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Hall of Famer

The best that never was, Len Bias

Come tutti sanno, lo scorso 26 Giugno è andato in scena a Brooklyn, New York, il Draft 2014. In quella serata, è ufficialmente iniziata l’avventura NBA per Andrew Wiggins, Jabari Parker, Joel Embiid e le altre prossime matricole della Lega. La magica atmosfera di questo momento, crocevia imprescindibile prima di avventurarsi nel basket pro a stelle e strisce, è ammantata da quel miscuglio positivo di speranze, sogni e promesse da mantenere. Certo, le carriere prenderanno verosimilmente strade diverse: chi, magari, diventerà un Hall of Famer, chi invece avrà una solida ed onesta carriera NBA, chi, suo malgrado, non riuscirà a soddisfare le attese della vigilia. Comune a tutti i giovani prospetti, comunque, è associare il Draft all’inizio del sogno, sperando di poter riuscire ad assicurarsi glorie e trofei. In un caso, tuttavia, la serata in green room si dimostrò essere il punto iniziale di un vero e proprio incubo. Una storia che ha fatto epoca, segnato diversi destini e diventando un punto di non ritorno dal quale la Lega stessa riuscì a trarne giovamento, facendo tesoro del triste insegnamento e migliorando un’evidente situazione di precarietà. Stiamo parlando della tragica fine di Len Bias, scelto alla posizione numero due del Draft 1986 ma trovato morto poche ore più tardi.

Leonard Kevin Bias, per tutti Len, nacque il 18 Novembre 1963 a Landover, nello stato del Maryland. Dopo aver frequentato la Northwestern High School nella vicina Hyattsville, il giovane Len era diventato a tutti gli effetti un prospetto seguito con attenzione dalle Università del paese. Il talento era tutto lì da vedere, distribuito su di un fisico molto atletico e scattante, 95 KG per 203 centimetri di altezza dotati di un’elevazione straordinaria, che gli permetteva di sfiorare l’anello con la testa. Considerato uno dei migliori liceali in circolazione, decise di non lasciare lo stato natio. La sua scelta per il college ricadde su University of Maryland, dove sarebbe toccato a coach Lefty Driesell sgrezzare un diamante che sembrava promettere davvero bene.

Il quadriennio coi Terrapins, iniziato nella stagione 1982-83, fu un vero e proprio crescendo rossiniano. Dopo una prevedibile annata di apprendistato, Bias mostrò a tutti le proprie immense qualità. Non solo sembrava restare sospeso per aria ed affondare violentemente la sfera dentro il canestro, Len era stato dotato da Madre Natura anche di un efficace tiro in sospensione, che lo rendeva una vera e propria minaccia una volta sorpassata la linea di metà campo. La graduale ma inesorabile crescita lo portò a fare incetta di premi e riconoscimenti. Venne votato per due volte (’85 e ’86) ACC Player of the Year, una volta come ACC Athlete of the Year e fu anche, sempre in quel 1986, Consensus First Team All-American. Il paragone già in circolazione all’epoca non era certo dei più facili. Da più parti Bias era indicato come un Michael Jordan più grosso e con un miglior tiro. Dotato della stessa esplosività, una vera gioia per gli occhi il mero fatto di vederlo giocare, Len era molto fiducioso in vista del Draft 1986, dopo la stagione da senior terminata con le ottime medie di 23 punti e 7 rimbalzi. Il futuro sembrava decisamente arridergli.

I Boston Celtics stavano vivendo un momento d’oro. Dopo essersi aggiudicati l’anello nel 1981 e nel 1984, pochi mesi prima della scelta dei nuovi rookie erano riusciti ad assicurarsi il sedicesimo titolo, sconfiggendo gli Houston Rockets nelle NBA Finals, dopo anni di battaglie all’ultimo sangue contro i Los Angeles Lakers. Erano i Celtics degli Original Big Three, con Larry Bird a fungere da centro gravitazionale e Kevin McHale e Robert Parish a fare a sportellate sotto canestro. Eppure, con l’ennesima magata dell’intramontabile Red Auerbach, Boston era riuscita ad ottenere la seconda chiamata assoluta al Draft. La solita fortuna degli irlandesi, soprattutto del Massachusetts, in grado così di poter scegliere un giovane di grande potenziale per continuare la Dinastia bianco-verde per altri anni ancora. Tutto lo staff dei Celtics aveva deciso chi selezionare, il nome da far pronunciare al Commissioner era chiaro in seno all’organizzazione intera.

