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All in for D-Rose (and Rudy Gay)

Intervista a Rudy Gay e Derrick Rose in occasione del loro viaggio a Milano, 07-07-2013

 Non è nemmeno mezzogiorno e chi vi scrive ha già finito il suo pranzo frugale. Dopo non si sa quanto tempo ci sarà per mangiare, quindi meglio buttarsi avanti. Fuori dal finestrino il treno sfreccia per la campagna lombarda e nelle orecchie gli Arctic Monkeys suggeriscono che forse tutte le persone sono vampiri. Chissà se i due baldi giovani per i quali ci dirigiamo verso Piazza Duomo ascoltano i Monkeys. Probabilmente nemmeno li hanno mai sentiti nominare. Ma poco importa, per quello che interessa a noi fans potrebbero anche avere la discografia completa degli One Direction sull’Ipod, basta che poi in campo facciano quello per cui anche a Milano tanta gente è accorsa per vederli dal vivo. Uno non ha mai smesso di farlo, spaziando dal Tennessee al Canada. L’altro invece è stato forzatamente impedito nell’ultimo anno da un ginocchio malandato. Ma se Dio vuole tornerà presto, come tutti ci auguriamo.

Ci troviamo in Piazza Duomo poco prima delle 14. Siamo in due collaboratori di Nba Religion, più TheMad, il nostro grafico, oggi in versione fotografo. C’è gente ovunque: tanti curiosi che passano per caso, molti turisti venuti per il Duomo che poi si fermano a vedere il baraccone che l’NBA ha allestito. Ma soprattutto ci sono tantissimi fans, con magliette e cappellini di ogni genere, incuranti del sole cocente. Chi tira ai tanti canestri, chi fa foto accanto alle classiche stampe a grandezza naturale dei giocatori, chi contempla le maglie originali esposte, e chi semplicemente assiste allo spettacolo al campo principale. Perché quando arriviamo Rudy Gay è già in campo, a scherzare a K.O. con dei ragazzini, e capiamo subito che qualcosa non torna: doveva venire alle 16, dopo Derrick Rose. Tempo di ottenere i pass, facendo qualche giro avanti e indietro, e proviamo a beccarlo subito, non vedendo Rose, che pure doveva essere già qui. Riusciamo a entrare in zona mista appena in tempo per vederlo passarci davanti e salire in macchina. Andato, l’abbiamo perso.

“He’ll come back at 7 o’clock”, sospiro di sollievo dopo la rassicurazione di un membro americano del suo staff. E così scopriamo anche l’arcano: Rose è in ritardo, arriverà alle 15; nel frattempo hanno fatto venire Rudy per un’oretta, salvo mandarlo via perché l’MVP più giovane della storia deve avere, giustamente, il centro assoluto della scena. L’ala ex Memphis invece sarebbe appunto tornato alle 19, per firmare autografi e forse anche rilasciare qualche intervista. Non ci resta che aspettare D-Rose, intanto incrociamo Francesco Bonfardeci, giornalista ex Sportitalia ora in forza a Sky, che successivamente accetta anche di rilasciarci un’ interessante intervista sul suo mestiere. Ma questa è un’altra storia, e ve la racconteremo prossimamente in separata sede.

Ci avevano avvisato che sarebbe stato molto ma molto arduo anche solo rivolgere la parola al leader dei Bulls, figuriamoci fargli un paio di domande. E infatti, quando alle 15 Derrick Rose finalmente arriva, è scortato da un’infinità di persone: in testa il fratello, quello che ogni tanto spara dichiarazioni che probabilmente Derrick condivide fino a un certo punto, altri ragazzi, la fidanzata, anche il figlioletto, e ovviamente tantissima security. Appare un po’ stanco, forse per la due giorni italiana costellata di impegni. Va in campo, si presta a qualche giochetto per il pubblico, poi torna alla sua postazione ad assistere al torneo (già, perché c’era anche un torneo 3 contro 3, che passava ovviamente in secondo, anche terzo, piano), è lì a pochi metri da noi ma avvicinarlo è impossibile. Una mezz’oretta, firma autografi che si contano sulle dita di una mano, e riparte com’era arrivato.

 Non vi nascondiamo una certa qual delusione. Sarà che l’occasione, per noi come per i tantissimi tifosi presenti, era quasi unica, e che eravamo lì soprattutto per lui, ma ci è sembrato un po’ poco. Bonfa, che l’ha intervistato il giorno prima per Sky Sport 24 (ed è pure l’unico che è riuscito a fargli anche oggi qualche domanda, mannaggia a lui), ci assicura che è una persona disponibilissima, per niente superba o spocchiosa. Probabilmente queste star fanno esattamente quello che il loro staff e lo sponsor dice loro di fare: se non si prestano più di tanto a fans e interviste è perché viene loro impedito, per questioni organizzative e di sicurezza, e non tanto per una loro personale indisponenza. Non ce la facciamo proprio ad avercela con te Derrick, non dopo quello che ci hai mostrato in campo finora.

Andato Rose, dobbiamo puntare tutte le nostre fiches su Gay. Abbiamo qualche ora libera prima che torni e inganniamo l’attesa come possiamo: qualche giro, un po’ di foto, arriviamo anche a fare qualche tiro a canestro assieme ai bambini. Ma soprattutto tornano le cheerleaders dei Brooklyn Nets per alcune foto, e non ce le facciamo scappare. Fidatevi, il miliardario russo si tratta decisamente bene.

