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Mark Cuban vorrebbe dei playoff a 20 squadre

Mark Cuban, vulcanico proprietario dei Dallas Mavericks, non si è mai fatto problemi nell’esprimere le sue opinioni, per quanto controverse esse fossero. L’ultima proposta di Cuban, che farà sicuramente discutere, riguarda l’ampliamento del numero di team ammessi ai playoff; secondo il numero uno dei Mavs, infatti, l’NBA dovrebbe allargare il novero delle squadre partecipanti, passando da 16 a 20.

Lo squilibrio nelle Conference, la densità del calendario e le lamentele di proprietari e giocatori hanno, già da qualche stagione, posto il problema della gestione della schedule NBA. Da tempo i commissioner (prima David Stern e ora Adam Silver) si interrogano, in particolare, riguardo il bilanciamento strutturale dell’attuale sistema-postseason. Le soluzioni proposte, per rendere più equilibrato lo svolgimento della parte più seguita della stagione NBA, sono state molteplici, ma nessuna sin qui ha trovato il pieno e unanime favore di dirigenti, pubblico e giocatori.

Cuban è intervenuto nel dibattito, mettendo sul piatto un’ipotesi di difficile applicazione ma che riporta nuovamente – e decisamente – in auge il problema. Il passaggio da 16 a 20 squadre qualificate ai playoff, secondo il proprietario dei Mavs, apporterebbe diversi benefici sia alla competizione della stagione regolare sia a quella della postseason. In particolare – sempre a suo parere -: si ridurrebbe il rischio di vedere squadre di alto profilo escluse dai playoff (si pensi ai Thunder, rimasti fuori con 45-37 di record proprio quest’anno); l’attitudine al tanking diventerebbe meno proficua; la stagione regolare sarebbe più vibrante e tesa fino in fondo.

Cuban ha chiesto agli altri proprietari NBA cosa pensassero di queste modifiche; quella che era partita quasi come una provocazione, come sempre accade quando si parla del numero uno dei Mavs, è presto arrivata alle orecchie dei principali analisti NBA e alle alte sfere dirigenziali della Lega.

Il modello proposto da Cuban, come già accennato, sarebbe complicatissimo da applicare, per varie ragioni. In primis, l’ulteriore compressione e intensificazione di un calendario già di per sé ai limiti della gestibilità: 20 squadre ai playoff comporterebbero un aggiustamento nel sistema dei turni, con l’obbligato inserimento di una fase preliminare riservata ai team con il seeding più basso. Con i giocatori sempre più usurati da una schedule spietata (che ormai copre tutti i dodici mesi dell’anno) e che chiedono un accorciamento della regular season, la praticabilità dell’idea di Cuban pare, già in partenza, drammaticamente compromessa. Come se non bastasse, se è vero che l’ingresso ai playoff di due team in più porterebbe due squadre probabilmente molto competitive a disputare la postseason dell’Ovest, lo stesso non si può dire della parte est del tabellone. Nell’ultima postseason a Est si sono qualificati, rispettivamente con il settimo e l’ottavo record, i Boston Celtics e i Brooklyn Nets (40-42 e 38-44). Seguendo il modello di Cuban si sarebbero dovuti aggiungere al tabellone gli Indiana Pacers e i Miami Heat (38-44 e 37-45), squadre che nella stagione scorsa (come i Celtics e i Nets) si sono dimostrate tutto fuorché competitive.

Qualcuno ha notato una vena di interesse individuale nel discorso intrapreso da Cuban. I suoi Mavs, infatti, si sono visti scivolare (clamorosamente) dalle mani l’obiettivo principale della propria free agency – DeAndre Jordan -. Al momento Dallas sembra attrezzata, al massimo, per inseguire uno degli ultimi piazzamenti ai playoff a Ovest; con un tabellone ampliato, in effetti, le possibilità dei Mavs di qualificarsi per la postseason andrebbero ad aumentare sensibilmente.

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Interessi personali o meno, Cuban ha, se non altro, il merito di aver posto il problema in modo chiaro. Di tale problema, come già detto, si è a conoscenza da tempo, ma una soluzione soddisfacente sembra ancora lontana. Le ultime dichiariazioni di Adam Silver – che sembra ormai definitivamente intenzionato ad abolire i vantaggi riservati ai vincitori delle Division – vanno nella direzione giusta, ma il lavoro da fare, per accontentare tutti gli stakeholders coinvolti, è lungi dall’essere terminato.

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