With the second pick in the 1986 NBA Draft, the Boston Celtics select…Len Bias, from University of Maryland. Subito dopo Brad Daugherty, scelto dai Cleveland Cavaliers, i bianco-verdi avevano deciso di puntare tutto su Len, pronto forse sin da subito a dare minuti di qualità nello spot di ala. Lo stesso Larry Legend si era detto molto soddisfatto dell’arrivo di Bias che avrebbe potuto allungargli la carriera di altri preziosi anni. Addirittura Bird aveva programmato anche di partecipare a vari scrimmage estivi per sintonizzarsi sin da subito sulla stessa lunghezza d’onda del giovane compagno. Len era contentissimo, stava per realizzarsi il suo sogno ed avrebbe addirittura indossato la casacca più gloriosa dell’intera Lega. Aveva il mondo in pugno ed un futuro radioso avanti a sé. Nessuno si poteva immaginare quel che sarebbe successo nel giro di appena 24 ore.

Quel che accadde davvero in quella notte è ancor oggi oggetto di discussione. Dopo un breve volo a Boston per incontrare i media ed una visita agli uffici della Reebok, Bias e suo padre fecero ritorno nella Capitale verso le dieci di sera. La notte, come si suol dire, era ancora giovane, così Len uscì di casa per andare a festeggiare nel suo vecchio alloggio nel campus di Maryland. Lì, ad aspettarlo, gli amici di sempre, tra cui Brian Tribble, Terry Long e David Gregg, che avrebbero avuto, loro malgrado, un ruolo centrale nella triste vicenda.

Dopo aver parlato per ore delle prospettive future, delle proprie possibilità in quel di Boston e di altri aspetti sportivi, Bias decise di lasciare momentaneamente il campus per una mezz’oretta circa. Al suo ritorno, stando ai racconti dei testimoni, la combriccola decise di alzare ulteriormente l’asticella dei festeggiamenti. Per tre ore circa, infatti, fecero uso di cocaina, senza mai fermarsi. Alle 6 del mattino, mentre parlava con Long, Len, improvvisamente, ebbe delle convulsioni e collassò. I compagni fecero di tutto per rianimarlo, chiamando contestualmente il 911 ed avvisando i familiari del ragazzo. I medici del pronto soccorso fecero di tutto per salvargli la vita, ma non c’era più niente da fare. Il cuore di Len Bias aveva smesso di battere, ad appena 22 anni di età. Erano le 8:55 del 19 Giugno 1986.

Ci volle poco a capire che era stata un’overdose a portarselo via. La notizia si diffuse nel giro di un attimo. Gli amici erano distrutti, lo stesso entourage di Boston rimase attonito alla notizia. Bird dichiarò che si trattava di una delle cose più crudeli che avesse mai sentito. Il fratellino di Len, Jay Bias, era inconsolabile, nemmeno la grande compostezza della madre, Lonise, riuscì a porre un freno alle innumerevoli lacrime. Celebrato il funerale, con i Celtics che donarono la maglia col numero 30, purtroppo inutilizzata, alla famiglia, era arrivato il tempo di avere risposte e trovare i colpevoli.

 

La prematura scomparsa di Len Bias avvenne in una particolare congiuntura sociale che stava imperversando, al tempo, negli Stati Uniti. L’amministrazione Reagan, infatti, si era dimostrata particolarmente sensibile verso i problemi legati all’abuso di droga, cercando di inasprire la cosiddetta War on Drugs. L’America era già stata scossa da alcune “morti eccellenti” dovute ad overdose da sostanze illegali, non ultima quella del popolarissimo attore John Belushi. Anche la NBA era attanagliata, già da un decennio, da questa vera e propria piaga sociale. Diverse star erano state costrette ad abbandonare il proscenio o a vedere ridursi drasticamente le proprie prestazioni a causa dell’abuso di stupefacenti. Gente come Sugar Ray Richardson, John Drew, Lewis Lloyd e Mitchell Wiggins, il padre dell’ultima prima scelta dei Cavs, avevano subito il pugno duro voluto dal nuovo Commissioner, David Stern, risoluto, come indicherebbe lo stesso cognome, a porre un freno una volta per tutte al problema-droga. Il Draft 1986, in tal senso, non ebbe particolare fortuna. Oltre a Len, infatti, anche le carriere di Chris Washburn, Roy Tarpley e William Bedford non riuscirono mai a decollare, pizzicati a ripetizione ai controlli e costretti all’esilio senza troppi rimorsi.

