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L.A. Lakers

Lakers, ennesima sconfitta. Quattro indizi fanno una prova

Nella notte è arrivata la quarta sconfitta nelle prime cinque gare di Regular Season per i Lakers, questa volta da parte degli Utah Jazz, che senza troppe difficoltà, sono riusciti ad “arginare” l’attacco losangelino, concedendo 86 punti nell’arco dell’incontro. Sommata alla partenza choc di preseason, durante la quale nonostante il record 0-8 si diceva “appena le partite e i risultati inizieranno a contare, cambierà tutto”, si arriva all’imbarazzante 1-12 da quando Howard e Nash hanno iniziato ad allenarsi alle pendici della collina di Hollywood.

Ci sono problemi evidenti, cerchiamo di analizzarne 4, come le sconfitte in stagione.

Partiamo dall’allenatore, Mike Brown, da molti indicato come il “colpevole” e l’artefice principale di questa deludente partenza. Ha ereditato una delle panchine più difficili dell’Nba e l’ha fatto prendendo il posto di Phil Jackson, uno che con gli 11 anelli vinti da head coach si colloca di diritto ai primissimi posti tra gli allenatori di sempre di questo gioco. Inoltre, avendo convinzioni tattiche profondamente diverse da quelle del suo predecessore, dal suo arrivo ha stravolto il sistema di gioco gialloviola, portando l’anno scorso la squadra a realizzare la media punti più bassa della storia della franchigia (sono più di sessant’anni, scusate se è poco). Inoltre quest’anno, con l’arrivo dei nuovi, ha dovuto sconvolgere di nuovo il playbook, continuando la transizione iniziata due stagioni fa, con l’abbandono dell’attacco Triangolo tanto caro a Phil Jakcson, e l’approdo di quest’anno alla Princeton Offense, dei cui “benefici” offensivi si è visto troppo poco finora. Infine sarebbe nella natura dei nuovi interpreti (leggasi Nash e Howard) giocare forte sui pick and roll, soprattutto avendo sul perimetro gente come Bryant pronta a beneficiare dei raddoppi necessari ad arginare Superman lanciato a canestro dalle mani meravigliose del canadese. Peccato che di tutto questo ancora non si sia visto nulla (o quasi).

Non solo si paventa l’ipotesi di esonero, ma si pensa già a possibili successori, con Mike D’Antoni e Jerry Sloan come nomi più quotati.

Altro problema è la presenza dei due lunghi in campo, soprattutto con il sacrificio di Gasol da quattro. E’ evidente che in quella posizione il centro catalano soffra e non poco, in una Lega in cui i quintetti diventano sempre più perimetrali (vedi la versione vincente dei Miami Heat delle Finals dello scorso anno) e che quindi difensivamente subisca sempre la pericolosità dei tiratori, recuperando solo in parte offensivamente dove, sperando di affinare presto l’intesa con Howard, potrebbero diventare una coppia devastante viste anche le eccellenti doti di passatore del centro nato a Barcellona.

Terzo punto dolente che è stato messo in evidenza dalla disponibilità ad intermittenza di Nash causa infortuni (prevedibili vista età e conformazione fisica) è l’esiguità della panchina losangelina, che tolte le 5 All Star in quintetto, non presenta sostituti degni di questo nome. Jamison, unico “conosciuto” dai più, non riesce proprio ha ritrovare la vena realizzativa dei tempi degli Wizard, fermandosi anche stanotte ad un misero 1-2 dal campo, con soli 2 punti a referto. Inoltre i vari Meeks, Ebanks, Hills e Morris (Blake, nonostante stia giocando, sembra molto vicino all’esser messo alla porta dopo la “gaffe” dell’altra notte) non sembrano garantire quei minuti di qualità necessari per allungare la rotazione e concedere minuti di riposo ai titolari.

Infine c’è Bryant e la sua voglia, anzi, la sua ossessione verso la conquista del sesto anello. Sa di essere all’ultimo giro di giostra, che quest’anno è la sua ultima grande opportunità di vincere quello che i Celtics nel 2008 gli hanno strappato in finale. Questa può diventare da un lato linfa vitale per un gruppo alla ricerca di motivazioni, può diventare la carica indispensabile per lottare per il titolo, ma d’altro canto, se non viene incanalata nel modo giusto, può diventare deleteria e distruttiva, essendo ben noti tutti i difetti caratteriali del Mamba, uno che se non vede il 200% dai suoi non le manda certo a dire.

Ne sono la riprova i dati di queste prime 5 partite. Nell’unica vittoria Lakers (aiutata anche dalle evidenti lacune di Detroit), Bryant ha servito 8 assist, prendendo soltanto 10 tiri dal campo e distribuendo fra Howard, Gasol e Metta pari responsabilità offensive. Nelle restanti quattro ha distribuito in totale 8 assist, accanendosi molto di più nell’ossessiva ricerca del canestro, con la voglia di risolvere la partita da solo (non che non ne sia in grado, però così i titoli non si vincono), che lo porta molte volte a forzare (vedi palle perse nella notte, ben 6) e a coinvolgere molto meno i compagni.

Il continuo susseguirsi di partite non da la possibilità agli allenatori Nba di chiudersi in palestra e provare, provare, provare. Questo è un gap che i Lakers di questo inizio di stagione devono portarsi dietro.

E forse è meglio così, altrimenti, con quei quattro lì, il dominio sarebbe già stato troppo evidente.

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