Non c’è quasi più nessuno in piazza, perché pochi probabilmente sapevano che Gay sarebbe tornato per gli autografi. E infatti arriva, addirittura un po’ in anticipo, tanto che inizialmente ci sfugge ancora prendendoci alla sprovvista. Sembra una maledizione, e nonostante alcune rassicurazioni degli organizzatori, non è per niente certo che riusciremo ad ottenere la nostra intervista. Rudy ora è impegnato ad autografare sue foto ai fans rimasti, fortunatamente per noi non moltissimi; noi aspettiamo pazientemente sotto il palco.

“Ragazzi, volete provare la nuova app sull’NBA che stiamo sviluppando?” “Certo, provo qualsiasi cosa, basta che dopo ci concediate qualche domanda a Rudy”. E così riusciamo a salire. L’ala dei Raptors finisce di fare autografi; lo staff gli chiede se voglia rispondere a qualche domanda veloce, e lui acconsente di buon grado. Dopo ore di attesa, finalmente riusciamo ad ottenere la nostra intervista con Rudy Gay per Nba Religion.

NBA RELIGION: Rudy, è stata una stagione particolare per te: hai iniziato a Memphis, poi sei stato ceduto ai Raptors. Come vivi questi cambiamenti?
RUDY GAY: Mi piacciono i cambiamenti. Toronto è una grande città, e avremo una grande squadra per la prossima stagione, quindi sono contento.

N.R.: Non è stata una grande stagione per i Raptors. Come andrà la prossima? Qual è l’obiettivo stagionale?
R.G: L’obiettivo sono i playoff. I playoff, e magari vincere una serie. E’ quello che vogliamo fare.

N.R.: Cosa pensi del “nostro” Andrea Bargnani, e della sua cessione a New York?
R.G.: Penso sia un grande giocatore. Mi piace il suo gioco, è veramente un ottimo giocatore. La trade? Sai, è una cosa che succede. Succede di essere ceduti e quindi… Non saprei, vedremo l’anno prossimo cosa accadrà.

N.R.: I Raptors sono una squadra giovane. Quale dei tuoi compagni potrebbe migliorare di più la prossima stagione?
R.G.: Tutti quanti, tutti stanno lavorando duro, e quindi tutti torneranno migliorati. Tutti quanti saranno importanti.

N.R.: Quando sei stato ceduto, Tony Allen non ha avuto belle parole per te (dichiarò che Memphis era migliorata con la sua partenza, ndr). Cosa pensi delle sue dichiarazioni e in generale della tua vecchia squadra?
R.G.: Sai, è un grande giocatore, un grande difensore. I Grizzlies miglioreranno molto in futuro. Sono già forti: hanno Marc Gasol, Mike Conley, Tony… Hanno grandi giocatori.

N.R.: E riguardo i loro ultimi playoffs? Come avrebbero potuto battere San Antonio?
R.G.: E’ dura. Tony Parker ha giocato benissimo. Anche Thiago Splitter. Hanno molti ragazzi molto bravi. Loro (Memphis, ndr) hanno giocato bene, ma San Antonio ha giocato meglio.

N.R.: Quale tra i tuoi vecchi compagni di squadra ti manca maggiormente?
R.G.: Mi mancano tutti i ragazzi. Abbiamo giocato insieme così tanto tempo. E’ difficile indicarti una sola persona.

N.R.: Sei un grande realizzatore, ma anche un ottimo difensore, e spesso hai marcato gli esterni avversari più pericolosi. Chi di loro ti ha impressionato maggiormente?
R.G.: Mmm… Direi… Direi Kevin Durant. Sì, Kevin Durant.

Avremmo ancora un’infinità di cose da chiedere a Rudy, sul suo biennio a UConn, sui Grizzlies e sui Raptors, sul suo amicone Kyle Lowry con cui ora gioca assieme, sul suo rapporto coi vari coach, in particolare Calhoun, Hollins e l’ultimo, Casey. E magari sull’Italia, visto che il giorno prima in un’intervista non aveva escluso a priori un possibile approdo futuro proprio a Milano (difficile, comunque). Perché le risposte dell’ex Husky possono sembrare banali, scontate, quasi preconfezionate a tavolino; quando sei lì però vorresti chiedergli comunque qualsiasi cosa ti venga in mente per i fans che seguono e vogliono conoscere meglio questi campioni. Ma ci fanno segno di tagliare, Rudy ha ancora da fare la foto con i vincitori del torneo (vi eravate già dimenticati del torneo?) e deve andare. Noi salutiamo gli organizzatori a cui abbiamo rotto le scatole per tutto il giorno (ma che ringraziamo per la grande disponibilità) e ce ne andiamo a nostra volta. Alla fine, tirando le somme, Rose ci è sfuggito, ma almeno abbiamo avuto Bonfa e soprattutto Rudy Gay, un po’ oscurato dalla grandezza del suo inavvicinabile collega ma anch’egli campione vero, anche fuori dal campo. E se non bastasse, la cosa più importante: le foto delle cheerleaders dei Nets. Poteva andare decisamente peggio.

P.S.: Siamo delle brutte persone e non ci siamo nemmeno presentati. Gli inviati di Nba Religion rispondono ai nomi di Pietro Caddeo e Giacomo Sordo, che ovviamente hanno scritto a quattro mani anche questo resoconto della giornata. Le foto dell’articolo, come già accennato, sono tutte opera di Mirko Parisi, in arte TheMad.

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