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Hall of Famer

L’uomo che sconfisse i Celtics

1957, 1959, 1960, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1966. Il binomio Auerbach-Russell aveva fatto dei Boston Celtics una corazzata che navigava nella NBA apparentemente senza possibilità alcuna di essere affondata. Solo dopo il ritiro di Red, con Bill nella doppia veste di allenatore-giocatore, i biancoverdi avrebbero subito una battuta d’arresto contro l’eterno Wilt Chamberlain nel ’67, riprendendo per altro la via della vittoria nei successivi 2 anni. Undici furono i titoli conquistati dalla franchigia del Massachusetts, a cui ne sarebbero seguiti altri 6 nelle decadi successive. Eppure, come abbiamo notato dalla cronistoria iniziale, col sigaro di Auerbach in panchina ed il numero 6 sul parquet, rimane un “buco” di un anno, il 1958. In quella stagione, ormai così lontana, un uomo fu capace di intrufolarsi all’interno della più grande dinastia della pallacanestro professionistica americana. Quell’uomo, che oggi compie 81 anni, si chiama Bob Pettit.

La storia di una delle più grandi power forward di tutti i tempi ripercorre, almeno all’inizio, i canoni classici del giocatore che emerge dopo tante difficoltà e contro l’opinione di tutti. Nato il 12 Dicembre 1932 a Baton Rouge, capitale della Louisiana, il giovane Robert subì l’onta di venire tagliato dalla squadra liceale non una, bensì due volte. Solo grazie agli incoraggiamenti del padre, che lo spronò a migliorarsi giorno dopo giorno, Pettit acquisì consapevolezza nei propri mezzi, arrivando a condurre la propria High School sino alle finali statali. Proprio come nelle pellicole hollywoodiane. Le prestazioni del ragazzo non passarono inosservate, garantendogli una borsa di studio presso la vicina Louisiana State University. Punto dopo punto, rimbalzo dopo rimbalzo, Bob continuò a farsi notare, conquistando diversi riconoscimenti a livello collegiale. La strada verso lo step successivo era stata spianata.

Al Draft NBA 1954 Pettit venne scelto con la seconda chiamata assoluta dopo Frank Selvy. La sua nuova squadra sarebbero stati i Milwaukee Hawks, guidati da Red Holzman, nome certamente familiare a tifosi Knicks di una certa età e periodo. Nonostante l’ottimo triennio a LSU, continuavano a serpeggiare tra gli addetti ai lavori molti dubbi sulla consistenza fisica di Bob, considerato dai più come troppo gracilino vista la Lega e, soprattutto, il ruolo. Mai previsione fu meno azzeccata.

20,4 punti e 13,8 rimbalzi: questo il fatturato, al termine della prima stagione, di quello troppo magro per giocare power forward. Ovvio fu il trofeo di Rookie of the Year così come la convocazione per l’All Star Game. Vi avrebbe preso parte in ogni stagione da professionista. Milwaukee finì con un pessimo record di 26-46, ma in tanti avevano intuito la gemma che la franchigia si era trovata tra le mani.

Nella stagione successiva gli Hawks si trasferirono a St.Louis e, quasi per magia, incominciarono a crescere come squadra. Pettit, al secondo anno, fece meglio del primo. Vinse il titolo di capocannoniere, quello di MVP dell’All star game ed un altro trofeo che venne istituito proprio in quella stagione, l’MVP della Lega. La squadra, nonostante un record negativo in regular season, arrivò sino alle Western Division Finals, perdendo solo alla “bella” contro i Fort Wayne Pistons. Non vi erano più dubbi su Bob, né sull’avvenire degli Hawks.

La notte del Draft 1956 fu quella che cambiò i destini non solo di due squadre ed un paio di giocatori, ma della NBA stessa. St.Louis aveva la seconda chiamata assoluta, un colpo di fortuna che avrebbe contribuito all’ulteriore crescita della franchigia. Così si decise di chiamare uno smilzo lungagnone, che aveva dominato nel suo college, San Francisco, situato nella lontana Pacific Coast. Bill Russell, lo smilzo di cui sopra, venne così selezionato dagli Hawks, disposti anche ad aspettarlo dopo la parentesi olimpica. Tuttavia, fu questo il momento in cui entrò in scena la proverbiale sagacia di Red Auerbach. Con una complessa e laboriosa trattativa, i Boston Celtics riuscirono a mandare a St.Louis due pedine fondamentali quali Macauley ed Hagan in cambio proprio di Bill. Non proprio la trade del secolo. Niente sarebbe stato più come prima.