 

Nel processo che ne seguì, vennero alla luce dettagli poco edificanti. L’intero programma cestistico di Maryland subì un brusco colpo, col licenziamento di coach Driesell e dell’athletic director, colpevoli di aver cercato di coprire l’assunzione di cocaina da parte di Len. Anche per i suoi compagni le cose non andarono meglio. Tribble fu messo alla gogna, in quanto colui che materialmente aveva fornito la droga a Bias. Dopo diversi anni di beghe giudiziarie, venne condannato a 10 anni di carcere.

Nel suo piccolo, la famiglia Bias dovette sopportare un’altra, immensa perdita. Il 4 Dicembre 1990, infatti, Jay, il fratellino di Len, si trovata in un parcheggio di Hyattsville. Una discussione animata, probabilmente con una donna come oggetto del contendere ed ecco inevitabili le pistole. Due colpi lo raggiunsero alla schiena. A soli 20 anni andava a raggiungere Len, freddato mentre si trovava nella propria macchina.

 

Il più grande lascito di Bias è stato sicuramente nella lotta alla droga. Proprio dopo la morte del prodotto di Maryland, Reagan varò la Anti-Drug Abuse Act, indurendo la posizione del Governo statunitense nei confronti di questa tematica e triplicando gli sforzi ed i fondi destinati alle agenzie impegnate nella lotta contro le sostanze illegali. Nella NBA, come abbiamo già visto, la tragedia di Len fu lo spartiacque decisivo nel repulisti generale voluto da Stern. Nel giro di nemmeno un decennio, infatti, il Commissioner allontanò i vari “soggetti indesiderati” e, per un bel pezzo e con molta meno frequenza rispetto a prima, la Lega non ha avuto a che fare con giocatori dipendenti da qualsivoglia tipo di stupefacente.

I Celtics, in quell’ormai lontano giorno di Giugno, subirono un colpo non di poco conto. La “maledizione di Bias” sembrò abbattersi sulla franchigia più vincente del basket a stelle e strisce. Pochi anni più tardi, infatti, scomparve tragicamente la nuova stella Reggie Lewis, andato via troppo presto a causa di un cuore mal funzionante. I reduci della Dinastia degli anni Ottanta furono costretti, gradualmente, al ritiro, contestualmente mandando Boston in una spirale che sembrava non avere fine. Ad inizio millennio, la maledizione sembrò bussare nuovamente alla porta, quando Paul Pierce venne accoltellato ripetutamente in un locale. Si salvò per miracolo, merito del giubbotto di pelle e dei fratelli Battie. Non è un caso se proprio Double P, sopravvissuto al destino, sia stato l’artefice del titolo del 2008 che, per gli scherzi del fato, mancava ai bianco-verdi proprio da quel disgraziato Draft ’86.

Il rammarico per non aver potuto ammirare Len Bias su di un campo da basket è sempre stato vivo nelle menti degli appassionati. Chissà, magari avrebbe davvero duellato con MJ a suon di schiacciate e punti, in una rivalità che avrebbe certamente infuocato la Lega nei primi anni’90. Forse sarebbe stato il faro dei Celtics, magari coi pezzi giusti li avrebbe potuti portare al titolo, guadagnandosi un posto negli annali e, volando sempre di fantasia, nella Hall of Fame. La verità, purtroppo, è un’altra. Bias non ha mai calcato un parquet NBA, non ha mai segnato un singolo punto in carriera, né troveremo il suo nome negli almanacchi e nelle statistiche. Eppure, la sfortunata vicenda di Len è diventata un vero e proprio simbolo. Un monito pesante, per non sprecare mai e poi mai, per nessun motivo al mondo, il proprio talento e, soprattutto, la propria stessa vita. Suo malgrado, e pagando un prezzo carissimo, il ragazzo del Maryland è diventato un esempio per tanti altri giovani che si sono affacciati alla ribalta nella Lega negli anni seguenti.

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