall’essere un prodotto finito e dovrà lavorare sulla tenuta fisica, sulla selezione dei tiri e sull’approccio mentale alle partite. Se dovesse esplodere prematuramente, i Jazz si troverebbero per le mani un giocatore in grado, già da questa stagione, di dare un contributo significativo. In caso contrario, l’ala diciannovenne potrebbe attraversare un periodo di transizione anche lungo; i Jazz possono concedergli una stagione di rodaggio, anche se cominciano ad aver fretta di crescere.

PUNTI DI FORZA

I Jazz (tolto il caso-Burke) hanno stazza da vendere in tutte le posizioni. Hood e Hayward sono vicini ai 2.05m, Favors è 2.10 e Gobert è più simile a una giraffa che a un essere umano. La bassa età media del roster significa invece atletismo ed esplosività di alto profilo, nonché entusiasmo e grande voglia di vincere. Il risultato di tutti questi fattori, come si è visto nella parte finale della scorsa regular season, è la possibilità di esprimere un gioco difensivo da squadra top-class. Altro punto di forza dei Jazz sta nell’eccellente costruzione del roster: il general manager Dennis Lindsey ha svolto un lavoro egregio sia sul mercato (vedi scambio-Kanter) sia nella scelta dei prospetti da draftare. L’amalgama tra i vari giocatori è nel novero dei migliori dell’intera NBA; i Jazz, a meno di scambi scellerati o di improvvisi passaggi a vuoto dettati dalla sfortuna, hanno la possibilità concreta di trovarsi al vertice della Lega nel giro di due-tre anni.

PUNTI DI DEBOLEZZA

La bassa età media della squadra potrebbe avere un’incidenza negativa nei momenti caldi della stagione. I Jazz non sono abituati a giocare partite decisive e hanno un’esperienza in post-season sostanzialmente pari a zero. Dovessero raggiungere i playoff, i giocatori di Utah potrebbero trovarsi a subire la pressione più del necessario. Ai Jazz manca anche, con ogni probabilità, un vero primo violino, una star indiscutibile in grado di trascinare la squadra con il giusto mix di classe ed esperienza. Hayward è sicuramente troppo giovane e probabilmente troppo “ibrido” per rispondere adeguatamente al profilo. Favors è “solo” un giocatore di livello medio-alto, mentre i restanti componenti del roster sono specialisti offensivi o difensivi. La mancanza di Exum, invece, potrebbe creare problemi significativi nella rotazione degli esterni di coach Snyder. Il probabile backup di Burke sarà Raul Neto, tutto da testare in un’ottica NBA; il dualismo Hood-Burks, invece, potrebbe diventare difficile da gestire nel medio-lungo periodo. Le riserve dei Jazz, infine, sembrano ancora lontane dal poter garantire un apporto paragonabile a quello del quintetto titolare. Pure i cambi dei lunghi – Trevor Booker e Tibor Pleiss – non convincono appieno (Lyles è stato draftato anche in quest’ottica).

MIGLIOR SCENARIO

Stagione conclusa non lontano dalle 50 vittorie (con un ipotetico saldo di +10-12 sulla precedente); Hayward va all’All Star Game, Gobert entra nel miglior quintetto difensivo, i comprimari giocano al massimo, Exum torna nel finale di stagione e fa subito scintille. Ingresso ai playoff con il sesto-settimo record a Ovest e upset al primo turno ai danni di una contender.

PEGGIOR SCENARIO

Gobert non si conferma ad alti livelli; Hayward e Favors, attesi alla stagione della consacrazione, si rivelano degli incompiuti. Gli esterni deludono e coach Snyder è costretto a ruotare le guardie all’impazzata in cerca di un assetto stabile. La stagione termina con 35-40 vittorie, i Jazz arrivano lontani dai playoff e chiudono l’annata in piena confusione tecnica.

PREVISIONI REALISTICHE

Il gruppo continua a crescere e a consolidarsi. Le gerarchie interne si definiscono, con Hayward che funge da leader e da guida carismatica. Il reparto esterni si amalgama senza grossi intoppi e riesce a compensare la mancanza di Exum; Favors e Gobert s’impongono come coppia di lunghi under-25 migliore dell’NBA. Il bilancio di fine stagione è positivo, con un miglioramento di 5-6 vittorie rispetto al 2014-2015. I Jazz entrano ai playoff con l’ultimo record a Ovest.

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