L’ironia del destino avrebbe bussato più volte alla porta negli anni a venire. La squadra, ad ogni modo, si era rafforzata lo stesso. Tuttavia, la regular season fu un calvario, con l’avvicendamento di ben tre allenatori sulla panca, con, per ultimo, un nome che abbiamo già sentito pronunciare quando abbiamo raccontato delle prodezze di Chamberlain, Alex Hannum. Con un sergente di ferro in panca, nonostante un record ancora una volta negativo, St.Louis spiccò il volo sino ad arrivare, da vera underdog, alle NBA Finals. Ad attenderli, proprio Russell ed i Celtics. Sarebbe stata una delle più emozionanti di sempre. Gli Hawks sorpresero in più occasioni i ben più quotati avversari, lottarono e combatterono su ogni pallone, con Pettit a dare il grande esempio. La serie arrivò sino a gara-7, dove a prevalere, per 125-123 dopo due supplementari, fu Boston. Una partita da leggenda che avrebbe segnato l’inizio di una leggenda. Bob aveva sbagliato il tiro del potenziale pareggio, ma aveva raggiunto l’inevitabile consacrazione su di un palcoscenico così prestigioso.

Arriviamo così all’anno di grazia 1958. Pettit si era allenato ancora più duramente del solito, motivato dalla voglia di vendetta dopo aver visto sfumare il titolo solo in un finale-thrilling. Tutta St.Louis era desiderosa di rivincita, rovesciando la propria rabbia agonistica sui malcapitati avversari in regular season. Bob rivinse il premio di MVP dell’All Star Game, ma la sua attenzione era orientata all’imminente postseason. Per il secondo anno consecutivo Hawks e Celtics si sarebbero giocate il titolo NBA. Dopo l’avvio equilibrato, arrivò la tegola sui bianco-verdi, sotto forma di infortunio a Russell. Senza la propria ancora, Boston smarrì la bussola. In gara-6 Bill tentò un rientro, ma quella sera non poteva bastare. Quella sera, infatti, Bob decise che l’anello sarebbe stato suo. Pettit fu inarrestabile, attaccando instancabilmente, motivato dal traguardo vicino. A fine serata a referto i punti sarebbero stati 50. St.Louis riuscì a mantenere un punto di vantaggio, vincendo 110-109 e laureandosi campione del mondo. Nessuno lo poteva sapere, ma per quasi dieci anni quella sarebbe rimasta l’unica macchia sul curriculum altrimenti perfetto dei Celtics. La proporzione dell’impresa di Bob sarebbe stata visibile solo quando Boston avrebbe accumulato vittorie su vittorie negli anni a seguire.

Nelle tre stagioni successive, St.Louis mantenne il proprio status di contender. Pettit vinse nuovamente il titolo di capocannoniere e quelli di MVP della partita delle stelle e della Lega. Nel 1961 Bob fece registrare anche il proprio career-high alla voce rimbalzi di media, ben 20,3. La squadra, nel frattempo, raggiunse altre due volte le Finals, nel ’60 e nel ’61, sempre guidata dal proprio numero 9. Nella prima occasione ci vollero nuovamente sette partite infuocate prima di vedere i Celtics trionfare, grazie ai 35 rimbalzi di Bill nella gara decisiva. L’anno seguente Boston trionfò in gara-5. Sarebbe stata, ed è tuttora, l’ultima partita di Finale disputata dalla franchigia.

L’annata 1961-62 vide Pettit ai massimi livelli realizzativi della propria carriera, chiudendo con la media di 31,1 punti. Sempre nella stessa stagione si aggiudicò l’MVP dell’All Star Game per la quarta volta, un primato eguagliato solamente da Kobe Bryant. La squadra, tuttavia, faticò parecchio, chiudendo con un record negativo e mancando l’accesso alla postseason per la prima volta dal trasferimento. Bob disputò le ultime 6 partite da allenatore-giocatore, vincendone 4, ma era chiaro che i tempi stavano inesorabilmente cambiando per gli Hawks.

Nelle stagione seguente, con il solito rendimento da metronomo di lusso di Pettit, St.Louis arrivò sino a gara-7 delle Western Division Finals, perdendola in quel di Los Angeles contro i Lakers di Baylor e West. Altro anno ed altro guizzo, arrivando ad una partita dalla Finale contro gli arci-rivali Celtics. A sbarrare la strada, nell’ennesimo match al cardiopalma, i San Francisco Warriors dell’immenso Chamberlain, che riuscirono ad avere la meglio. Per Bob, anche se ancora non poteva saperlo, si trattava del canto del cigno.

L’ultima annata di Bob Pettit è stata la 1964-65. Sempre grandi cifre, quasi irreali per un giocatore che aveva superato la soglia dei trent’anni. A mettere il proverbiale bastone tra le ruote fu un serio infortunio al ginocchio che lo costrinse ai box in un momento cruciale. Terminata la stagione decise di ritirarsi, con all’attivo poco più di 20000 punti segnati in carriera.

Eletto nella Hall of Fame nel 1970 ed inserito tra i 50 migliori giocatori di ogni epoca, la carriera di Pettit è stata decisamente eccezionale. Oltre ad una delle più alte medie punti di sempre, Bob ha compiuto varie prodezze statistiche di un certo peso. E’ sua, ad esempio, la terza posizione per media rimbalzi, dietro ai soliti noti. Non ha mai fatto registrare meno di 20 punti e 10 carambole di media a stagione, un dato, il primo, che non ha avuto eguali nella storia NBA. Ma, soprattutto, è stato il primo, e per molto tempo l’unico, a sconfiggere gli invincibili Celtics. La statistica, forse, più ineguagliabile di tutte.

Alessandro Scuto

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